Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#108 - 20/06/2023
Fra manoscritti e 'masse'

Fra manoscritti e 'masse'

In una delibera del 23 settembre 1601 leggiamo: … in Cocullo ci sono doi parrocchie… se incomunasse tutti li benefizi cioè de Santo Eggidio et de Santo Nicola… per una comune volontà fu concluso che si facesse in questo modo et la prima domenica del mese si canta la messa a Santa Maria delle Grazie, la seconda et la terza domenica a Santo Nicola et la quarta et la quinta quando ce labia si cantasse a Sant’Eggidio.

Dal precedente documento (nell’Archivio Comunale di Cocullo), attestante che già esistevano due parrocchie a Cocullo nel XVI secolo, passo al manoscritto seguente dove vengono nominati, oltre al motivo del riconoscimento della Confraternita del SS.Nome di Dio, personaggi importanti:
- Padre Sisto da Collecorvino, località che nel XV-XVI secolo apparteneva ai d’Avalos ed in cui sorgeva un convento tenuto nel XIII secolo dai Francescani Conventuali Minori, si rinchiuse in un convento dei Francescani Minori e nel nuovo Ordine fece una brillante carriera fino al soglio pontificio. Ebbe modo di conoscere Ignazio di Loyola, Filippo Neri (che giudicherà poi positivamente Sant’Orsola in una riforma cinquecentesca clericale), il cappuccino Felice da Cantalice e il cardinale Gian Pietro Carafa (cofondatore con Gaspare da Thiene dell’Ordine dei Chierici Teatini a cui Costanza Piccolomini avrebbe poi donato il palazzo di Pio II); a Roma fondò la Confraternita del SS. Sacramento a sollievo dei poveri. Nell’elezione a papa fu sostenuto da Ferdinando de’ Medici.
- Matteo Ruggeri potrebbe essere stato un notabile, considerato che in quel periodo, fra queste montagne, i cognomi di persone comuni non erano ancora perfezionati e più spesso contraddistinti con appellativi o con patronimici: si tratta di un lontano discendente di Icobella Ruggeri, al cui casato si era sovrapposto quello dei Piccolomini?

Il 5 marzo 1596 fu sancita la nascita ufficiale a Cocullo della “Confraternita del SS.mo Nome di Dio”, con un documento, emanato dal convento romano di Santa Maria sopra Minerva e firmato dal Procuratore e Vicario generale dell’Ordine dei Predicatori Padre Paolo Isareio, di cui riporto la traduzione del brano che ci interessa:
« … In virtù della predicazione del Rev. P. Fr. Sisto da Colle Corvino [Vedi nota 1, in fondo al testo] dell’Ordine dei Predicatori ed avete fondato ed eretto un altare e una Cappella, desiderando (voi) che questa istituzione, ordinazione e fondazione siano da Noi accettate, approvate, e avete chiesto molto vivamente (quanto sopra), per mezzo della mediazione di Matteo Ruggeri di detto paese, di confermare con nostri scritti espliciti. Accettando di degnarci di ammettere, approvare e confermare con grazie e favori particolari detta vostra Confraternita, Noi, convinti dalle vostre sollecitudini e dalle pie istanze, accettiamo, approviamo e confermiamo, con l’autorità apostolica che ci è concessa, detta Confraternita istituita come detto, e aggiungiamo vigore di perpetua stabilità e (la) erigiamo, poiché è necessario, con la presente bolla… Omissis. …Ammonendo che nel santo giorno della Circoncisione del Signore si debba celebrare nella stessa Cappella, ogni anno, la festività del Santissimo Nome di Dio conformemente alla decisione e al precetto della santa ed eterna memoria di Pio IV.»

Le nostre Confraternite ormai erano ben organizzate e pronte a svolgere un altro loro compito importante: quello di promuovere il culto pubblico. Il terreno era stato fertilizzato probabilmente non oltre la metà del ‘500, se la prima notizia del culto di San Domenico risale al 1589 (visita pastorale del Vescovo della Diocesi di Sulmona, Archivio della stessa Diocesi). C’entra la predicazione di Fra’ Sisto da Collecorvino? Se fosse così dovremmo cercare di inoltrarci nei segreti della seconda importante stirpe della contea: i Piccolomini, che infine alienarono il feudo ai Peretti, cioè ai parenti di Sisto V. Ma in tal caso, partendo dal tramonto celanese del casato voluto da Pio II, condurremmo la narrazione a ritroso, sul binario morto delle illazioni: infatti si tradirebbe l’assunto cedendo alle tentazioni della fantasia, che spingerebbe al di fuori di quanto è contenuto nelle pergamene cocullesi.

