Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#107 - 30/05/2023

Le "Guerre di Religione" tra "Fraterie" e Confraternite
"Ecclesia spiritualis" o "Ecclesia carnalis"?

Il dottor Valente afferma che fra le abbazie più antiche va annoverata, dalle parti nostre, quella di S. Pietro Avellana e lamenta che tra avventure e disavventure sia andata a finire sotto la giurisdizione dell’abbazia di Montecassino, di cui l’abate si fregia ancora oggi dell’altro titolo e delle di essa esperienze evidentemente derivate da quella di San Vincenzo al Volturno. San Pietro Avellana era stata data in commenda [Vedi nota 1, in fondo al testo] nel 1392 da Bonifacio IX al card. Bartolomeo Mezzavacca. Già qualche secolo dopo il Mille il dissesto dell’abbazia di S.Pietro Avellana (Isernia) s’era aggravato. Nei Regesti di Montecassino trascritti telematicamente leggo che il 5 aprile 1293 “alcuni cittadini di Sora si dichiarano arbitri di certi redditi e servizi annuali passati poi al monastero di S. Pietro. (ind.VI, a.IX, Carlo II, Sora”. La dottoressa Marianna Norcia cita i nomi di due “facoltosi fratelli sorani, Gregorio e Giovanni Cello,” i quali il 5 aprile 1293 cedettero al cenobio “vari redditi fondiari”. Pare chiaro che l’Autrice si riferisca al monastero di S. Pietro Celestino di Sora e aggiunge che nel 1316 era priore di quel monastero fra Bartolomeo da Trasacco: “Il monastero apparteneva all’ordine dei Celestini. Il 23 settembre del 1315 il monastero risultava formalmente costituito. Il priore fra Bartolomeo da Trasacco aveva una sua comunità. In tale data nel cenobio sorano, alla presenza del superiore e di tutti i confratelli, ebbe luogo una cerimonia di professione religiosa” (il problema concerneva il dissidio tra Francescani Spirituali e Francescani Minoriti?).
Qualche secolo dopo il Mille, mentre infuriavano le lotte fra religiosi, particolarmente tra monaci e chierici, tra papi e antipapi, tra re e imperatori, accadde a Cocullo un evento che ne turbò profondamente la vita religiosa e che forse contribuì a sconfiggere un’eresia, fra le tante.
Tra gli anticipatori della riforma gregoriana erano stati gli umbri San Domenico e Sant’Amico: ambedue furono anacoreti a Sant’Anatolia e di lì scesero insieme all’abbazia di S. Pietro Avellana (Isernia). Il monastero era stato costruito da San Domenico e Sant’Amico vi restò fino alla morte.
Nel 1104 Pasquale II aveva canonizzato san Domenico e una bolla corografica diocesana di quattro anni dopo citava una chiesa cocullese e non il titolo; sappiamo soltanto da cronisti attendibili che quella chiesa era tenuta da chierici. Gli Angioini cominciarono ad espandere l’influenza su Montecassino, da quando questo monastero cominciò a dare alla Chiesa molti santi e pontefici colti e autorevoli e Carlo I d’Angiò cercò di approfittarne e ottenere l’autorizzazione da un papa (allora la sede apostolica era vacante da almeno due anni e il Sacro Collegio pensava più alle beghe di famiglia che a eleggere il papa): venne dalle parti nostre e dalle parti ciociare per andare a prendere sulla Maiella Pietro del Morrone, ritenuto molto idoneo a svolgere il ruolo di San Pietro, consacrato a L’Aquila il 29 agosto 1294. Dopo la consacrazione, forse per neutralizzare le mine angioine, il nuovo papa passò per Montecassino e ne aggregò i monaci, alquanto dissidenti, alla sua Congregazione [2].
Gli Spirituali della Maiella, da San Domenico (per il suo rigorismo benedettino?) a San Celestino V, erano radicati fortemente e caparbiamente con il collante della roccia delle loro montagne all’arcaismo evangelico. I fautori della “ecclesia carnalis”, pur richiamandosi al Vangelo, avevano individuato l’unica via d’uscita per evitare che l’edificio costruito da San Pietro, cioè l’istituzione ecclesiale, fosse frantumato almeno dalle eresie più pericolose: se San Celestino fu il “Pastor Angelicus”, Bonifacio VIII fu uno dei più colti, giuridicamente e teologicamente, pontefici raffinati. Dopo aver tergiversato, i papi si affidarono agli Ordini dei monaci più rispettosi delle Sacre Scritture e nel contempo rispettosi dei rappresentanti del primo Apostolo.
Dopo la riforma gregoriana tra le personalità più inclini alla svolta bonifaciana fu Bonifacio IX [3], il quale aveva contato sui Francescani Minoriti, contraddetto poi in parte da Gregorio XI, e dal cardinal Tomacelli. Alla fine prevalse la corrente olivetana (Bonifacio IX) e, mentre l’abbazia di Montecassino era vacante dell’abate (infuriava la peste), nella nostra Diocesi da Montecassino fu incaricato della sede vescovile un francescano minorita definito “manesco”, se ricordo bene, da un cronista. I monaci di Montecassino, tramite la grangia casalana, inviarono alla chiesa di S. Amico di Cocullo due monaci con le reliquie di San Domenico (penso che si sia trattato di una strumentalizzazione di qualche monaco avellanita– rifugiatosi a Montecassino dopo l’istituzione della sua commenda -, per la dolcezza e la vocazione caritativa di S. Amico).
Nel 1392, infatti, Bonifacio IX aveva istituito la commenda di alcune abbazie e nello stesso anno, il 22 agosto, i monaci di Montecassino avevano portato a Cocullo, nella chiesa di S. Amico, le reliquie di S. Domenico da essi tenute inizialmente nella grangia dei Casali. Dai Regesti di Montecassino apprendo che fra le proprietà di Santo Spirito (quale?) figura una località nota nel catasto locale con il nome di “valle cauto” (località che è all’estremo sud del territorio cocullese, ai confini con quello anversano); ma nel Regesto, forse per una trascrizione errata, di un amanuense o di un refuso?, risulta “Vallecaulo”.

