Un Frate Giovanni fu priore nella Abbazia di Santo Spirito della Maiella e poi prefetto generale; ma Celestino o Spirituale?
Il vescovo della nostra Diocesi monsignor Corsignani registra due Giovanni: un Giovanni di Cucullo de’ Marsi nell’A. 1269 fu Abbate Mitrato tra’ Celestini, e poi Generale nell’A. 1269 e uno fu Generale dell’Ordine de’ Celestini, e fiorì nell’A.1299 (“Reggia Marsicana”, parte II, di P.A. Corsignani, riprod. anastat. dell’originale del 1788 a cura della Cassa di Risparmio de L’Aquila).
Scrive l’Abate avezzanese Febonio (quindi nostro conterraneo: “Historia dei Marsi”, 3° libro della ristampa anastatica dell’Ed. De Cristofaro, Roma, 1985): Alla notorietà di questo paese [Cocullo] ha contribuito un uomo molto religioso, D. Giovanni da Cocullo, uno dei primi frati celestini innalzato alla carica di prefetto generale dell’Ordine nel 1299; per la sua costante applicazione della scienza morale e per le sue eccezionali doti d’animo fu particolarmente caro all’Ill.mo Tommaso d’Ocra che lo ritenne degno di affidargli l’esecuzione testamentaria delle sue ultime volontà. Press’a poco un’affermazione analoga l’aveva fatta il suo contemporaneo Abate sulmonese de Mattheis. Mons. Febonio ribadì che fra gli esecutori testamentari del cardinale [Vedi nota 1, in fondo al testo] (appartenente ad un ricca famiglia di Cavalieri Templari) c’era Giovanni di Cocullo, e su questo pare che fosse d’accordo con l’Avezzanese il Marini.
Trecento anni dopo la morte di papa Celestino V l’Abate celestino Telera, non abruzzese, fece un’elencazione degli Abati del suo Ordine (Santo Spirito della Maiella): … giacché del numero di tutti, massime dei primi Padri, o per eccessiva umiltà, o per incuria dei loro coetanei, non abbiamo notizia (“Huomini illustri per santità de’ Celestini”, Edizioni Qualevita, 2008). Nel ‘600 circa l’Abate Generale celestino Lelio Marini (Trascrizione anastatica di ”Vita et miracula di San Pietro del Morrone Celestino Papa V”, Edizioni Qualevita, 2007) aveva scritto, riferendosi a Giovanni di Cocullo: Egli medesimo poi l’anno terzo di Papa Bonifacio à tre di Giugno della Decima Indittione, cioè dell’anno 1297, ottenne la confermatione dell’Ordine dal medesimo Bonifacio. Ancora: Giovanni de Tucolio fù di nuovo eletto Abbate l’anno 1298, perché si trova questo medesimo esser’ Abbate il giorno settimo d’Agosto 1300, uno degli esecutori del testamento di Tomasso Prete Cardinale di Santa Cecilia … : uno dei cardinali celestini, dispose che tra gli altri esecutori della sua ultima volontà fosse l’Abate pro tempore di Santo Spirito. E ancora …mentre il Santo Padre Frà Pietro viveva in questo Stato … (correva l’anno 1295 [2]) fu eletto Giovanni de Tutulio [3]. Questo intervenne e sottoscrisse al primo Capitolo Generale dell’anno 1288…
Una trascrizione curata dall’Associazione culturale sulmonese, dedita agli studi celestiniani, della prima edizione (1648) dell’Opera scritta da un collega di quello, pugliese, Don Celestino Telera che fu Abate Generale della Congregazione celestina, riporta: dopo l’elevazione al soglio pontificio San Celestino nominò dodici cardinali due dei quali furono Monaci della sua Religione (N.d.A.- “Ordine”), scelti ed eletti da lui per molta santità. Il primo dei quali fu Tommaso d’Ocra; quindi, prima di morire il card.Tommaso d’Ocra (1300), già Conte di Celano sia partito per Napoli ed abbia accompagnato anche Giovanni.
Testimoniata l’esistenza di Giovanni, ne seguo l’operato. Sono convinto che Don Giovanni sia stato uno dei capi ereticali del movimento celestino più rigorista e più influenzato dai Gioachimiti, da Clareno e dal francescano Jacopone, ambedue colti e teologi; ma soprattutto poi perché fu deluso e irritato per il trattamento riservato a Celestino V dopo il tentativo di fuga in Puglia intrapreso dall’ex papa perché gli era stato impedito il ritorno all’eremo della Maiella. Teniamo presente che fra’ Tommaso d’Ocre da Celano era stato nominato cardinale della basilica di Santa Cecilia da Celestino e confermato da Bonifacio.
