Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

| #102 ◄ | Articolo #103 | ► #104 | Elenco (135) |
Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi via eMail Condividi via WhatsApp
#103 - 28/04/2023
Il rituale di San Domenico<br>
Come si svolgeva nella prima metà del '900

Il rituale di San Domenico
Come si svolgeva nella prima metà del '900

Lo scienziato aquilano Venanzio Lupacchini, letterato e medico personale del cardinale Anton Ludovico Antinori, tre secoli fa, studiando il fenomeno socio-antropologico gravitante sul fenomeno folcloristico-religioso di San Domenico, intuì il nocciolo della questione. Altro che classi subalterne! Il nucleo abitato del centro storico e la frazione in un passato non molto lontano furono densamente abitati, specialmente la parte bassa del centro e tutta la frazione, coralmente ancorati ad un retaggio di alta spiritualità difeso da una buona economia agropastorale che riuscì appena a scalfire quella piccola ventata di illuminismo caratteristica delle classi più abbienti che si erano installate nella parte alta, ma che tuttavia sembravano essere subalterne della classe prevalente che le aveva affascinate per il loro sentire caparbio di “scarpe grosse e cervello fino”.
Dunque vi erano tutti gli strati sociali: non erano mancati, sia da religiosi come don Crescenzo Arcieri, o da padre Domenico (alias don Giambattista Gentile, alta carica dei Cappuccini), sia da sindaci come don Giuseppe Gentile, che avevano legato Cocullo a molte aderenze autorevoli (un paio di cardinali – forse il cardinal Micara fu convisitatore di padre Domenico -, alcuni sovrintendenti): insomma note rilevanti per un paesino di alcune migliaia di persone ad economia chiusa.
Il primo maggio si celebrerà il “dies natalis” di San Domenico. In realtà si tratta di una duplicazione della festa che ricorreva il 22 gennaio, giorno dell’assunzione alla vita eterna del Sorano, duplicazione che i Cocullesi ottennero all’inizio del 1800 per evitare le bufere e i pericoli che i pellegrini affrontavano sulle montagne innevate e per rispettare, forse, i ritmi della transumanza. Da allora cominciò la decadenza della festa, che oggi è ridotta ad una misera sagra di paese, essendo venuta meno, per la diaspora demografica impressionante, la componente cattolica fra le poche decine di persone residenti, a parte le cerimonie religiose. Ma non mancherà qualche personalità e resterà un piccolo municipio con un grosso centralino telefonico.
Il clero di Cocullo era riuscito a far sublimare e ingentilire dalla religione cattolica quel rito. Allora anche i piccoli paesi potevano attingere esaurientemente alle vocazioni sacerdotali. Cocullo ebbe la fortuna di essere retto per mezzo secolo nella parrocchia da un sacerdote cocullese colto e illuminato spiritualmente e culturalmente (l’arciprete don Loreto conosceva quasi tutti i componenti del Cenacolo michettiano, da D’Annunzio a Michetti a Scarfoglio alla Serao a Tosti a Barbella ecc.). Naturalmente il religioso era pure fornito di vasta cultura, sia religiosamente che pastoralmente, tanto da misurarsi con gli Ordinari della Diocesi con risposte esaustive ed argute. Infine, essendo egli nato a Cocullo, conosceva bene le esigenze e lo spirito dei suoi paesani; laddove ora la carenza delle vocazioni esige un carosello di sacerdoti delle varie parrocchie di vari paesi della Diocesi.
Dopo le festività natalizie già organizzava una colletta fra i Cocullesi residenti e quelli emigrati per sostenere la festa del Patrono.
Quando le condizioni atmosferiche lo permettevano, un gruppetto di uomini con i baffi allisciati e le capacità rispettive e attitudini raffinate, usciti dalla chiesa e abbandonata la parte bassa del paese, la parte più popolosa prima che lo squilibrio del progresso industriale a scapito della coltura agropastorale distruggesse il borgo e provocasse un’enorme diaspora migratoria, salivano nella parte medioalta, si riunivano a consulto e sondavano le disponibilità e le esigenze dei migliori complessi musicali della penisola: erano presenti i componenti del comitato per i festeggiamenti, il Priore della Confraternita di San Domenico, delle persone autorevoli e ricche di esperienze nella vita di relazione; c’era infine un esperto musicale, Alfonso Gentile, facente parte del complesso musicale della banda della milizia ferroviaria del compartimento di Roma, e c’era il Parroco molto estroverso nell’arte in genere e compositore di un inno a San Domenico.
Nell’ombra della sera compariva uno zampognaro che fin da Natale era accompagnato da due giovani pifferai e suonava con il suo strumento la serenata a Giuseppina la ciociara nella speranza di riportare in Ciociaria qualcosa del vincolo comparatico.
Un altro motivo di curiosità per noi ragazzi lo creavano i commercianti che venivano al Municipio per prenotare e per farsi assegnare, pagando la tassa relativa, un posto per la bancarella nei giorni di festa.
Sui rilievi vicini al “ponte di Attilio” razzolavano ancora gli animali della fiera ovina e bovina, mentre nella campagna circostante alcuni miei paesani avevano incontrato le prime compagnie di pellegrini che si spostavano da un paese a quelli vicini per le prime feste dell’anno (Pratola, Goriano, Villalago, ecc.).
Allorché si avvicinava la festa le campane delle chiese richiamavano devoti locali e forestieri per i vespri, mentre io con la mia “pizza” superotto risalivo il rivo al suono delle campane e del campanone della torre in cerca di qualche serparo.
I momenti più suggestivi li avemmo al culmine della festa, dalle 9 alle 11, con il canto e le implorazioni strazianti dei pellegrini; intanto la chiesa si riempiva per la Messa solenne e le vecchiette, evidentemente per ospitalità, raggruppavano vicino al tamburo della chiesa le sedioline che si erano portate da casa.
Verso mezzogiorno la processione usciva, deposta la statua oltre il gradino del portale, il Priore raccoglieva le bisce e le deponeva intorno al simulacro. Quando il tempo e lo stato delle viuzze lo permettevano la processione si allungava e si snodava sugli stretti itinerari calcati dalle orme dei padri percorrendo il borgo antico. All’estrema periferia l’Arciprete si allontanava di qualche metro e, fra l’ex Arco di Porta di Manno e l’acrocoro delle “Ciòcole”, benediceva i campi mentre Valentino approfittava per distribuire ai suonatori e ai primi pellegrini le “pizzelle” e i pasticcini che aveva preparato il giorno prima. E intanto l’eco del campanone copriva i rintocchi delle altre campane richiamando in chiesa il corteo. I serpari raccoglievano mesti le loro prede, che nei giorni successivi avrebbero riconsegnato ai loro areali. A sera, mentre si spegneva l’ultima nota del “Trovatore”, esplodevano i fuochi pirotecnici per la chiusura della Auguri ai Cocullesi di adozione, ai Cocullesi doc, agli economoni (ricordate i capponi di Renzo quando uscì indispettito anche dalle gride dell’avvocato?), a tutti i paesani emigrati, ai Cocullesi del centro storico, ai Casalani e a tutta la Valle.
Nella foto l’ultima processione di don Loreto: vicino al ponte della fonte si intrattiene con un giovane serparo. La tristezza che traspare dagli occhi del sacerdote annuncia la prossima morte, che avverrà dopo pochi mesi.

| #102 ◄ | Articolo #103 | ► #104 | Elenco (135) |
Condividi il blog: Pensieri in Libertà di un Ottuagenario
Condividi su Facebook

Condividi su Twitter

Condividi via e-Mail

Condividi via WhatsApp