Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#57 - 14/09/2021

Est modus in rebus...

Caro Orazio, è cosa vana suggerire moderazione e saggezza a chi non è moderato né saggio; anzi, il monito, la sollecitazione lo spingono nella direzione sbagliata e magari coinvolge nelle sue iniziative qualche credulone o qualche superficiale o qualche sprovveduto. Passi per chi è nato da genitori a cui i loro avi non avevano tramandato le storie e le leggende del paese, passi dunque per i giovanissimi che le ignorano (e bene farebbero a non inventarsele); ma i forestieri…… Il giornalista o il dilettante, bravo che voglia essere, non riuscirà mai a fare lo storiografo, a meno che non si occupi del luogo natio o del paese abitato a lungo: insomma in centri in cui si è formato e ne ha sviscerato il passato (pure se talvolta chiama in causa altri paesi per paragonare a quelli alcune sfaccettature del luogo natio), gli usi, il carattere degli abitanti, di cui ha una sia pur sommaria conoscenza del territorio.
Mentre io, Cocullese, mi divertivo a cliccare su google, l’attenzione è stata attirata da un titolo che riguardava il mio paese: “Le Storie dello Storico - Cocullo, tra Santi e Serpenti”. Il racconto (è una definizione dell’Autore) si snoda in maniera scorrevole e come tale può essere piacevole ed anche attraente per chi non conosce l’evoluzione e la natura del rituale, soprattutto perché lui parla di “Festa dei Serpari”. Purtroppo gli scrittori forestieri che sono stati quasi sempre attirati dalla componente folkloristica, non hanno avuto modo di scrutare a fondo quella cerimonia, che è bene chiamare con il suo nome: “Il culto e la processione di San Domenico con le serpi”. Bisogna conoscere il rito, dalle origini idolatriche a quelle del tardo paganesimo, dalla religione popolare al Concilio Lateranense del 1961, San Domenico di Foligno fu anche eremita e come tale convisse pure con i serpi nelle grotte: i primi pagani convertiti al Cattolicesimo custodirono gelosamente le loro usanze e le loro tradizioni ingenue e inoffensive che la Chiesa ha accolto come ornamento e simboli (uccelli di San Francesco, porco di Sant’Antonio Abate, ecc.) del potere taumaturgico dei santi. Io non posso approfondire questi discorsi; piuttosto voglio affermare che mi risulta essere stato il Monaco benedettino uno dei primi e grandi riformatori del Mille, quando i frati e soprattutto i chierici, abbandonando le antiche regole dell’ortodossia cristiana, rischiavano di creare uno dei più grandi scismi, Non per niente il nostro Patrono è raffigurato in antichi affreschi vicino a San Benedetto.
Venti o trent’anni dopo la morte del Nostro, Leone Marsicano lo definì “beato” (“Chronica Monasterii Casinensis”). Aggiunse che quello era stato monaco nello stesso Monastero (prima di diventare cardinale dopo il 1070): poi scrisse che, quando San Domenico di Foligno aveva 66 anni, il priore del Monastero dal quale era stato consacrato monaco (il nostro Patrono) lasciò il Convento per infoltire le schiere dei grandi riformatori incaricando però un non meglio qualificato Domenico (che per me era lo stesso) di supplirlo durante la sua assenza. E alla morte del suo maestro pure l’ex allievo (cioè San Domenico) si allontanò seguendone l’esempio: “…il suddetto Domenico, ad imitazione dell’energia del suo maestro, costruì non lontano dal monastero una rocca…”. Poche pagine appresso disse che quello morì a Sora (in verità pare che sia morto vicino Sora, ma dove si dirigeva sentendo prossima la morte?). Trascorsero quasi trecento anni e nel 1294 a L’Aquila fu elevato al Soglio Pontificio un altro santo a noi vicino, San Celestino V, il quale a sua volta ne seguì la severa ortodossia religiosa, e dopo pochi giorni dall’elezione l’ex monaco (capo degli “Spirtuali”), spostandosi alla capitale Napoli, passò per Montecassino (di proposito?) “…incorporando nella congregazione morronese anche l’abbazia più gloriosa e ricca di tradizioni della cristianità latina….” (A. Bartolomei Romagnoli,”Celestino V, il papa eremita” Ed. Nerbini, 2020 Firtenze) punendo severamente i monaci che si erano allontanati dal rigorismo della prima cristianità. Lo stesso pontefice permise ai Francescani Spirituali di Clareno …di potersi staccare dall’ordine dei frati Minori per costituire l’autonoma congregaziono dei Pauperes heremitae domini Coelestini e di poter vivere secondo la regola di San Francesco, pur indossando l’abito grigio dei morronesi….
Ripeto, l’aspetto folcloristico è attraente e anch’io, in giovane età, ne fui affascinato, tanto che conservo ancora la “pizza”, ormai forse almeno sbiadita, di un documentario relativo alla caccia dei serpi di cui scrissi il testo per corredare le immagini girate in “superotto” da un amico “serparo”, documentario risalente ai primi anni del 1950. Ma con il passare del tempo ho avuto modo di riflettere e mi son accorto che l’aspetto religioso è ben più importante: i Cocullesi non lo dovrebbero ignorare, anzi dovrebbero essere orgogliosi degli avi che riuscirono ad attirare l’attenzione della Chiesa sulla tradizione ancestrale, facendola accogliere e sublimare nel suo seno.

Sarei grato a qualche storico, magari pure fra gli Storici del Santuario, se mi volesse correggere.

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