Stimo opportuno ricordare che Bonifacio VIII, il quale da cardinale avrebbe sottoscritto l’invito all’eremita ad accettare la nomina a pontefice, subì quasi un complesso di inferiorità nei confronti di San Celestino (malgrado lui fosse molto più colto, diplomatico, innovatore rispetto all’ortodossia cristiana del Morronese e avverso all’ingerenza francese) e lo rinchiuse (dopo la fuga) perché temeva uno scisma. Soltanto dopo la fuga in Puglia del Santo che fu protetto dagli Spirituali [4], fra cui i “Poveri Eremiti Francescani Spirituali” [5] che a suo tempo il Papa santo aveva approvato e i quali furono poi scomunicati da Bonifacio VIII, quest’ultimo relegò il predecessore alla cella di Fumone. Quest’inciso l’ho fatto per l’ostilità decisa mostrata dal nuovo Pontefice verso tutti gli Spirituali (particolarmente contro i “Pauperes Fratres domini Caelestini”). Quindi mi sembra lecito intuire che ai primi Celestini (che amavano essere chiamati Spirituali, come li aveva definiti il Santo eremita e da cui derivò il nome della Casa madre) fu inflitta la condanna della “damnatio memoriae”, cioè la morte civile, la cancellazione della loro esistenza e del loro operato.
Questi brani li ho tratti da uno scritto che feci per presentare alle ultime generazioni di paesani un nostro personaggio che visse sette secoli fa. Ho ritenuto di riportarli come premessa al vero tema il quale consiste nel sottolineare una sfaccettatura che ritengo importante di quella figura.
Le ultime invasioni straniere della Penisola avevano trovato folle smarrite, disorientate e vaganti dopo avere abbracciato un nuovo credo che prometteva affrancamento e libertà. Se è lecito, mi si permetta un paradosso: fra gli ultimi invasori barbari, in genere i più civili furono i Longobardi e i Normanni, poiché di fatto considerarono religione e tradizione due componenti culturali della società peninsulare. Attorno al Mille il clima si rasserenò e gli eremiti e gli uomini religiosi che avevano avuto modo di leggere e studiare le Scritture gettarono le basi dell’istituzione ecclesiale: Gregorio VII è noto per aver promosso la riforma che da lui prese il nome, e che a me piacerebbe ricordare come “organizzazione dell’alto clero”. Domenico di Foligno fu un protagonista del movimento in Italia centrale. Quando uscì dall’abbazia di Montecassino e si mise a fare l’eremita itinerante nel Basso Lazio, sulla Maiella e nelle Valli del Sagittario e del Flaturno era già “beato” (“Cronaca del Monastero di Montecassino” di Leone Marsicano). Vittore, monaco con il nome di Desiderio eremita sulla Maiella, nacque poco dopo san Domenico, forse quando nelle grotte della “montagna santa” gli eremiti convissero con i simboli dell’eremo, cioè rospi, ragni, serpi… Trecento anni dopo proprio al serpe Pietro del Morrone avrebbe dedicato un’ode: costui, anche lui eremita e poi papa con il nome di Celestino V, da un paese dell’Isernino salì a Montecassino per vagare sulla Maiella, ove fondò molti oratori ed eremi, per scendere alla base del monte, vicino alla valle e al Flaturno e lì fondò la casa madre della sua futura Congregazione. La Congregazione dei Fratelli di Santo Spirito si fregiò del simbolo del Crocifisso avvolto da una S. Se quella “S” non fosse l’iniziale degli Spirituali somiglia ad un serpe, il serpe dell’ode celestiniana. Quell’ode si incanalò a serpentina nel solco della tradizione rivoltato dal vomere (il porcellino sacro) dell’Abate egiziano [6].
Forse lo spirito assistenziale era nato fra i monaci di San Basilio [7] il quale aveva fondato in Medio Oriente addirittura un nucleo ospedaliero ove accogliere lebbrosi, malati e viandanti.
Quattro-cinque secoli dopo la nascita di Cristo molti eremiti egiziani si erano stanziati in una vasta area compresa nella Francia del sud, organizzandosi poi per assistere i poveri e i malati seguendo l’operato di Sant’Antonio abate. Adesso appare la “Compagnia dei Cavalieri del Tau”, Ordine fondato attorno al Mille da Matilde di Canossa sulla falsariga di quello dei Templari ed esso Ordine fregiò di una croce rossa gli scudieri dei Templari; questi monaci percorsero la via Francigena e curarono di assistere i pellegrini ed i viandanti, anche costruendo ponti su fiumi per rendere meno aspro il cammino.
Risaliamo al periodo successivo alla riforma di Gregorio VII.
