Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#102 - 05/04/2023

Dalle calamità e dai conflitti e dalla spiritualità dei primordi ai tumulti della spirale

Quando i secoli (o i millenni) offuscano o frantumano i secoli - La valle del Flaturno.
Recentemente abbiamo illustrato e documentato la portata voluminosa del rio Pezzana. Non oso contraddire studiosi dello spessore di Mommsen, ma mi permetto di avanzare una riserva, sostenuta da constatazioni ripetute, sulle cognizioni corografiche e geografiche e storiche dell’epoca in cui vissero quegli studiosi. Mommsen scrisse circa due secoli fa e non poteva non tener conto di certi mutamenti morfologici del territorio. In definitiva il rio della Pezzana ancora scorreva tumultuoso nel corso superiore per adagiarsi nella pianura placidamente dopo aver superato cascatelle e gorghi che avevano alterato l’alveo di quello che era stato un fiume torrentizio, tanto da azionare e galleggiare ripetutamente la mola del mulino del forno della Refota.
Da bambino io ero sceso più volte nella piana del “Pratatiére” per andare alla vigna di nonna Casilde e poi più giù con gli altri monelli arrivare e soffermarmi a “Silirupe” (“Sulle rupi”), quella che immaginavo essere stata la cascata del fiume sul pozzo del mulino e lì, a sud, sud-est del ristorante “Sofia” e dell’azienda agricola di Domenico…
Ho risalito più volte il corso del fiumiciattolo nei due rami che abbracciavano l’alveo centrale e mi accorsi che in più punti i gorghi, specialmente al tempo delle piogge, segnavano dei rigagnoli circolari.
Un discreto vocabolario greco, quando ero giovincello, mi disse che nella fraseologia “fla” (infra) “tautos”, mi spiegò che quella valle era stata solcata dal Flaturno! Quando venne il volgare con i suoi toponimi quella valle non fu più (è “quiglie”), ma la valle del Pezzana, dal nome della capitale della baronia della contea (Pescina) a cui apparteneva Cocullo.

I reietti delle selve erano sfuggiti alla maledizione di una divinità capricciosa e maligna, ma non alle tempestose burrasche e maree di uno dei più grandi laghi (il futuro Fucino). Intanto, mentre i gorghi si stringevano essiccandosi emergevano le sillabe del toponimo “Pescina”, mentre un soffio leggero saliva dall’Egitto tramite i Basiliani, attutito dall’ “ora et labora” benedettino arricchendo l’assenza dal mondo con la carità.
Era il momento della riforma gregoriana, proposta soprattutto nel basso clero misto di monaci e chierici, un momento che durò molti secoli e si acuì in particolare nella nostra zona, tra Montecassino e la valle del Sagittario attraverso le valli dell’Aniene e i colli del futuro Parco Nazionale dell’Abruzzo, la valle Roveto, e che coinvolse tra il 1100 e il 1300 anche l’alto clero.
L’illustre medioevalista Giorgio Picasso scrive che attorno al Mille, nell’Italia centrale, ad opera di San Domenico da Foligno sorse un movimento monastico (l’ombra del Folignate?); aggiunge, echeggiando le Sacre Scritture nel detto rilanciato anche dai primi agiografi del Taumaturgo, “la città posta sopra un monte non può rimanere nascosta”.
Se dobbiamo parlare di movimento monastico, San Domenico ebbe dei discepoli e Pasquale II, altro riformatore, lo accontentò. Ma allora, pur seguendo il nostro patrono la regola benedettina, a volte se ne allontanò per il rigorismo richiesto dalla situazione tempestosa del clero, aggravata dagli inni attribuiti a lui da Alberico per l’invocazione a Dio, al Figlio ed al Flamine. A caricare la dose è venuta fuori la maledizione di una bestia innocua che in fondo è più pulita di altri animali e che rappresenta il simbolo vivente dell’eremo: la biscia.

