Ancora sul Cristianesimo
Credo di aver già scritto, e qui lo ripeto, che se in ogni paesino, anche il più piccolo, il più sperduto e prima che sparisca da tutte le carte geografiche, esistesse un “topo di biblioteca” interessato a divulgare le memorie e le vicende più salienti della regione di appartenenza e soprattutto del luogo natio, questo “topo” potrebbe fornire agli Storici dettagli (oltre che di notizie banali da cestinare) tali da permettere loro di ricostruire e fornire un quadro comprensivo di tanti aneddoti e annotazioni i quali potrebbero rivelarsi importanti o addirittura di integrare e magari correggere lievemente i percorsi di qualche narrazione.
Amelio Pezzetta, che ha scritto vari articoli sui monumenti e sulle memorie del suo paese con stile discorsivo e corretto (non so se abbia pubblicato pure libri), è uno di quei “topi”. Egli, sul numero natalizio del cartaceo di questa Rivista, forse riprendendo e integrando con chiarezza, dovizia di notizie e scrupolo, un mio pensierino apparso nella versione on-line, ha pubblicato un dettagliato articolo sulla diffusione del Cristianesimo in Abruzzo, confermando sostanzialmente quanto io avevo espresso il 12 dicembre 2020, ma in modo più conciso per attenermi alle fonti (es. “Cronaca del Monastero di Montecassino”, opera iniziata a scrivere un millennio dopo il martirio di S.Marco e alcuni decenni dopo la predicazione di San Domenico di Foligno da Leone Ostiense il quale ne lasciò la continuazione a Paolo Diacono) onde evitare inevitabili imprecisioni nel ricordare episodi troppo lontani e a volte confusi. Ecco, nella rubrica della stessa Rivista mi soffermavo sulla contea marsicana di Celano, a cui appartenne fino al 1860 il mio paese; intitolando “Cristianesimo e Monachesimo a Cocullo”(sottotitolo: “Celano”).
Presumo che il Pezzetta sia marrucino, visto che io non lo conosco e lui ama descrivere in particolare monumenti e caratteristiche folkloristici di Lama dei Peligni, paese del versante maiellese della provincia di Chieti. Io ho un grato ricordo di questa città e di molti abitanti della sua circoscrizione sin da quando, di prima nomina, fui assegnato quale impiegato al Provveditorato agli Studi del capoluogo: mi sento ancora al telefono con qualche caro collega o con qualche amico di quei sei anni felici; ma nella memoria resta la simpatia di tutti, degli operatori scolastici dai presidi (diversi li conobbi telefonicamente) ai loro collaboratori. Tempi veramente felici, forse anche perché coincisero con gli “anni ruggenti”.
Prima che il treno arrivasse (il primo viaggio lo feci per ferrovia) un capo-treno del teatino mi faceva da Cicerone e quando il Diretto decelerò egli mi disse che eravamo in prossimità della meta. Erano le ore 22 circa e, affacciatomi al finestrino, vidi una collina illuminata dalle luci di un enorme presepe (a quell’ora la città dormiva, ma i Teatini per celia la definivano “città della camomilla” pure di giorno: un amico del luogo poi mi spiegò che lì quasi prevalevano il ceto nobile, il clero per via anche del Convitto regionale ed i soldati per via dell’ospedale militare regionale e per via delle le caserme) su cui svettava nel cielo stellato il campanile della cattedrale di San Giustino. Scesi e chiesi ad un ferroviere dove poter prendere un mezzo di trasporto che mi portasse in città, e mi rispose, nel più puro dialetto locale /(che capii bene perché pure io, nato e cresciuto nell’Abruzzo appenninico, ero suo corregionale) sollecitandomi a correre dietro la stazione: “Corri qua dietro, ché Peppinella (con lo stesso appellativo battezzai poi la mia prima auto) sta facendo manovra per partire”. Ubbidii e salii in fretta sul filobus. Quelle parole accentuarono l’impressione che avevo avuto perché a me, oltre tutto amante del nostro dialetto, piacquero l’espansività spontanea nonché l’espressione tacitiana ed estroversa.
Insomma tutti e tutto, pure l’ambiente, si presentarono con il belletto. Il mattino seguente venne in ufficio un brigadiere della Legione Carabinieri con il quale, a mia insaputa, aveva parlato papà: fu molto cortese e dopo mi divenne amico: mi diede appuntamento all’ora di uscita e mi accompagnò a casa di un maresciallo, anche lui carabiniere, che lavorava con lui. Il maresciallo fu molto gentile e mi ospitò alla casa facendo riflettere su me il calore della sua bella famigliola, fino a quando io, imbarazzato per la rigida educazione impartita ai figli (non permetteva loro di rientrare dopo le 20 mentre a me aveva dato le chiavi di casa), me n’andai in albergo. Qui conobbi altri sette giovani forestieri impiegati o professionisti con cui condivisi la consumazione dei pasti
Una sera andai a cena prima degli amici e trovai la tavola imbandita con al centro un grosso vassoio troneggiante e colmo di frutta: ero affamato e la mangiai tutta, pure la porzione degli altri! Quando venne un cameriere per vedere se fossero arrivati i miei commensali, mi guardò e scoppiò in una risata..: aveva capito il misfatto.
Qualche tempo dopo, mentre uscivo dall’albergo, incontrai sulla porta un distinto giovane pelato il quale mi rivolse la parola guardandomi attentamente: ”Tu non sei Nino?”. Era Dario, un vecchio compagno di Liceo ancora giovane, sì, ma irriconoscibile per la perdita completa dei capelli. E’ rimasto a Chieti dove ha sposato una conterranea e dove si è stabilito.
Mi lasciò perplesso soltanto un monaco della chiesa di via Mater Domini: ero giunto da pochi giorni e il più caro collega dell’ufficio, ricordandomi che mancavano pochi giorni alla Domenica delle Palme, intendeva confessarsi e mi invitò a fargli compagnia. Acconsentii. Due sacerdoti ci accolsero in due stanze separate. A me capitò un confessore rigido e ormai canuto ma con un folto barbone. Cominciò: “Donne”, mi disse subito con fare interrogativo; “Ma,”Padre, ho premesso che sono arrivato da pochi mesi e che ho conosciuto amici. Se lo preferisce, andrò in un’altra chiesa…”. Improvvisamente divenne espansivo e ci mettemmo d’accordo.
Poi trascorsi sei anni fra i più felici della mia vita (Chieti con la “Casina delle rose”ed il Museo, Pineto con la torre d’avvistamento e con la vecchietta dei molluschi, la pineta di Pescara con la villetta del bravo pianista Gomez, Francavilla con il “convento” del Cenacolo e con il ristorante “La Nave”, San Liberatore della Maiella ed il suo antichissimo monastero con il malandato cimitero antistante, Guardiagrele con le “sise delle monache” (Vedi nota 1, in fondo al testo) e le nipoti del poeta Modesto Della Porta e suoi gioielli e l’ottimo violinista dilettante dott. Orsini, la “Piana delle mele”, Bocca di Valle ed il suo Sacrario o tomba della Medaglia d’Oro Paolucci, San Vito con il suggestivo ristorante “Filippo” e i trabocchi, Ortona e il misterioso castello sul mare, l’abbazia di San Giovanni in Venere, Vasto e “Punta Penna” e i suoi brodetti di pesce e le memorie dei D’Avalos, ecc.; con puntate fino a Termoli per gustare gli ottimi brodetti di mare, ecc. ecc.).
Note
(1) Sorta di bignè di S. Giuseppe con tre notevoli rilievi.