Nel 1578 Gregorio XII, per punire una delle tante disubbidienze del brigante-gentiluomo Alfonso, fece distruggere la rocca di Montemarciano. Per vendicarsi il bandito gentiluomo, il quale si sentiva un po’ coperto dai Medici, i quali gli volevano evitare il sequestro dei beni, nel 1581 attaccò le allumiere di Tolfa nello Stato Pontificio e restò sulle colline circostanti per raggranellare altri uomini per la sua banda. Dopo…
Nelle nostre campagne incontrò la massa di Marco Sciarra e con lui fece lega.
Nulla toglie che, prima di incontrarsi con Alfonso, il quale ce l’aveva con i frati, il bandito avesse saccheggiato l’ospitale cocullese di S.Antonio ma non l’incastellamento derivato nel paese basso dal maniero dei Ruggeri. Le prime notizie del fuorilegge Sciarra risalgono al 1584 quando scorrazzò dalle parti nostre dopo essere sceso dalla Campagna Romana. A questo punto, credo che sia opportuno aprire una parentesi: le terre di Sisto V e quelle di Marco Sciarra gravitavano nell’area dei potentati della zona (attuale provincia marchigiana), e allora era ancora forte l’influenza dei gentiluomini e dei nobili potenti: padre Sisto, francescano colto, era stato certamente alla corte dei signori come confidente e come confessore; Marco Sciarra trovò un alleato ideale in Alfonso il quale ormai aveva perso tutto, anche la protezione di Francesco I de’ Medici. Io penso che fra il 1585/’86 e il 1590 [2], quando ormai Costanza Piccolomini si avviava alla clausura, Alfonso trovò il castello di Cocullo disabitato e, mentre lui continuava le scorrerie, lo lasciò in custodia all’amico Sciarra [3] e alla sua banda. Il magistrato chietino Gambacorta che aveva compilato la lista dei briganti aveva provocato lo spostamento di questi e delle loro bande verso la Campagna Romana e la Marca. Sciarra risalì velocemente fin verso Norcia per ricongiungersi con la banda di Alfonso a Bracciano. Il ricongiungimento avvenne in Sabina, dove progettarono un attacco a Roma. Sisto V comandò alle sue truppe di fronteggiare le masse…

Cocullo allora era ancora scosso fra la caparbia templare e la più recente riforma clericale. L’avvento delle bande armate nel castello potevano avere finalmente buon gioco degli ex Angioini arroccati sulle balze del Curro.
- Nel 1596 nella cappella di Costanza era stata riconosciuta la Confraternita del SS.mo Nome di Dio [4]. La contessina, da giovane, aveva ascoltato i discorsi che si scambiavano la prediletta “zia” Vittoria Colonna e la sua nonna omonima, le quali caldeggiavano la riforma chiesta nel 1582 da Sant’Orsola, suora teatina, a Gregorio XIII.
- Un clima fra il popolare e l’elegante si fuse a Cocullo in un’atmosfera di pace religiosa: le dame colte del circolo di Vittoria, pur non approvando il comportamento di certi prelati, non potevano allontanarsi dalla svolta di Bonifacio VIII, il quale a suo tempo tutto sommato si era prefisso di perpetuare l’istituto ecclesiastico. In quel periodo caddero a proposito le comparse del brigante-gentiluomo e del brigante che si definiva flagellum Dei, et commissarius missus a Deo contra usurarios et detinentes pecunias otiosas» («Marco Sciarra, flagello di Dio, e inviato da Dio contro gli usurai e quelli che posseggono denaro improduttivo»): ambedue di opposta estrazione, ma di ugual sentire; Alfonso fu uno scorridore e un distruttore di prima classe e scorrazzò per tutta l’Italia centrosettentrionale; non meno truce fu Sciarra. Ambedue stranamente riscossero in seno alla popolazione, di tutte le classi sociali, ampia simpatia per le loro bravate ritenute bravure, simpatia espressa a volte in complicità.
- Già dalla fine del 1600 i Cocullesi pensarono di ricostruire o ristrutturare (in alcune delibere si parla di ricostruzione, in altre di riparazione) la chiesa di Sant’Egidio [5]: …li fu ragionato che si desiderava ingrandire lecclesia di santo Eggidio et ancora se si voleva dare Memoriale a Monsignor signor Reverendissimo che le altre Ecclesie havessero da mettere le robbe che si trovano a detta fabbrica… (delibera 19 febbraio 1606). =
Le deliberazioni adottate dall’università cocullese il 30 aprile 1662 e il 23 maggio 1669 recitano rispettivamente: …conforma lantico tempore forno eletti li procuratori (per la festa) della gratia… [6]; …il primo Giovedì de Maggio (che) fu la festa della nostra donna della gratia… Quindi allora la cerimonia del primo giovedì di maggio, squisitamente religiosa, era dedicata alla Madonna; però contemporaneamente si celebrava un rito blasfemo in un’osteria ubicata accanto alla chiesa di Sant’Egidio-San Domenico.

