Preliminari della festa che fu
La caccia ai serpi
“San Giuseppe/ la prima serpe”: l’adagio era un comandamento per i serpari che si apprestavano a cacciare le bisce quando si affacciavano al primo sole; era stato un incoraggiamento affinché il comitato organizzatore incrementasse prenotazioni e collette. Forse era così pure al tempo dello scritto riprodotto qui di seguito.
In un cassetto di una vecchia scrivania sono stati rinvenuti degli scritti e delle lettere dei nostri genitori. Riproduco un brano tratto da un vecchio quaderno della maestra Clara (mia madre). Però prima pare giusto far presente che l’articolo non sembra essere datato; ma potrei congetturare che risalga agli anni ’40 per i seguenti motivi: 1- nel quaderno, in ordine progressivo, il brano appare al secondo posto, sempre che lo scanner sia stato usato bene; 2- la maestra scrive che quell’anno la famosa festa si sarebbe celebrata il 6 maggio, che nel calendario perpetuo corrisponderebbe al 6 maggio 1948 ; 3- d’altra parte il “cappellaccio di feltro” dopo il ’40 non risulta che si usasse più come esca per le bisce, anche perché da quel tempo non vi erano più serpari anziani che dovessero usare precauzioni ma giovani e ragazzi sempre più consapevoli delle varietà dei rettili velenosi. Ancora, genera perplessità la frase riferita ai serpari i quali “… Entrano nella bellissima chiesa, affollata fantasticamente di pellegrini, si genuflettono ai piedi di S. Domenico e posano intorno a Lui, al protettore, i serpi”; a noi l’ultima documentazione relativa all’ingresso delle bisce in chiesa è stata data dalla studiosa Estella Canziani, la quale negli anni ’20 aveva pubblicato un suo disegno riproducente le bisce che strisciavano sul pavimento della chiesa davanti alla statua del Santo.
Inconsapevolmente è profetica e sarcastica la frase quando l’autrice del testo in corsivo accenna all’evento della festa: “… l’evento che i secoli non vedono mai tramontare, come non tramonterà mai nel pensiero umano l’ideale dell’immortalità” [Vedi nota 1, in fondo al testo]: oggi purtroppo l’impressionante spopolamento del paese ha quasi soffocato la componente folclorica del gioiello di folclore religioso e fiaccato fatalmente quella devozionale dei pochi paesani rimasti.
“L’Abruzzo nelle sue tradizioni”
Tra il grano verde e tenero, tremulo al vento che impollina i fiori, strisciano i rettili dopo il letargo.
S’avvicina cauto, agile e pronto il serparo, ha tutte le caratteristiche e il cuore di Edia Fura che Gigliola consola col suo candore; avvista la preda, lancia il suo vecchio cappellaccio di feltro, il rettile morde e il cacciatore l’afferra e lo introduce nel sacco. A casa sarà rinchiuso in un grande orciolo contenente crusca e che sarà tappato accuratamente.
Il primo giovedì di maggio, quest’anno è il 6, i serpi vengono di nuovo alla luce. Passano i baldi marsi cocullesi con lo sguardo acceso d’orgoglio e i rettili si aggrovigliano, si snodano intorno ai colli, alle braccia, alla vita. Il più fiero è colui che più ha fatto preda e ha i più begli esemplari della nostra campagna.
Entrano nella bellissima chiesa, affollata fantasticamente di pellegrini, si genuflettono ai piedi di S. Domenico e posano intorno a Lui, al protettore, i serpi. La statua passerà per le vie del paese tra il groviglio vivo e agitato dei rettili, nella gloria della luce primaverile, tra il popolo convenuto d’ogni dove, a tener desta e palpitante la fede nei cuori degli umili.
Armonie e spari saluteranno l’evento, che i secoli non vedono mai tramontare, come non tramonterà mai nel pensiero umano l’ideale dell’immortalità.
Tu, o lettore vieni, Cocullo t’invita alla sua festa. Sa che ti sorprende perché è originale e il Santo ti proteggerà dal morso dei rettili e dei cani idrofobi, dal dolore dei denti e spero dalle umane belve che oggi non hanno più serraglio.” (Clara Di Cola in Chiocchio)
Certamente la maestra Clara avrà descritto anche lo svolgimento della festa. Lo troveremo nello squinternato quaderno. Intanto anticipiamo le fasi più caratteristiche di come i Cocullesi di allora la solennizzavano.
Aprivano e chiudevano l’atmosfera festiva le luminarie. Poi si vedeva sull’allora “Scarico di Renzi”, presso il ponte di Attilio, qualche quadrupede che contadini dei paesi vicini volevano commerciare quasi a volerlo rendere compartecipe della solennità (la fiera del bestiame). Ancora, arrivavano i pellegrini, i quali poscia si allontanavano dal paese per rendere omaggio alla statua di San Domenico nella chiesa di Villalago. In prossimità della festa erano venuti i commercianti forestieri per prenotare i posti delle loro bancarelle. Un paio di giorni prima della festa erano arrivati a Cocullo i musici di famosi complessi bandistici, quali, se il ricordo non è vago, la banda dei Carabinieri di Roma, quella di Taranto, quella di Andria, quella di Lanciano, quella di Chieti, quella di Francavilla Fontana, …; allora i bandisti di notte venivano ospitati nell’edificio scolastico e di giorno venivano accolti nella condivisione culinaria dei pranzi in alcune case del luogo. Lo sparo annunciava l’apertura ufficiale della festa mentre il cerimoniale veniva allietato dal suono delle campane; un cenno in proposito lo merita l’enorme campanone della torre di San Nicola i cui tocchi riuscimmo a sentire nei primi anni della nostra fanciullezza e che si armonizzavano per tutta la valle con il mormorio del rio della Pezzana.
Note
[1] In quel periodo, cioè negli anni ’40, circolò in paese una secca replica che, come se volesse chiudere una polemica, il parroco cocullese di allora, Don Loreto Marchione, avrebbe pronunciato in risposta ad eventuali insistenze dell’allora vescovo della Diocesi, riguardo alla esibizione delle bisce: “Piuttosto getto la tonaca alle ortiche!”. E’ lecito collegare la replica di Don Loreto al disegno della Canziani. E poi è impossibile immaginare la presenza di un piccolo serparo inconsapevole fra tanta folla? Invece pare certo che durante una funzione religiosa alcune donne avrebbero visto Lino, un vecchio serparo casalano, entrare in chiesa, e rendere omaggio a San Domenico, ovviamente senza serpi, e poi uscire in silenzio: il giorno appresso morì improvvisamente! E tutto questo, indipendentemente dal fattp che San Basilio aveva anticipato il cantico di tutte le creature.