Significato dell’orpello viscido sul simulacro di San Domenico nella processione di Cocullo
“Poscia che Costantin l'aquila volse…”
(Dante, canto VI del Paradiso)
La premessa potrebbe essere suggerita da un dotto teologo cristiano, il quale partendo dalla considerazione per cui ogni solida dottrina scaturisce da un atto di fede e servendosi di figure retoriche, attraversa le nebbie che si accavallano nei millenni e ci accompagna nel mondo della civiltà cattolica illuminata dal trono di San Pietro.
Il pensiero che assilla tanti turisti e giornalisti i quali assistono alla festa del patrono di Cocullo si chiedono quale relazione corra tra San Domenico Sorano ed il suo ornamento viscido durante la processione con i serpi.
Nella iconografia sacra pochi animali sono stati controversi, per la tradizione alterata e modificata dalla radice provocata anche dalla foschia dei secoli e dei millenni che spesso hanno comportato salti pindarici, come il serpe.
Quando nel sesto giorno della Genesi Dio creò l’uomo a sua somiglianza il serpente ebbe un ruolo negativo, decisamente, e perciò, essendo stato lui il tentatore, l’offerente alla costola di Adamo del frutto, è giusto che sia rappresentato sotto i piedi dell’Immacolata. Leggiamo in proposito: Dio disse al serpente che aveva ingannato Eva nel giardino di Eden: “Poiché hai fatto questa cosa, sei il maledetto fra tutti gli animali domestici e fra tutte le bestie selvagge del campo. Andrai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita”.
Ma nella Genesi leggiamo ancora episodi che non dipingono il serpe come tentatore: lo stesso Dio indicherà la via della salvezza dai morsi dei serpenti velenosi e a Mosè suggerisce di rappresentare un serpe sul suo bastone mentre attraversa il deserto per fuggire con i suoi ebrei dallo schiavismo del Faraone.
Verso il 1200, soprattutto in seguito alla venerazione importata dai Templari in onore della Madonna, le idee furono forse un po’ più confuse e il valore relativo del simbolo ofidico finì con il prevalere nel senso negativo. I Templari erano più guerrieri che monaci, più fanatici della “grandeur” che cattolici ingenui, erano venuti in Abruzzo al seguito di un re angioino per farlo salire al trono con il benestare di un papa asservito alla Francia (così credevano). Però poi Pietro del Morrone si dimostrò il “pastor angelicus” più santo che politico e troppo arcaicizzante nella lettura delle Sacre Scritture, per cui alla fine gli Angioini fecero la fine che sappiamo ed i pontefici successivi, specialmente da Bonifacio IX in poi, preferirono attingere molti papi nella fucina di Montecassino per adeguarsi ai tempi avvicinandosi alla Ecclesia carnalis la quale non piaceva affatto a San Celestino, ma forse per lei fece “il gran rifiuto” solo per umiltà al trono di Pietro e non per viltà.
Concludo ribadendo che nella prima frase della Genesi c’è la complicità del serpe tentatore, al contrario delle altre frasi bibliche dove il serpe non svolge un ruolo negativo né compare come tentatore.
Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”, voluta da papa Paolo VI (21 novembre 1964, in occasione del Concilio), leggiamo: …La missione canonica dei vescovi può essere data per mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e universale potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa autorità o da essa riconosciute, oppure direttamente dallo stesso successore di Pietro; se questi rifiuta o nega la comunione apostolica, i vescovi non possono essere assunti all'ufficio.
Al dissiparsi delle ombre templari, si stava chiudendo il periodo burrascoso della configurazione ecclesiale finita nell’esaltazione dell’eremo, fatta da San Celestino sulle orme di San Domenico di Sora, e della ospitalità del serpe, retaggio dell’antica tradizione al pari dei “boschi sacri”, per cui la biscia è da considerare il simbolo vivente della vita eremitica.
I due riti cocullesi, quello profano e la cerimonia cattolica (festa di Santa Maria) si trascinarono fra sussulti e scossoni fino al 1823. Poi, il 27 aprile 1824 il papa Leone XII concesse la duplicazione della festa del 22 gennaio a maggio, lasciando alla Congregazione dei Riti la decisione su alcuni non irrilevanti dettagli rimasti insoluti:
“Il Clero di Cucullo, della Diocesi di Sulmona, celebra la ricorrenza di San Domenico Abate, assegnata dal Martirologio Romano al 22 gennaio, con Ufficio e Messa propri; ma poiché la Gente dei Luoghi circostanti, in quella stagione, per l’asprezza delle vie, è ostacolata a raggiungere quella Chiesa posta sulle montagne, così è prevalsa l’abitudine di trasferire la Solennità esterna al primo giovedì di Maggio. In verità affinché la Folla nel giorno stabilito non cessi dal render le lodi del Santo Abate, il Parroco e il Clero del Luogo su detto hanno supplicato assai umilmente il Santissimo Signor Nostro Leone XII Pontefice Massimo affinché detto giorno d’ora in avanti valga come se fosse Consacrato al Patrocinio di San Domenico, e in esso si possa recitare l’Ufficio, e celebrare la Messa come nel giorno 22 di Gennaio.
Sua Santità per me sottoscritto, relatore Segretario della Sacra Congregazione dei Riti, ha benignamente accordato che il rito, nel rispetto della liturgia, vi sia la duplicazione di maggio. Nel giorno 27 Aprile 1824. Card. Giulio di Somalia, Vescovo Ostiense, vice cancelliere di Santa Chiesa e Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti.” (Dal Libro degli Editti Vescovili)