Uno strano e irrilevante documento trecentesco permeato di mistero e fascino
Premetto un’attestazione sulla meticolosità e scrupolosità con cui il mio compianto professore di religione, Don Antonio Chiaverini, canonico della Diocesi di Valva e Sulmona e responsabile dell’Archivio Diocesano, trascrisse e tradusse un manoscritto, come d’altra parte si può rilevare nelle finali delle parole e sillabe mozze. Inoltre tre considerazioni su circostanze avvenute o documentate: 1- un disegno rozzo, trovato nell’Archivio comunale di Cocullo racchiude nei confini del suo territorio l’abbazia di Santo Spirito, mentre non lascia intravvedere l’agglomerato sulmonese; 2- Ovidio da ragazzo frequentava i luoghi che fino agli anni 1940 erano le cosiddette “putéche de ‘Viddie”, fucina delle nenie marse e peligne, e che invece dopo quella data si rivelarono essere stato il monumentale tempio di Ercole Curino; 3- e dentro cui fu trovato il busto del semidio pagano, ultimo staffettista mitologico, che aveva ricevuto il testimone dalla dea Angizia. Il busto era stato donato al tempio sulmonese da un armatore che forse aveva approfittato, dopo qualche esondazione del grande e turbolento lago Fucino, di qualche passaggio che avrebbe favorito anche il viaggio di Ovidio per raggiungere l’Urbe dalla sua terra natia. Il manoscritto è la copia trascritta e tradotta da Don Chiaverini e dovrebbe riguardare l’elenco dei battezzati cocullesi in alcuni mesi degli anni 1340: è noto che allora i cognomi non esistevano. Soltanto i benestanti e i nobili, per ragioni ereditarie, avevano attributi che poi diventarono cognomi (Benincasa, Ognibene, cioè agiatezza o “pax et bonum”). In quel registro, in quegli spezzoni di anni, i battezzati sarebbero oltre duemilaseicento, di cui alcuni si possono ricondurre oggi a personaggi sulmonesi. Poiché avvenne nel 1356 l’avvento degli Ordini Minori Francescani, sia al priorato di Montecassino che nel Vescovado di Sulmona e poiché nel 1392 i Benedettini della grangia casalana spostarono le reliquie di San Domenico nella chiesa di Sant’Amico di Cocullo e poiché, secondo me, nel 1311 gli Ordini Minori dei Francescani si erano staccati dai Conventuali per seguire le prescrizioni principali di San Francesco (povertà, ecc.) e una parte di loro si unì addirittura ai Celestini (Pauperes Fratres Domini Caelestini), argomento che si acuì allora la lotta fratricida sullo spiritualismo negli agglomerati più vicini alla casa madre di San Celestino.
Alcuni decenni orsono appresi da un atto dello stato civile del Comune di Tossicia (TE) che un mio compaesano, attorno alla metà del 1700, si andò a sposare in quel paese la notte di Natale provenendo da “Cocullo Maggiore”. Da questo si può arguire che allora esisteva un agglomerato più piccolo che poteva essere nominato “Cocullo Minore”. Infatti sul colle più alto prospiciente quello su cui si aggrappa l’attuale centro storico vi era un agglomerato di costruzioni, in parte ristrutturate in pagliai, alcune poi adibite ad abitazioni che, al pari di Cocullo Maggiore, sono un esempio classico di centro fortificato (cunicoli, passaggi segreti, entrate plurime nelle abitazioni): la teoria di case sale dalla piazza della Madonna per via Canale fino alle ultime abitazioni, ripiegando poi in una viuzza parallela a via Canale che conduce all’ “ara di Speranza” scendendo poi a sinistra, fra altri ruderi forniti di pergolati sulle facciate ed anch’essi probabilmente forniti di doppi accessi, sia sulla via del piccolo dirupo sottostante e sul viottolo ora sconnesso, che si chiamava “Via del Calvario” prima che lo ostruisse la terra di riporto forse del tunnel ferroviario sottostante. Perché il documento è molto strano? Sulmona era almeno un paesotto 1300 anni prima della compilazione del disegno che sembra una carta topografica del conflitto che in un territorio ristretto culminò tra Francescani Spirituali e Celestini dall’altra.
E in definitiva c’è una relazione fra il disegno e la compilazione di questo documento?