Le tre delibere su riportate denunciano il vecchio attrito esistente fra le correnti religiose, infine corroborate dalle rispettive Confraternite, e un’influenza estranea nella prima.
Nel 1476 era nato Paolo IV e morì nel 1559.
Nel 1566 Filippo II riconobbe a Costanza Piccolomini il diritto a discendere come baronessa di Scafati, titolo spettante al capo della sua linea (Antonio Piccolomini).
Nel 1569 nacque Lucrezia Carafa, trisnipote del papa Paolo IV.
Sul finire dell’anno 1581 morì Silvia, madre di Costanza.
Nel 1582 Costanza diede la contea di Celano allo zio Giovanni.
Il 2 maggio 1585 il cardinale Jacopo Savelli iniziò la procedura per lo scioglimento del matrimonio contratto fra Costanza e Alessandro Todeschini Piccolomini.
Sempre nel 1585 fu restaurato il castello dei Ruggeri-Berardi, diventato Piccolomini, con l’apposizione della seguente targa: “A. D. M. CCCCCLXXXV: Fu procuratore Antonio Francioso e Pietro Marchione”. In mezzo un calice [7].

I contemporanei vedevano nelle azioni di Alfonso Piccolomini la naturale vendetta per le offese recategli dal pontefice e ne giustificavano la violenza.
In definitiva fu risolto tutto il problema da Ferdinando I, granduca di Toscana, facendo impiccare Alfonso il 16 marzo 1591 a Firenze: dopo il 1582 il cugino della contessa Costanza Piccolomini era preoccupato perché il titolo della sua baronia (Scafati) era stato riconosciuto alla cugina fin dal 1566 da Filippo II di Spagna e allora era stato programmato un matrimonio tra Alfonso e Lucrezia Carafa, trisnipote di Paolo Carafa cofondatore, vescovo di Chieti, dell’Ordine dei Teatini, Ordine a cui Costanza alienò il palazzo di Pio II ; in compenso i due cugini due mesi dopo vendettero la contea di Celano a Camilla Peretti e contemporaneamente il card. Montalto, il cui stemma è scolpito sul portone laterale della chiesa di S. Domenico, ristrutturò la chiesa di S. Egidio.

Note
[1] Felice Peretti (n.1520/21-1590) nel 1535 aveva vestito l'abito francescano e nel 1547 era stato ordinato sacerdote. Se questo predicatore fu colui che poi divenne Papa Sisto V Peretti, la predicazione non poteva non risalire a prima degli anni ’40 del Cinquecento, essendo il futuro pontefice nato nel 1520. In proposito si può rilevare, per inciso, l’eventuale collegamento di questo episodio con le successive vicende legate alla signoria cocullese dei Peretti.
[2] M. Armellini: Nell’area di questo magnifico tempio esisteva un’antica chiesa in onore di San Sebastiano, la quale per essere lungo la via papale diceasi de via papae. Costanza Piccolomini, duchessa d’Amalfi, ivi possedea un palazzo che donò ai Teatini l’anno 1590 perché vi stabilissero la loro casa ed edificassero questa chiesa in onore di S. Andrea. Nel 1591 il card. Alfonso Gesualdo dié principio alla costruzione della medesima: la fabbrica fu proseguita dal card. Alessandro Peretti Montalto, nipote di Sisto V e quindi di donna Camilla, la quale nel 1592 costituì un censo a favore del prelato, che la aveva aiutata a pagare il prezzo del feudo . Il prelato incaricò Carlo Maderno di preparare i disegni. Il porporato sborsò l’ingente somma di centosessantamila scudi d’oro. L’abate, poi cardinale, Francesco Peretti, nipote di Alessandro, terminò l’opera e consacrò la chiesa il 4 settembre 1650. (“Le Chiese di Roma”, Ediz. del Pasquino, 1982 -anast. della seconda edizione del 1891, pagg. 454-5).
[3] Il 24 maggio 1874 morì Agostino Sciarra “nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie in seguito a idrofobia, anni 69 di Montecassiano provincia e circondario di Macerata”. E mi fermo qui perché voglio riflettere sul cognome del povero Agostino, cognome che richiama alla memoria il famoso bandito che aveva imperversato anche da quelle parti (Marche), alla fine del ‘500, insieme con il suo degno compare Alfonso Piccolomini.
[4] Potrebbe ravvisarsi in questa denominazione (“SS. Nome di Dio”) un tentativo di compromesso “rappacificatore” fra Spirituali e Cassinati.
[5] Già esistente (v. l’elenco delle chiese cocullesi elencate nel 1356 da mons. de Silanis). La visita pastorale del vescovo de Silanis, a parte che forse sarebbe stata la prima, considerata l’irregolare cadenza della sua recente istituzione, denuncia comunque la vivacità religiosa di un paese tormentato da vicende analoghe. Verosimilmente la chiesetta era ubicata a pochi metri dalla cappella di Sant’Antonio Abate: S.Antonio di Vienne (Francia), Sain Gilles (pronuncia francese “Sen Gigl’”).
[6] Anche adesso la festa della Madonna si celebra, ma il giorno precedente (“Santa Maria”) a quella di S. Domenico.
[7] Simboleggia la celebrazione della Santa Messa.

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