1297, 3 giugno. a. III. Bonifacio VIII. Rieti. Berardo, vescovo e il capitolo di Chieti concedono a fra Giovanni da Tucullo abate di S. Spirito presso Sulmona e alla comunità la chiesa di S.Maria Maddalena, nel territorio della città di Rieti, presso la stessa città e vicino alla via romana, dichiarandola esente, col censo annuo di una libbra da darsi nella Festa di S.Maria in settembre. (Regesti di Montecassino)
Celestino V, il fondatore della Congregazione di Giovanni, fu canonizzato nel 1313 dal papa francese Clemente V con l’attributo di “Confessore” e non “Martire”. Tommaso da Celano celebrò i funerali del papa eremita nel 1296; Tommaso morì il 29 maggio 1300 a Ferentino, ove fu sepolto nella chiesa di Sant’Antonio Abate.
E Giovanni? Potrebbe non avere rilevanza storica, come al contrario potrebbe essere stato il capo di un piccolo movimento scismatico: sicuramente, come abbiamo visto poc’anzi, fu Priore dell’Abbazia di Santo Spirito. Naturalmente nulla vieta di pensare che abbia continuato il Priorato fino a quando, dopo il 1300, quando gli ex Fratelli di Santo Spirito cambiarono il nome in Congregazione dei Celestini. E poi, poi cedo la parola all’Abate Telera, a meno che questi abbia voluto opacizzare gli Spirituali che il cardinale Stefaneschi aveva definito “testardi” e “zoticoni”.
La vicenda dei Fratelli di Santo Spirito fu molto complessa e descritta con diverse opinioni, a parte gli apocrifi e gli eventuali emendamenti anche di amanuensi orientati sempre più al rispetto dell’istituzione religiosa. In ogni caso, eliminate le congetture, dobbiamo considerare che alla base dei comportamenti umani i motivi possono essere molteplici: e importanti furono, nel caso di Giovanni, anche quelli di carattere politico. Innanzitutto Carlo II d’Angiò, quando nell’estate del 1294 venne da queste parti per recarsi sulla Maiella onde prelevare Pietro del Morrone, non agì per motivi religiosi, che a lui poco interessavano, ma perché il Sacro Collegio, i cardinali, non si decidevano a nominare un nuovo papa, che lo segnalasse per il possesso del regno delle Due Sicilie, dopo un lungo periodo di Sede vacante. Pietro del Morrone, eremita della Maiella, forse gli era stato suggerito da qualche Templare per la sua santità e soprattutto per il consenso popolare. Oltre tutto il frate era facilmente “addomesticabile”, la qual cosa gli avrebbe permesso di raggiungere le sue mire. Ma la segnalazione probabilmente era stata fatta da Tommaso d’Ocre, appartenente alla schiatta dei conti di Celano: questo era avvenuto molto tempo prima, quando Pietro era stato ospite gradito nella Casa Madre parigina dei Templari per più di un mese fino a quando l’eremita era riuscito a farsi ricevere dal papa in Conclave (Lione) e ad ottenere il riconoscimento della sua Congregazione. Perciò, trascorsi anni, fu semplice per il re Carlo passare per Celano (capitale della contea dei Marsi) con il suo corteo in cui erano inquadrati certamente numerosi Templari, che allora facevano parte della guardia reale in genere composta di cavalieri di sangue blu. A questa contea apparteneva il paese di Giovanni, paese ubicato alla estremità orientale della stessa contea e vicino al confine del circondario peligno ed in prossimità del baluardo morronese.
I Templari, come ho scritto e documentato altrove, lasciarono molti segni nel loro passaggio anche a Cocullo e alla sua frazione. L’Ordine di monaci-guerrieri aveva raggiunto l’acme della potenza economica essendo riuscito a superare i sovrani di Francia in fatto patrimoniale e diversi re ne erano debitori. Purtroppo questa potenza fu la loro rovina: infatti il re Filippo il Bello, di stirpe angioina, aveva chiesto al papa francese Clemente V (ormai Celestino V era morto e gli Angioini erano riusciti almeno a spostare la Chiesa in Francia) lo scioglimento dell’Ordine templare e la devoluzione del patrimonio templare alla Corona; Clemente V, pur appartenendo a quel Regno, era sempre un papa e forse stimò che il suo compito relativo alle cose religiose avesse altra autorità e così incominciò la dissoluzione dell’Ordine dei Templari nel 1307, dissoluzione e soppressione che fu definitiva con la bolla “Ad providam Christi vicarii” nel 1312 e l’immediato incorporamento dei beni dei Templari in quelli degli Ospedalieri [8].
Infine vediamo quale potrebbe essere la catena degli eventi, correlati a quelli precedenti ed alla molteplicità di un altro motivo, i quali potrebbero portare alla risposta del titolo: Giovanni, Celestino o Spirituale?
Però forse prima dei Templari erano arrivati gli Antoniani. Successivamente si impose il T. francescano, come simbolo scelto da s. Francesco di Assisi e adottato dai suoi seguaci come segno di devozione cristiana.
