La biscia nella tradizione nella Valle del Flaturno (ex Rio Pezzana)
Se le infermità che mi opprimono me lo avessero permesso forse avrei avuto l’impudenza di affrontare un tema molto più grande di me: avrei voluto scrivere un romanzo storico; ma ora devo limitarmi su per giù a qualche paginetta che comunque potrebbe fissare un tracciato più esplicito e chiaro su un argomento a cui mi pare che ho accennato in vari scritti. Prima di entrare nel tema ritengo che sia necessario risalire alle origini, cioè a quando le vicende ricordevoli hanno cominciato a consegnare (“tradere”) le memorie.
Tranne l’ “homo sapiens”, forse nessun essere vivente ha svolto un ruolo da protagonista come la biscia, a cominciare dagli Ofiogeni all’Idra di Lerna, ad Esculapio, ad Angizia, ad Ercole… Siamo ancora alla mitologia e ai primordi, quando la religione era unico appiglio di salvezza per gli idolatri, i pagani.
Attorno al Mille d.Cr., all’alba del Cristianesimo, un monaco umbro, Domenico di Foligno, nella valle del Pezzana ereditò, arricchendolo con alcuni seguaci, l’eremitismo egiziano di Sant’Antonio Abate e nel suo itinerare fondò un monastero e qualche chiesetta vicino all’oratorio, che poi diverrà “hospitale” di Sant’Antonio. Quel monaco umbro, definito “beato” nella Cronaca Cassinese quando era ancora in vita, fu consacrato santo dal papa Pasquale II il 22 agosto 1104. Un altro monaco, Pietro del Morrone, apparve all’orizzonte nella valle circa trecento anni dopo. Era nato nella stessa regione abruzzese (anche se dal 1964 ora appartiene al Molise). Questo significa che Pietro, oltre ad essere poco colto, aveva una visione geografica abbastanza limitata, ma vide in San Domenico il modello dell’eremita egiziano; forse già a Faifoli aveva sentito parlare del riformista umbro e ne ricalcò le orme nel viaggio verso la montagna della Maiella, ove pure lui eresse chiese e romitori. Di lì scese alle falde del monte, più vicine alla valle del Pezzana e alla base della Maiella costruì l’abbazia di Santo Spirito, nominandola “Abbazia dei Fratelli di Santo Spirito”. La tolleranza religiosa dei Normanni aveva permesso agli ex pagani cristianizzati di conservare le antiche usanze che d’altra parte non erano state esorcizzate da alcuni autorevoli Padri della Chiesa: “Bisogna consacrare i boschi sacri alla Chiesa” e la figura della biscia di San Domenico fece bella mostra di sé attorno al Crocifisso [Vedi nota 1, in fondo al testo].
A questo punto da un lato entra in gioco una discussa raccolta di alcuni mesi del 1400: si tratta di un registro (Archivio della Diocesi di Valva-Sulmona) dei battezzati di un paesino della valle, dove sono raccolti i nomi (e non i cognomi perché allora su queste montagne non erano ancora comparsi i cognomi, salvo che per le prosapie nobili e per i benestanti): in effetti, riportando esso registro approssimativamente oltre duemilaseicento persone e aggiungendovi eventuali non battezzati, il numero sarebbe sproporzionato; da un altro lato consideriamo accanto a quel registro un vecchio schizzo rinvenuto nell’Archivio comunale ove sono tracciati i confini del paese racchiudenti l’abbazia di Santo Spirito e quindi forse anche Sulmona e riflettendo quel rozzo disegno la dimensione o l’evocazione di quell’epoca, si può pensare ad un travaso di popolazione da certe zone ad un paese più raccolto sulle montagne e dove la tradizione era ancora radicata.