***

Costanza Piccolomini cominciò la clausura definitivamente e pronunciò i voti solenni nel monastero della Sapienza, a Napoli, il 25 marzo 1595, circondata da agi e privilegi; nel 1590 aveva donato ai Chierici Teatini un palazzo che avrebbe più tardi fatto posto alla chiesa di Sant’Andrea della Valle.
Nel 1500 Costanza Piccolomini, marchesa d’Avalos, nonna della prediletta contessina di Celano, insieme con l’ospitale amica, aveva appoggiato le esigenze spirituali della fondatrice napoletana delle suore teatine, Sant’Orsola Benincasa, ed allora Cocullo subì un ulteriore scossone: era recente la scoperta della polvere da sparo ed il paese era diviso in due nuclei [4]. Nella parte alta di Cocullo oggi esiste un borgo distrutto da vari secoli e dominante la chiesa della Madonna delle Grazie ed altri reperti archeologici: era Cocullo “minore”? Era la parte costruita dai Templari e dagli Angioini? La parte inferiore dell’attuale paese è arroccata e si è sviluppata intorno al castello Piccolomini. Si potrebbe ipotizzare che la dura e lunga battaglia fu vinta dai Cassinati, i quali avrebbero distrutto gli Angioini.
Dunque il vento aveva mutato direzione. Ora l’usbergo dei religiosi non era più in Francia; nel Regno delle Due Sicilie, dopo la pausa di Giovanna d’Angiò Durazzo, avevano avuto il sopravvento gli Spagnoli, a cui erano vicini gli Aragona e i Colonna. Allora non si combatteva più con le scuri, con i forconi e con le spade; ora le palle di pietra di diverso calibro venivano sparate dai cannoni. Forse non spararono sulla chiesa che, secondo un’abitudine frequente nella scultura templare, era una struttura chiesa-fortezza (vedi anche Collemaggio a L’Aquila), perché all’interno erano custodite le reliquie di San Domenico a suo tempo mandate da Montecassino. Molto facilmente, invece, distrussero le mura di cinta del tempietto).
Ancora nel 1778 in un’osteria cocullese si celebrava una cerimonia blasfema, forse voluta da un certo chierico maglianese di nome Cassiano, osteria di cui si chiedeva al re di Napoli la chiusura. Era il venticello del Concilio di Trento e i chierici cominciarono a rivendicare le loro spettanze, usurpate dopo il 1104 dagli Angioini, i quali avevano distrutto la chiesa di San Domenico per costruirvi sopra la struttura religiosa intitolata alla Madonna delle Grazie [5] (i chierici rivendicavano la titolarità della chiesa di S. Domenico del 1104 e la cura delle anime nel paese di Cocullo affidata ai monaci cassinesi?).
Nella “Corografia dei Marsi” l’Antinori (metà ‘700), il quale affermò di avere attinto dal Gattula, scrisse: nel 1392 dal Monastero di S. Pietro del Lago si mandavano monaci a regere la cura delle Anime nel castello di Cocullo colle patentali dell’Abate Casinense, e risedevano nella Chiesa di S. Giovanni in Campo. Quindi, essendo morti i Monaci Andrea e Bartolomeo di Anversa, l’Abbate conferì Rettoria ai due altri Monaci di San Pietro, Vincenzo e Marino, pure di Anversa, in Beneficio ecclesiastico curato e ne commise il possesso a Angelo di Casale di Bugnara, Monaco di S. Pietro medesimo. Da quei Monaci s’era propagata in Cocullo la venerazione di S. Domenico Abate e fondatore del Monistero di S. Pietro.
Che per caso il chierico Cassiano volesse contestare il patrimonio affidato ad Angelo del Casale?
Quanto a Bartolomeo di Trasacco, fedele seguace di Celestino tanto che assisté fino alla morte avendo seguito il “pastor angelicus” nella prigionia di Fumone, diciannove anni dopo divenne priore del monastero di S. Spirito di Sora. Da tutto questo, con brevi e lunghi alti pindarici, potremmo dedurre che il contrasto fra “ecclesia carnalis” e “ecclesia spiritualis” a Cocullo dal XIV secolo si espresse in un conflitto grave.
Le acque si cominciarono a placare quando, alla fine del ‘600 e ai primi del ‘700 le reliquie di S. Domenico furono spostate dalla chiesa della Madonna delle Grazie alla chiesa di S. Egidio, poi consacrata a San Domenico nel 1746 dal vescovo Corsignani.

Note
[1] L’istituto della commenda privava i monasteri degli abati, cioè delle guide spirituali che vivevano con i monaci, poiché i commendatari avevano cariche troppo importanti ed impegnative.
[2] Provvedimento poi revocato da Bonifacio VIII.
[3] Bonifacio IX, nato Pietro Tomacelli (Casarano, 1350 circa – Roma, 1º ottobre 1404).
[4] Da un atto del Municipio di Tossicia (TE) risulta che un Cassiodoro Chiocchio, proveniente da “Cocullo Maggiore”, vi sposò la notte di Natale.
[5] La lieve visione delle cose fra i Cocullesi del nucleo del centro storico e i Casalani della frazione derivasse per caso dall’ingerenza di Angelo di Bugnara?

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