Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#130 - 17/05/2024

Il “Gran Tempio”
Una cartolina inviata da Don Loreto Marchione all'Avvocato Camillo Sagaria nel 1913

Ai primi del ‘600 i Cocullesi ristrutturarono una vecchia chiesetta intitolata a Sant’Egidio abate; ma quel titolo la chiesetta forse lo aveva già posseduto quando gli Antoniani (?) avevano ricordato il Sant’Egidio francese (Saint Gilles), il cui nome volgarizzato in cocullese aveva contraddistinto qualche persona ancora vivente un secolo fa e chiamata “Giglie” [Vedi nota 1, in fondo al testo].
La chiesa ristrutturata attorno al ‘600 e dedicata a Sant’Egidio fu successivamente (1746) consacrata a San Domenico abate dal vescovo della Diocesi di Valva-Sulmona Monsignor Corsignani. Ma già prima del 1746, quando la chiesa era ancora intitolata a Sant’Egidio, su un altare della stessa chiesa si stava sviluppando il culto di San Domenico intorno ad un dente molare che attorno al Mille avrebbe lasciato ai fedeli cocullesi il futuro Patrono [2] e che in quell’altare sarebbe stato portato dalla ex chiesa di Sant’Amico [3].

Nel 1865 la chiesa di Sant’Egidio ristrutturata, come detto verso il ‘600, fu ampliata occupando uno spazio rilevante attorno alla struttura originaria. Stava per nascere il fenomeno di grande importanza religioso-folcloristica, cioè ivi sarebbe avvenuta la fusione tra la cerimonia attuale di San Domenico (famosa la processione con i serpi) ed evidentemente quella profana (ora scomparsa) che si celebrava dall’antichità pagana [4] in un’osteria accanto alla chiesa.
La “fabbrica” della chiesa attualmente terremotata, e che l’Arciprete Don Loreto Marchione definì “Gran Tempio”, divenne Santuario. E qui possiamo dimostrarlo, grazie al contributo del Signor Aniceto La Morticella, il quale ha inviato al Direttore de “Il Gazzettino della Valle del Sagittario” una cartolina, di cui noi ignoravamo l’esistenza. Da questa sappiamo che i lavori della “fabbrica” toccarono una tappa importante nel 1913. In quell’anno Don Loreto annunciava l’inaugurazione del “Gran Tempio”. In verità i lavori non erano finiti perché le pitture e gli stucchi della volta furono terminati, sempre promossi dall’Arciprete Don Loreto, negli anni 1938/’40. La cartolina fu indirizzata dallo stesso Arciprete al “Nobiluomo Sig. Avv. Camillo Sagaria” con destinazione Raiano. Che questo avvocato fosse un uomo non di secondo piano (anche politico) lo si deduce dalle conoscenze di rilievo di Don Loreto e dagli attributi che gli rivolge. Ma quello che ci interessa qui è rilevare che il filosofo famoso Benedetto Croce, nato a Pescasseroli nel 1866 e parente per via materna dell’on. Sipari, fondatore del Parco Nazionale d’Abruzzo, trascorse lunghi periodi di soggiorno nel paese di Raiano dove risiedevano suoi parenti.

Lì s’intrattenne spesso, specie nelle vacanze estive, ospite nel palazzo Sagaria Rossi dove risiedeva la cugina Teresa Petroni, moglie di Valentino Rossi, alla quale il filosofo era molto affezionato. Teresa e Valentino ebbero una figlia, Diomira, che sposò Camillo Sagaria.

A questo punto si ritiene doveroso accennare ad altri personaggi clamitanti intorno alla cartolina di Don Loreto, che dovrebbe essere datata 11 maggio 1913, affidandoci soprattutto agli scritti dei più illustri studiosi raianesi contemporanei: i professori Ottaviano Giannangeli e Damiano Venanzio Fucinese, già docenti nell’Università D’Annunzio di Pescara-Chieti, il primo di Letteratura e Lingua Italiana, il secondo suo seguace-amico e Docente nella cattedra di Storia dell’Arte.