Pietro del Morrone, dopo alcuni anni di sede vacante, fu segnalato ed eretto papa a Perugia nel luglio del 1294 dai cardinali e fu consacrato con il nome di Celestino V a L’Aquila il 29 agosto dello stesso anno. Il nuovo pontefice, presunto ammiratore di San Domenico, era attratto dalla tradizione salvata dalla tolleranza religiosa dei Normanni e perciò in quel paese il Cristianesimo identificò in San Domenico il collante religioso degli ex pagani. Quando il monaco molisano divenne papa, quindi, la tradizione era ancora radicata nel paganesimo. Sarà Bonifacio VIII, il suo successore molto più colto e giurista diplomatico, il quale, rendendosi conto dell’evoluzione sociale, rispetto al Mille, che aveva coinvolto anche l’alto clero, a cercare un compromesso: lo trovò nei Francescani Minoriti, i quali fra l’altro avevano creato una frattura in seno al loro Ordine, frattura che vedeva da un lato i Conventuali e dall’altra i Francescani Minoriti: costoro erano molto vicini agli Spirituali Celestini, ma rispettosi del comandamento del loro fondatore e fedeli sempre all’istituzione ecclesiastica. Per questo molti Francescani incrementarono il loro Ordine nella zona di Montecassino, il cui “faro di civiltà” (il Monastero) stava dando alla Chiesa papi e cardinali. Da questo monastero era stato inviato nel 1356 al paese montano un vescovo francescano minorita (Silanis), definito “manesco” da un antico cronista e tutto questo potrebbe giustificare la continuità della “guerra di religione” di cui ho scritto in un altro “fuori sacco”.
Scrive l’Antinori negli “Annali” che il 22 agosto 1392 “da quei monaci s’era propagata in Cucullo la venerazione di S. Domenico Abate e fondatore del Monistero di S. Pietro”. Quei monaci di S. Pietro del Lago erano “precisamente Vincenzo e Marino di Anversa e Angelo di Casale di Bugnara” (Antinori).
Cito due esempi, uno di carattere politico e uno di carattere religioso, delle turbolenze che agitarono la valle del Flaturno:
A- 8 aprile 1400: Ladislao conferma i privilegi di S. Spirito del Morrone (Regesti di Montecassino);
B- Traduzione della Bolla “SAN PIETRO DEL LAGO”
Verso: - Nell’anno sesto del papato di Gregorio XII , nel giorno primo/ di ottobre in Gaeta. Bolla di collazione della Prepo=/ situra del Monastero di S. Pietro del Lago, nella diocesi valvense,
che è dignità anche conventuale/ e di cui i frutti, i redditi ed i proventi/ non eccedono un valore annuo di quindici once d’argento,/ [Monastero] vacante per la morte di Pietro, monaco cassinese,
a favore di Giovanni de Laude, anche lui monaco / del Monastero cassinese dell’ordine di San Benedetto
di nessuna diocesi , collaboratore dello stesso papa Gregorio, ed/ estensore di disposizioni apostoliche.
Recto: 1-Gregorio vescovo, servo dei servi di Dio. Ai Venerabili fratelli vescovi di Spoleto e di Valva nonché al diletto figlio Urbano di Domenico, canonico valvense, [invio] un saluto e la benedizione apostolica. La gradita obbedienza del diletto figlio Giovanni de Laude, monaco
2-del monastero cassinese dell’ordine di S. Benedetto, [monastero] che è di nessuna diocesi , nostro caro e devoto servitore, la quale [obbedienza] dedica a noi e alla sede apostolica e finora non cessa di dedicare con cure sollecite; nonché lo zelo religioso e l’onestà di vita e dei costumi
3-e gli altri meriti lodevoli di probità per i quali certamente si raccomanda [si fa apprezzare da noi] a noi con testimonianza degna di fede, ci inducono a mostrarci verso di lui generosi e grati. Pertanto - siccome abbiamo appreso che il Preposito del Monastero di S. Pietro del Lago solito
4-ad essere governato da un Preposito di detto ordine, nella diocesi valvense, che una volta aveva come ultimo Preposito dello stesso monastero Pietro mentre viveva, è vacante e vaca tuttora - per la morte dello stesso Pietro che terminò i suoi giorni fuori della Curia Romana, volendo noi al predetto
5-Giovanni, che è anche estensore di disposizioni apostoliche e professa chiaramente lo stesso ordine, ammirato dell’obbedienza predetta e dei meriti suoi, ci rimettiamo alla vostra discrezione e ordiniamo con scritti apostolici per fare un favore speciale, che voi, o due o uno di voi per noi
