Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#101 - 07/03/2023

Esperienze
Il folle volo

Roma, 13 gennaio 2023: Ospedale San Giovanni.
Ogni mattina mia sorella era puntuale. Arrivava in orario poco dopo essere stata annunciata dal cicaleccio delle sanitarie e delle parasanitarie che accendevano le luci alternando le loro inflessioni a quelle di qualche uomo. Le prime rondini ad impartire ordini con gridi imperiosi credo che fossero le dottoresse Battisti e Mastrullo. Quando i parenti andavano via mia sorella rimaneva per farmi finire di mangiare, così mi disse poi a casa, considerato il mio caso piuttosto precario.

Dopo qualche giorno la signora Deborah, essendo io tornato a casa, è venuta a conoscenza del fatto che io parlavo, anzi, dettavo frasi complete a mia sorella; la dottoressa Mastrullo, alla quale sarebbe stata riferita la cosa, sarebbe rimasta incredula ed ora io voglio ringraziare tutto il personale che mi avrebbe tirato per i capelli.

Ma, o era la sonnolenza o la condizione psicologica inferiore a quella del fratello, fatto è che mia sorella, per stimolarmi a mangiare, mi insegnava il nome delle dita confondendosi con filastrocche o ninne-nanne più appropriate: “Perbacco”, disse il pollice (percettore di redditi di cittadinanze e di bustarelle varie nonché evasore fiscale), “che fame ho io stamane!”. - A lui rispose l’indice (custode del Larario e sottosegretario ai fornelli spenti): “Oh, non abbiamo pane!”. - “Ebben”, soggiunse il medio (cialtroneria gravitante sulla ciurma aggrappata ai giardini pensili) “andiamo un po’ a rubare!”. - E l’anulare (furfantelli e sfruttatori) subito: “Sarò vostro compare!”. - Scattò vivace il mignolo (terziario francescano): “Rubare!? Ohibò, fratelli: piuttosto che ladruncoli restiamo poverelli!”. == Il folle volo di Ulisse altro non è che lo sforzo dell’uomo teso al recupero di un valore che stava perdendo. Quella metafora trasmise ai sanitari da Vanna un’energia vitale che doveva emergere dal mutismo del fratello.

I nostri soloni avevano fatto un pasticciaccio nel ’60: la Costituzione tutelava all’articolo 32 la salute pubblica molto chiaramente. Poi sono intervenuti i causidici a stravolgerla: mi sia permesso di sfogarmi su un fatto a cui siete estranei e forse di cui, anzi, siete vittime. Andato in pensione, sei mesi all’anno tornavo al paese natio (a circa 900 metri sul livello del mare), dove trascorrevo la stagione estiva: per questi sei mesi non avevo assistenza sanitaria, malgrado – essendo stato impiegato statale – avessi pagato le ritenute relative. E non ero a Tomi, ma in Abruzzo, a casa mia, accidenti ai sette nani! Poi non so se cambiarono le cose per le elezioni o perché cessò l’amministrazione controllata e venne con la sua squadra quel benedetto tenente medico a farmi il vaccino dalla Toscana. Altre spese. C’erano stati due legislatori a regolare una disciplina delicata. Avevo chiesto il domicilio provvisorio sanitario per tre o quattro anni ma non l’ottenni mai. Adesso posso sfogarmi e dire che mi sono nauseato. A sera tutte le dita avevano le falangi ingrossate. “Perbacco!”, disse il pollice “Stasera non ho fame”, e l’indice, perplesso, scrutava i suoi amici: e il mignolo disse al pollice: “E’ vero, tu hai fame. Piuttosto, noi, ladruncoli, son veri ladri quelli!”.

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