Risaliamo al 1832, quando era nato Giuseppe De Blasiis, avvocato, figlio di un magistrato del famoso Foro di Napoli per descrivere il fervore che animava Palazzo Sagaria: esso si rivelerà un piccolo Cenacolo di cultura e patriottismo, allorché pochi anni dopo era rifulso il valore del sulmonese [5]: il predetto mostrò capacità strategica ed il valore a capo della Legione del Matese sul Volturno, il che gli valse l’encomio di Garibaldi. Fu storico oltre che patriota. Francesco De Sanctis gli riservò la cattedra di Storia Nazionale nell’Ateneo napoletano. Alla sua morte la moglie Giacinta Sagaria ne donò l’archivio e la biblioteca alla Società Napoletana di Storia Patria.
Il De Blasiis, malgrado il valore volturnense, non aveva incrementato i nomi e i prenomi che si sarebbero aggirati attorno al palazzo raianese come in un carosello. A lui d’altra parte bastava Giacinta; ci penserà il piccolo Camillo: nel 1913 Don Loreto gli indirizzerà a Raiano una cartolina con destinatario “Al Nobiluomo Sig. Avv. Camillo Sagaria”. Costui aveva sposato Diomira Rossi, figlia di Valentino e Teresa Petroni. E fu forse questo evento che indusse l’avvocato Camillo a rivendicare il nome gentilizio originario, malgrado lo strascico del prenome Rossi. Tuttavia la fioritura dei gentilizi aumentò per via della frequentazione, e permanenza nell’abitazione raianese, del cugino di Teresa Benedetto Croce e della sua compagna romagnola Angela Zampanelli. Costei, malata di cuore, morì nella cittadina peligna nell’autunno del 1913 [6]. Il 29 settembre 1914 Croce ricordò nella lusinghiera orazione funebre Giuseppe de Balsiis, cioè quando già il filosofo aveva contratto matrimonio sei mesi prima a Torino con Adele Rossi [7], così definita da lui e presentata in una lettera all’allora amico Giovanni Gentile: «una buona e brava ragazza piemontese, che conosco già da qualche anno, della quale ho invigilato gli studi per la laurea (è laureata in lettere), e che mi aveva sempre ispirato una grandissima stima per la finezza dell’animo e la serietà del carattere»; viene presentata come una persona di famiglia Adele perché «in rapporti di grande affetto con la povera Angelina, e l’anno passato venne a visitarci in Abruzzo e si legò di amicizia anche con mia cugina, che le vuole molto bene».
Dopo la brutta esperienza giovanile nelle carceri papaline Benedetto Croce esaltò uno dei rampolli più famosi (Giuseppe De Blasiis) di casa Sagaria e amò intensamente la famiglia e l’ambiente raianese; però il suo entusiasmo oggi stride maledettamente con l’analogo sentimento espresso da Don Loreto nello scritto dell’11 maggio 1913 circa l’inaugurazione del “Gran Tempio” che, da quindici anni, patisce gli arresti domiciliari nella sua gabbia.

Note
[1] Si può ben ipotizzare una vaga confusione tra il Sant’Egidio d’oltremare e l’abate S.Antonio fatta dai “locali” Antoniani cocullesi: nessuno dei due celebri eremiti fu francese; però la Francia c’entra sempre di mezzo. Sant’Antonio nacque ed evangelizzò nel deserto egiziano (metà IV secolo d.C.); due Crociati francesi ne portarono le reliquie in Provenza; Sant’Egidio (VIII sec. d.C.) nacque ad Atene ed avrebbe predicato nella Francia meridionale.
[2] Quel dente potrebbe essere stato compreso fra le reliquie che, secondo Monsignor Antinori, avrebbero portato due monaci cassinesi dalla grangia del Casale di Cocullo alla chiesa cocullese di Sant’Amico nel 1392.
[3] Chiesa oggi scomparsa forse in seguito all’avvento dei Templari i quali costruirono altri edifici sacri nella zona.
[4] San Domenico di Foligno apparve nell’orizzonte religioso attorno all’anno Mille, all’epoca del regno normanno, la cui tolleranza religiosa si esplicava nel senso che gli ex pagani cristianizzati potessero includere nel nuovo credo le loro tradizioni, tradizioni che la Chiesa ha poi accolto nel suo grembo, purgandole delle scorie pagane, purché non fossero offensive.
[5] Si noti che spesso, ancora oggi, si indica il capoluogo del circondario anziché il paese in cui nacque una personalità di poca rilevanza nazionale.
[6] Il prof. Giannangeli ha consultato registri mortuari del paese da cui risulta che il 25 settembre 1913 morì Angela Zampanelli, “moglie” di Benedetto Croce; in realtà non pare che questa bellissima signora avesse contratto matrimonio con il filosofo.
[7] Adele frequentava l’Università a Torino, ma, strano, aveva lo stesso cognome di Valentino Rossi ed era molto legata alla moglie di costui, Teresa, nonché alla compagna del filosofo Angelina Zampanelli.

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