6-o altro o altri, [facciano in modo] che la Prepositura predetta, che esiste come dignità anche conventuale e dipende da detto Monastero Cassinese, sia governata da monaci dello stesso Monastero; e da quella [Prepositura], chi la ottiene temporaneamente, a discrezione dell’Abate del detto monastero cassinese
7-esistente allora, possa essere rimosso e ricondotto al chiostro. I frutti, i redditi e i proventi della quale [Prepositura] sono stati soliti [essere]: non superano un valore annuo di quindici once di argento, secondo la stima comune, come ha riconosciuto? lo stesso Giovanni, sia nella misura premessa sia in qualsiasi altra
8-misura, [stima] fatta nella Curia Romana o fuori di essa nelle mani di un vescovo o davanti ad un Notaio pubblico e a testimoni spontaneamente o per libera scelta del detto Pietro o da parte di chiunque altro o di altri avente allora detta Prepositura; ciò per cui (perché?)il diletto
9- figlio [Quondam o Reverendo?] Enrico, Abbate del detto Monastero cassinese, richiamò al chiostro lo stesso Pietro o altro avente allora la stessa Prepositura o per promozione fatta a qualche Monastero allora vacante del genere di Pietro o da altro personaggio
10- [… ] (affinché) sia senza padrone l’ottenimento pacifico del possesso e dell’amministrazione dei beni dello stesso Monastero, anche se sia stato senza padrone per tanto tempo perché la sua collazione, devoluta legittimamente alla predetta sede secondo gli statuti del Concilio Lateranense
11- o la stessa Prepositura sono riservati e amministrati specialmente da disposizione apostolica; e [se] su tali cose pendesse una lite indecisa tra alcuni e ad essa sia stato solito, il detto Pietro, essere chi è stato assunto per scelta o quello della cui persona la stessa Prepositura è rimasta da ultimo vuota,
12- sia stato cappellano della sede predetta un notaio, un nunzio o, altra volta, un funzionario o un esattore di frutti e proventi dovuti alla Camera Apostolica, o un vice esattore o un famigliare della stessa sede o di qualcuno fra i venerabili fratelli cardinali della nostra santa romana Chiesa,
13- ma sia rimasto legato al figlio dell’iniquità Baldassarre Cosse, una volta cardinale diacono di Sant’Eustachio, ora antipapa, il quale si arroga con ardimento sacrilego di chiamarsi papa Giovanni XXIII, o a certi altri condannati da processi apostolici, purché è dato (da?) al tempo delle cose presenti
14- non abbia qualcuno un potere su quelle cose con tutti i diritti e le pertinenze sue, per autorità nostra abbiate cura di conferire e assegnare al predetto Giovanni immettendo lui o un suo procuratore a suo nome nel possesso fisico della Prepositura e dei diritti e
15- delle pertinenze predetti con la stessa autorità, e difendendo quindi l’immesso, dopo aver rimosso qualunque illecito detentore e procurando che il medesimo Giovanni o il detto procuratore per lui sia ammesso a detta Prepositura legalmente e a lui stesso siano corrisposti integralmente della stessa Prepositura i frutti e i redditi,
16- i proventi, i diritti e tutto ciò che spetta. Frenando gli oppositori con censura ecclesiastica, dopo aver accantonato la citazione; non essendo di ostacolo tanto le costituzioni apostoliche della santa memoria del nostro predecessore papa Bonifacio VIII quanto le altre costituzioni
17-apostoliche e gli statuti e le consuetudini dei monasteri e dell’ordine predetti rafforzati, nelle cose contrarie, con giuramento, ratifica apostolica o qualunque altra conferma. Ma se alcuni avessero ottenuto per sé speciali disposizioni sulle diligenze intorno alle Prepositure di questo genere
18-e a dignità [mascherate] fittizie? o cariche o [disposizioni] generali su altri benefici ecclesiastici di detta sede o dei suoi legati in quelle parti, anche se per quelle [disposizioni] o per altre in qualsiasi modo si sia proceduto a trattenere, riservare e a deliberare
19- su tutte quelle cose vogliamo che sia preferito il predetto Giovanni nell’assegnazione di detta Prepositura, ma neppure che alcun pregiudizio sia generato per quelle cose nell’assegnazione delle Prepositure e delle dignità fittizie o delle cariche o degli altri benefici. Sia se