I Canonici Regolari di Sant'Antonio di Vienne, detti anche Antoniani [9] erano organizzati da nobili; vestivano un saio con un mantello nero, con il segno di una croce azzurra a tre braccia fissata all’altezza del cuore. Dobbiamo presumere che gli Antoniani, a Cocullo, già operassero quando il re francese Carlo d’Angiò passò con i suoi Templari e che l’accostamento della cappella di Sant’Antonio con la vicina chiesa di Sant’Egidio avesse preso il nome di Saint Gilles (francese) dai primi arrivati; per cui la tradizione antoniana ebbe un rafforzamento in termini economici e Giovanni di Cocullo restò Prefetto Generale dei Celestini almeno fino a quando papa Clemente V cambiò il nome ai “Fratelli dello Spirito Santo”. E allora Giovanni restò Spirituale sfuggendo… alla memoria del Telera.
Cala il sipario sull’abate Giovanni; continuerà lo strascico dei personaggi uniti tra loro da un intreccio politico-religioso-sociale: le “fraterie” di Pietro del Morrone e le Confraternite, la pastorizia, Jacovella Ruggeri, San Giovanni da Capestrano, Costanza d’Avalos, la “nipotina” Costanza Piccolomini, Sant’Orsola, i Chierici Teatini, … Poi il corteo scomparirà e ci sarà il crollo del Santuario di San Domenico. Il paese, che era nato sotto l’egida di Turno, del vitello italico, di sant’Antonio e di San Domenico, sta già scomparendo. Finirà così?
Note
[1] Una curiosità: un devoto di San Domenico, certo Clemente Magnante di San Panfilo d’Ocre morì idrofobo a 13 anni l’8 aprile 1871 dentro il territorio di questo Comune in luogo aperto detto forcella.
[2] Cioè l’anno successivo a quello dell’elevazione a papa di Pietro del Morrone.
[3] N.d.A.- Oggi “Cucuglie” nella parlata popolare.
[4] Fra questi doveva essere il nostro Giovanni, il quale ben conosceva il percorso per averlo già seguito da cavaliere monaco-guerriero templare.
[5] A Sulmona (Badia), nell’Abbazia di Santo Spirito, che è molto vicina a Cocullo, fu scolpito un serpe avvolto nella croce: lo scultore forse significò che gli adoratori della bestia (N.d.A.- gli Spirituali) avevano abbracciato la Croce di Cristo! Erano stati gli Spirituali di Pietro o quelli di Giovanni? Potrebbe anche darsi che i Celestini cocullesi fossero veramente convertiti al Cristianesimo ma non sentissero il bisogno di ripudiare le loro tradizioni ritenendo che le scorie pagane fossero purificate dalla fede, e che altrettanto ingenuamente avessero sfiorato l’eresia affascinati dalla teoria di Gioacchino da Fiore. Può darsi che il serpe simboleggiasse l’inizio del romitaggio di Pietro e soprattutto la supremazia del santo-eremita sulla bestia in quanto questa andò docilmente via allorché nella grotta s’insediò lo stesso (cfr. la professoressa A. Bartolomei Romagnoli rifacentesi al milleduecentesco “Tractatus de vita sua”).
[6] Qui si allude al porcellino sacro che fu metaforicamente impiegato dai monaci per indicare la carità da distribuire ai poveri e agli afflitti. Il modello degli eremiti egiziani visse circa sette secoli prima dei contemporanei Pietro del Morrone e Francesco d’Assisi; ma l’usanza della metafora di cui ho parlato si diffuse qualche decennio prima delle pratiche di Pietro e di Francesco. Sintomatico, o almeno strano, è il fatto per cui fuori la cinta occidentale delle mura del paese di Cocullo sorgeva la cappella di Sant’Antonio, mentre, al di là della cinta e forse a meno di dieci metri di distanza era eretta la chiesa di Sant’Egidio, poi consacrata a San Domenico nel 1746 dal vescovo Mons. Corsignani. Sant’Egidio sarebbe il nome italiano del francese Saint Gilles, anche lui eremita del sud-Europa e morto in Francia, in terre non lontane da quelle in cui si sarebbe poi sviluppato il culto di Sant’Antonio Viennese.
[7] L’amore per gli esseri viventi gli aveva ispirato una preghiera rivolta al Signore: secoli dopo Francesco ripeterà la stessa gratitudine verso l’Altissimo.
[8] I canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne venivano chiamati i cavalieri del tau.
[9] Due nobili francesi, di ritorno dalla Terra Santa, passando per Costantinopoli ebbero dall’imperatore le reliquie da quello trafugate e le portarono a Vienne, dove era già una comunità di monaci. I due diventarono un piccolo nucleo di monaci cavalieri dedicati all’assistenza.