Cecco Angiolieri
Nacque a Siena nel 1260, fu contemporaneo di Dante e di quasi tutti i poeti del “dolce stil novo”, ma, al contrario di questi, ebbe una concezione più realistica della donna la quale quelli avevano chiamato “madonna” (termine usato nel gergo della cavalleria) e quindi con un appellativo eloquente anche se subivano fatalmente e fortemente l’influenza dello spirito cavalleresco-nobiliare: essa era idealizzata; il poeta rivoluzionario, invece, le guardò con realismo (con Becchina, la sua amorosa, il realismo fu addirittura esasperato). A titolo esemplificativo cito pochi versi di due sonetti, uno di Dante (“Vita nova”) e uno di Cecco:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ell’altrui saluta
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umilta' vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
S'i' fosse foco, ardere' il mondo;
S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre
e vecchie e laide lasserei altrui
A volte comico, a volte beffardo, sempre mantenendo questo carattere fra lo scherzoso e il dissacrante, la sua lirica in molti sonetti è gradevole e arricchit da una notevole carica burlesca. Descrisse la donna-femmina e non più madonna, si scagliò contro tutto e tutti meno che il vino. Pur avendo la possibilità di condurre una vita agiata, disperse il patrimonio ereditato e poi si lamentò della miseria consolandosi con il vizio; subì pure vari processi.
Mi si permetta un parallelo improprio e abbastanza ardito fra lui e alcuni poeti del “dolce stil novo” (Dante della “Vita nova”, Guinizelli, Guicciardini e pure Guido d’Arezzo ecc.), e alcuni giganti della letteratura di tempi più lontani: un millennio prima Virgilio era stato il più grande poeta della Latinità, ma, quando ne ebbe occasione, adulò l’imperatore ed ebbe una poetica più confacente ad ambienti cortigiani; al contrario Ovidio, il quale, più che pensare all’esaltazione di chicchessia ma esprimendosi in modo corretto, fu un innovatore nel senso che, eccetto in alcune opere come “I Fasti” ed altri scritti (“Le Metamorfosi”, “I pensieri dal Ponto”,ecc), si soffermò diffusamente sul realistico tema dell’amore, con tonalità accentuate su quello sessuale (non proprio gradito al sovrano, il quale voleva e credeva esserne geloso ed egoistico custode per sé ed i suoi notabili), soprattutto quando commise un errore (non confessò mai quale fosse) nei confronti della moglie o della sorella di Augusto, per cui fu esiliato a Tomi (Costanza) a vita.
Oltre 1000 anni dopo, ma successivamente alla prima scuola della letteratura italiana, quella siciliana (Jacopo da Lentini, ecc.), la concezione della donna era capovolta, in virtù dell’evoluzione indubbiamente favorita dalla crescente figura della Madonna, per cui era stato introdotto il termine “madonna” che indicava il sesso femminile. Era fiorito pure il fenomeno della cavalleria che vedeva nella donna quasi un essere spirituale: questo fenomeno influenzò fortemente la poesia. S’imposero allora poeti come Guinizelli, Guido d’Arezzo e lo stesso Dante. Fino a quando non reagì a questa moda un movimento più realistico, a volte troppo, che fu impersonato dal più famoso Cecco Angiolieri.
Torniamo al sonetto “S’ì’ fossi foco…”, pieno zeppo di figure retoriche: notevole l’abisso fra le assurdità di quasi tutto il testo e la normalità del finale. Gli uomini, tranne …i futuri piromani che Cecco, realista com’era, non poteva immaginare, non avevano la possibilità di bruciare il mondo, ma soltanto avvicinare le donne. E questa considerazione lo consolò. La povera Becchina fu respinta da lui che poi riconciliò, ma con maniere brusche e non certo dolci: insomma anche in questo caso trattò la morosa coerentemente con il suo carattere scherzoso e nello stesso tempo irriverente ed egoistico verso tutti: e lo dimostra chiaramente dichiarando, alla fine del sonetto, che desidera tutte le donne per sé, escludendo gli altri, costi quel che costi purché esse non siano “laide”. Non riprega alcuno, neanche Becchina.
Guinizelli è servito; padre Dante si salva con la “Commedia”, a cui non si poteva trovare alcun attributo più azzeccato che “Divina”, anche per le profezie e l’attualità.