20- che è stato concesso da detta sede allo stesso Abbate non siano tenuti a ritirare o provvedere alcunché e ai cari figli dei predetti monasteri e a qualsiasi convento, insieme o separatamente, e non possano essere cacciati o perché interdetti o sospesi
21-o scomunicati perché, relativamente alle Prepositure e alle dignità fittizie o cariche, o altri benefici ecclesiastici spettanti alla collazione di quelli, alla provvisione, alla (efficacia?) presentazione, alla scelta o a qualunque altra disposizione congiuntamente o separatamente
22- a nulla valga provvedere con disposizioni apostoliche non facenti piena ed espressa menzione, parola per parola, circa questa concessione, generale o speciale, e ugualmente vi sia un’altra concessione, di detta sede di qualsiasi tenore, per quanto non espressa, nelle cose presenti
23- o totalmente non messa a nulla valga l’effetto di questa grazia in qualunque modo o sia impedito o differito e intorno a questa [grazia], in ogni tenore di qualunque cosa, vi sia una speciale menzione nelle nostre disposizioni. Ma poiché lo stesso Giovanni, come asserisce, ha la Prepositura di S. Salvatore in Piano,
24- in commenda fino al beneplacito della stessa sede di sei once d’oro, e noi tempo fa – al detto Giovanni della Prepositura di S. Desiderato di Pianella, del detto ordine nella diocesi aprutina che è molto danneggiata e crollata ed è stata amministrata altra volta, e i cui
25- frutti, redditi, proventi, secondo la predetta stima, non eccedono il valore annuo di quaranta fiorini d’oro, allora in un certo modo vacante e di cui non ha il possesso – abbiamo comandato volentieri con altre nostre disposizioni di provvedere; ma vogliamo che il detto Giovanni, poiché
26-primieramente, in forza delle cose attuali, ha ottenuto pacificamente detta Prepositura del citato monastero di S. Pietro, decidiamo che la detta Prepositura di S. Desiderato sia vacante da allora, e sia tenuta ad abbandonare del tutto ogni diritto in essa o ad essa in qualche modo spettante.
27- E inoltre da ora decidiamo inutile e vano se altrimenti capiti che si porti violenza su quelle cose da qualsiasi autorità scientemente o ignorantemente. Dato a Gaeta il 1° ottobre, anno sesto del nostro pontificato.
[La bolla risale all’anno 1412; vale la pena aggiungere che Gregorio abdicò pochi anni dopo oberato dal problema degli scismi].
Concludo. L’umiltà e la fedeltà ai suoi principi Celestino V le aveva rivelate quando nel tardo 1294 deponendo la tiara e togliendosi l’abito pontificale aveva ammesso degli errori ed aveva invitato il suo successore ad emendare quelli che ritenesse opportuno correggere ed aveva manifestato il proposito di tornare all’eremo di Santo Spirito per contemplare la divinità con il suo saio monacale; purtroppo la severa prudenza del suo successore, Bonifacio VIII che temeva uno scisma pericolosissimo, non aveva permesso al frate molisano di realizzare il suo progetto. Quindi il suo spiritualismo non fu intaccato da tentazioni scismatiche che gli permettessero di turbare la contemplazione divina; però la tradizione del simbolo dell’eremo (la biscia), a cui Pietro del Morrone avrebbe dedicato un’ode [2], fu conservata dai seguaci Celestini, definiti dal cardinale Caetani-Stefaneschi pressappoco testardi e zoticoni. E così il testimone (la biscia) passò con la tradizione religiosa.
Sembra un’ipotesi azzardata, ma è verosimile perché si basa sulla constatazione per cui, fino a una settantina di anni fa, prima che l’emigrazione svuotasse letteralmente il paese, la ricorrenza della festa di San Domenico era celebrata qui con un acceso folclore e con una devozione sentita verso il pantheon dei Santi, devozione garantita dal cerimoniale svolto in onore del Patrono, il quale aveva avuto la ventura di ereditare anche la tradizione profana. Ricordo una fotografia scattata dal folclorista dilettante Ashby nel 1909, foto che ritraeva la processione di San Domenico con la partecipazione delle statue dei Santi locali.
Note
[1] Secondo alcuni studiosi, però, l’animale rappresenta la S iniziale degli Spirituali.
[2] Secondo molti studiosi si tratterebbe di un apocrifo attribuibile ad un monaco vicino al confratello: “Vita mea”.