Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#132 - 25/05/2024

Quid?

Ho sfiorato più volte un argomento che ritengo affascinante, e proprio per questo mi assilla: non mi sono inoltrato nel labirinto perché non abbiamo prove sufficienti per sviscerarlo; un paio di volte ho preso il coraggio a due mani e ho provato a trattarlo, ma il pudore mi ha permesso di formulare una semplice ipotesi. Poiché non mi rassegno, considerato che molti accadimenti storici potrebbero confluire in una trama suggestiva, mi faccio più ardito.

Per affrontare l’arduo tema devo inoltrarmi, ahimé, su un viottolo: nel territorio cocullese sono ubicati oggi due nuclei abitati, ambedue “spennacchiati”, come i capponi rimasti in mano a Perpetua per dirla alla maniera manzoniana, fra i quali fino a poco tempo fa, se pure è sopita, esisteva un’antica ruggine. Da questa constatazione emerge una frattura esistente fra i paesi già a quella data. Nella “Corografia dei Marsi” l’Antinori [Vedi nota 1, in fondo al testo] (metà ‘700), il quale affermò di avere attinto dal Gattula [2], scrisse: Nel 1392 dal Monastero di S. Pietro del Lago si mandavano monaci a regere la cura delle Anime nel castello di Cocullo colle patentali dell’Abate Casinense, e risedevano nella Chiesa di S. Giovanni in Campo. Quindi, essendo morti i Monaci Andrea e Bartolomeo di Anversa, l’Abbate conferì Rettoria ai due altri Monaci di San Pietro, Vincenzo e Marino, pure di Anversa, in Beneficio ecclesiastico curato e ne commise il possesso a Angelo di Casale di Bugnara [3], Monaco di S. Pietro medesimo. Da quei Monaci s’era propagata in Cocullo la venerazione di S. Domenico Abate e fondatore del Monistero di S. Pietro.

Dalle prime parole si può arguire una frattura “più ampia” fra Montecassino e l’Abbazia di Santo Spirito, quindi il contrasto fra la politica di Bonifacio VIII, propenso all’adeguamento dell’istituto religioso all’evoluzione sociale e la fede pura ma anacronistica radicata nella fermezza “testarda” dei cristiani legati allo spirito evangelico. Una quarantina di anni prima un monaco abruzzese [4], poco propenso al fasto dei nuovi papi, divenuto pontefice manifestò subito la tendenza a ripristinare la fede radicata nell’animo popolare dal rigore della arcaicità originaria come trasmessa dai Padri del deserto egiziano: conseguentemente si accese il contrasto fra il Papa Celestino e il cardinale Caetani (futuro Bonifacio VIII), ritenuto dal Sacro Collegio il più lungimirante prelato e il più preparato giuridicamente: il papa lungimirante, già, appunto, il cardinale Caetani salvò l’edificio ecclesiastico impiegando un tassello che potesse incastonare l’edificio della Chiesa nel progresso sociale e magari trasformare le forme idolatriche della tradizione in orpelli cristiani; al contrario, Pietro del Morrone sognò sempre l’eremo fino a dimettersi da papa.

Qui facciamo un salto di tre secoli indietro, quando in un paese della valle del Flaturno e vicino alla Maiella un altro anacoreta (Domenico di Foligno) aveva incanalato nella religione la tradizione popolare che, grazie alla tolleranza dei re normanni, non respingeva le tradizioni: pure il monaco folignate aveva privilegiato l’eremo, proprio come il futuro Pietro del Morrone, il quale avrebbe elevato un’ode (apocrifa?) alla grotta e alle creature in essa viventi.

Bonifacio VIII, circa trecento anni dopo il Sorano, si servì dei Francescani Minoriti [5] per incuneare quel tassello di cui ho parlato poc’anzi e fece nominare un religioso di questi come abate di Montecassino. Uno di questi a sua volta fece nominare vescovo della nostra Diocesi un suo confratello (Silanis). I numerosi seguaci delle vecchie interpretazioni religiose si ribellarono, creando le premesse di un piccolo scisma.