Rigore e coerenza nella riforma monastica di Bonifacio IX. La Regola di Giovanni. Monsignor Antinori, già metropolita pure della nostra Diocesi, scrisse che nel 1392 i monaci di Montecassino spostarono nella chiesa cocullese di Sant’Amico dalla grangia casalana le reliquie di San Domenico, e allora l’abate di quell’Abbazia era un Minorita (Fra’ De Tartaris O.F.M., inviatovi dal Papa Olivetano nel quadro della riforma monastica) e quindi spiritualmente un compromesso fra San Francesco e gli Spirituali. L’1 marzo 1392 Luigi II d’Angiò, molto probabilmente sollecitato da Bonifacio IX, scrisse a tutte le collettività dipendenti dall’abbazia cassinese di difendere il feudo monastico dagli attacchi del Duca di Sessa Marzano (nel 1471 Maria Marzano, figlia naturale di re Ferrante, andrà sposa in seconde nozze ad Antonio Piccolomini, capostipite dei rami omonimi); inoltre ricordo che in quell’anno (1392) era abate di Montecassino fra’ Pietro de Tartaris, riformatore olivetano , cioè appartenente all’Ordine a cui allora e da allora attinsero Bonifacio IX ed altri papi per nominare gli abati nel quadro della riforma monastica. L’Ordine Olivetano contribuì enormemente alla riforma monastica. Esso era nato nel 1313, quando fu sciolto l’Ordine dei Cavalieri del Tempio di cui raccolsero l’eredità nell’Ordine Benedettino. Pochi monaci-guerrieri del Tempio francesi sfuggirono alle persecuzioni del loro debitore re di Francia (1313); dopo lo scioglimento dell’Ordine imposto dal sovrano a papa Clemente V.
Adesso si imponeva la riforma monastica perché continuavano i conflitti tra monaci e chierici e intanto si acuiva nel basso clero il turbamento dei “pauperes fratres domini Caelestini” proprio in Abruzzo. Tre cavalieri senesi (Bernardo Giovanni Tolomei, Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizi) fondarono la Comunità-Congregazione Benedettina di Monte Oliveto. I monaci vestivano una tonaca bianca e rozza, e li accomunava ai Templari uno spiccato calore di alta spiritualità, infervorato specialmente nei confronti della Madonna.
Ancora nel 1700 il professor Melchiorre, già direttore della biblioteca diocesana dei Marsi, raccolse una notizia secondo cui un chierico maglianese di nome Cassiano (sintomatico il nome) veniva alle onoranze di San Domenico per celebrare in maniera volgare e offensiva una cerimonia blasfema nell’osteria adiacente alla chiesa, mentre nella piazza si celebrava una cerimonia religiosa in onore della Madonna.
Il clero di Cucullo, della Diocesi di Sulmona, celebra la ricorrenza di San Domenico Abate, assegnata dal Martirologio Romano al 22 gennaio, con Ufficio e Messa propri; ma poiché la Gente dei Luoghi circostanti, in quella stagione, per l’asprezza delle vie, è ostacolata a raggiungere quella Chiesa posta sulle montagne, così è prevalsa l’abitudine di trasferire la Solennità esterna al primo giovedì di Maggio. In verità affinché la Folla nel giorno stabilito non cessi dal render le lodi del Santo Abate, il Parroco e il Clero del Luogo su detto hanno supplicato assai umilmente il Santissimo Signor Nostro Leone XII Pontefice Massimo affinché detto giorno d’ora in avanti valga come se fosse Consacrato al Patrocinio di San Domenico, e in esso si possa recitare l’Ufficio, e celebrare la Messa come nel giorno 22 di Gennaio. Sua Santità per me sottoscritto, relatore Segretario della Sacra Congregazione dei Riti, ha benignamente accordato che il rito, nel rispetto della liturgia, vi sia la duplicazione di maggio. Nel giorno 27 Aprile 1824. Card.Giulio di Somalia, Vescovo Ostiense, vice cancelliere di Santa Chiesa e Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti.
Nel 1824 finalmente Leone XII affidò alla Congregazione dei Sacri Riti una soluzione sibillina di una petizione cocullese altrettanto sibillina.
Sdegno, disprezzo o disapprovazione dell’alto Clero per un rituale pagano di cui si indica una scadenza precisa, che non è degna di essere ripetuta.
Il turbamento che agitava la spiritualità cocullese ebbe uno scossone ad opera di cocullastri ed economastri che si erano appiccicati al paiolo dei satrapi e degli azzeccagarbugli di ogni genere.
A questo punto mi viene una strana idea. Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale, n. 268 del 17/11/2015 è indicata la somma di 1.750.000 euro che lo Stato stanziò con delibera CIPE n. 77 del 6 agosto 2015.

Trasparenza conclamata. La Gazzetta Ufficiale era stato un giornale autorevolissimo “consacrato” sulla rotativa di uno Stato di diritto, un giornale di grandissima tiratura e di massima diffusione sul territorio nazionale; ma già alla metà del 1960 una masnada di galantuomini era stata attratta dai lampadari dei parlamentini regionali e la potestà legislativa si era elasticizzata all’arco delle gambe del signor Bonaventura.
Sul versante del Subasio opposto a quello di San Domenico qualche secolo dopo si arrampicò San Francesco e costruì la Porziuncola. Siccome ora ogni tanto compare o circola una notizia riduttiva della somma stanziata e siccome il centro della Valle Santa del Sagittario in cui operò San Domenico è, salvo i monasteri di Cocullo e di Villalago, qualche chilometro a sud del paese, e siccome alcuni Cocullesi si vantano a chiacchiere di San Domenico, penso che tra sfreddi e tare e svalutazioni quella benedetta somma non sia più sufficiente, penso che la Porziuncola del Folignate possa tornare presso il Flaturno.

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