Ora ci domandiamo perché se l’abate di Montecassino aveva le credenziali per nominare suoi monaci onde “curare le anime” dei Cocullesi quando questi si chiamavano Andrea e Bartolomeo di Anversa si può stabilire un collegamento ultrasecolare fra Ciociaria e Valle del Sagittario [6]; sembra sibillina la frase sulla morte dei due monaci, i quali verranno sostituiti da altri due colleghi di Anversa, Vincenzo e Marino; infine c’è da chiedersi perché il possesso del beneficio ecclesiastico [7] andò a finire a Angelo di Casale di Bugnara. Tutto questo potrebbe focalizzare il culmine di una scaramuccia; ne seguiranno altre, con alterne vicende, talvolta blasfeme se non addirittura oscene, scaramucce che si protrarranno per tutto il Basso Medioevo fino al ‘700 per essere ovattate nel secolo successivo da una cerimonia indecorosa e profana di tinta pastorale; finalmente avvierà a soluzione del problema a cavallo fra tradizione e religione la risposta di Leone XII alla petizione del “Clero di Cucullo” del 27 aprile 1824: purché nel rispetto della liturgia.

Nell’Archivio Diocesano di Sulmona esiste un registro che secondo un serio direttore (il compianto canonico Don Antonio Chiaverini) avrebbe contenuto i nomi dei battezzati cocullesi. Il manoscritto è quasi del tutto illeggibile e molti nomi sono abrasi; di più riporta solo alcuni mesi dell’anno 1340. Dal che si deduce che approssimativamente in quell’anno Cocullo aveva almeno duemilaseicento residenti. La qualcosa lascia molto perplessi e fa pensare piuttosto all’unione di diverse comunità su un determinato luogo. E questo fatto potrebbe riallacciarsi ad un disegno rudimentale, rinvenuto nell’Archivio comunale di Cocullo, che riproduce i confini del territorio di questo paese in cui è compresa l’area dell’abbazia celestina di Santo Spirito.

Questa osservazione potrebbe ricollegarsi a quanto scritto sopra e rendere più credibili ardite ipotesi?

Note
[1] Anton Ludovico Antinori fu Arcivescovo metropolita (L’Aquila 1704 – L'Aquila 1778). Quindi aveva competenza anche sulla nostra diocesi. Cultore di storie soprattutto locali, fu corrispondente del celebre storico Muratori, ma pure di altri illustri storici e studiosi di spessore. Compilò, incaricato dal Muratori, una raccolta di antiche e inedite Cronache aquilane, "Raccolta di memorie storiche delle Tre Province degli Abruzzi, ecc.. Il Corpus Antinoriano comprende: Annali degli Abruzzi (voll. 1-24), Corografia storica degli Abruzzi (in ordine alfabetico, voll. 25-42), Raccolta di iscrizioni varie dei monumenti abruzzesi (voll. 43-47), Monumenti, uomini illustri e cose varie. Annali di Aquila (voll. 48-51). Queste notizie sulla produzione antinoriana sono state tratte da Google.
[2] Monaco cassinese (1600), autore di una “Historia” dell’abbazia di Montecassino.
[3] Allora questo doveva essere il nome dell’attuale Torre de’ Nolfi.
[4] Allora Pietro del Morrone, futuro Celestino V, veniva da Isernia, che però attualmente fa parte del Molise.
[5] San Francesco nella sua Regola aveva prescritto povertà e carità: stigmatizzava il clero agiato? (siamo al XIII secolo); ma nel contempo ribadiva la fedeltà alla Chiesa ufficiale e i Francescani dell’Ordine Minore osservarono questo comandamento.
[6] Designato a Perugia, Pietro del Morrone fu consacrato pontefice a L’Aquila il 29 agosto 1294. Poi, nel viaggio che lo condusse da L’Aquila a Napoli (Carlo II d’Angiò, suo mallevadore nel pontificato, lo volle alla reggia di quella città), passando per Montecassino inglobò nella sua Congregazione i monaci cassinesi, superiori per cultura ai Fratelli dello Spirito Santo. E questo (tentativo poi annullato da Bonifacio VIII) potrebbe sancire l’ammirazione di Pietro del Morrone per Domenico di Foligno e localizzare il cratere dello scisma.
[7] Rendita o patrimonio coniugati al servizio religioso.

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