Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#53 - 17/08/2021

Il Castello di Cocullo
3a Puntata: Pietro di Celano e Marano di Antonio di Cocullo

Premetto che ovviamente i testi più seri e i manoscritti più credibili (che io ho cercato di seguire attentamente, anche se non so se sono stato preciso in qualche deduzione – necessaria per coinvolgere Cocullo, insufficientemente nominato nello svolgimento della narrazione della vicenda generale) attingono alle fonti e sorvolano sui dettagli che emergono, quando emergono, da fonti confuse nelle storie locali.

Nel corso di tutto il Medioevo la geografia politica fu sconvolta dagli scontri per le successioni, primo fra tutti il forte attrito fra il Papato e l’Impero per la supremazia. Ora soffermiamoci sulla Contea di Celano, in cui era compreso Cocullo, precisamente nel periodo confuso che attraversò fra il secolo XIV e il XV.
Sappiamo che il Regno nel Mezzogiorno aveva gettato le fondamenta nel 1100 ad opera degli Angioini e che nel tempo di cui parlo la prima regina di Napoli fu Giovanna di Durazzo (Angiò-Durazzo), sorella di Ladislao (morto senza figli) e legittimata dal papa alla successione di Ladislao; alla sua morte (1435) papa Martino V designò gli Angioini a continuare la dinastia, di cui invece la regina aveva promesso la successione all’aragonese Alfonso quando questi l’aiutò sconfiggendo il pretendente Luigi III d’Angiò (Vedi nota 1, in fondo al testo). Allora si rianimarono le turbolenze fra questi e gli Aragonesi, sviluppatesi alla fine del ‘200 (i Vespri Siciliani), allorché i Siciliani avevano messo sul trono Federico, cadetto della Casa d'Aragona nelle cui vene correva il sangue dello sfortunato “giovane di gentile aspetto” (2). Inizialmente la spuntò Renato d’Angiò, ma in Puglia gli Angioini furono sconfitti definitivamente nel 1465, mentre Alfonso l’anno successivo fu incoronato da Bonifacio e Renato fu costretto a fuggire.
Quarant’anni prima, a Celano si era estinta la linea diretta dei Ruggeri con Icobella e il figlio Ruggerotto. Vediamo quali erano state le ripercussioni nella nostra contea e in particolare su Cocullo durante tutto il 1400. Malgrado i baroni (del partito angioino), congiurati, riconoscessero come re Giovanni d’Angiò, Alfonso, forte dell’appoggio di Pio II Piccolomini, aveva mosso loro guerra e sconfisse l’avversario a Troia di Puglia: Antonio, uno dei maggiori protagonisti della vittoria e nipote del pontefice, fu premiato dal re aragonese con il matrimonio contratto fra una sua figlia spuria e lo stesso Antonio nonché con la ratifica a Duca di Amalfi (feudo già assegnatogli dallo zio) e poi con altri feudi, fra cui la Contea di Celano. Questa signoria era appartenuta ai Ruggeri, eredi dei Berardi, che, oltre a gravitare nell’orbita francese, allora era attanagliata da una crisi letale. La lungimiranza del papa Pio II (1458-1464), Enea Piccolomini, aveva favorito Antonio togliendo il feudo a Icobella (che consolò con alcuni possedimenti in Puglia, fra cui il Ducato di Bari poi non ratificato però dal re e allora le rimase semplicemente contessa di Venafro), quando ancora costei, figlia maggiore e legittima di Nicola, si barcamenava fra l’orientamento aragonese e quello angioino (a cui l’aveva obbligata la generale tradizione di famiglia, salvo eccezioni come quella del figlio angioino Ruggerotto). Venti anni prima (1418), era morto Nicola, padre di Icovella e di Pietro (figlio spurio?). Comunque avrebbe dovuto succedere lei; però Martino V a sua volta assegnò la contea nel 1423 al nipote Odoardo Colonna, che già l’aveva occupata dal ‘418 al ‘420. Intanto la giovane era sotto tutela nella famiglia Colonna, cioè di Martino V, fino alla morte di costui, e per il fatto che i due rampolli (Odoardo e Icovella che è dubbio essersi unita ad Odoardo (3)) si sarebbero sposati, di fatto essa restò ugualmente contessa di Celano; ma poi, secondo una versione attendibile, sarebbe fuggita presso il secondo marito (prima di sposarlo aveva avuto da Eugenio IV l’annullamento del precedente matrimonio), il valoroso e anziano angioino Giacomo Caldora (4) conte di Andria fino al 1420, feudo appartenuto ad Odoardo, poi duca di Bari ecc.- Era capitano di ventura al servizio di Giovanna (la quale, per vendicarsi di Luigi III d’Angiò, lo lasciò combattere per gli Aragonesi a L’Aquila). Il conte, ormai vecchio, morì presto e allora Icobella (sempre gelosa della sua contea) si sposò per la seconda volta con Liondello Acclozamora, il quale le assicurava protezione perché, come Caldora, famiglio degli Angioini. Da questo matrimonio nacque Ruggerotto (5). Questo si oppose alla madre, che voleva essere diplomatica con re Ferrante, mentre Ruggerotto si sentiva angioino irriducibile. Infatti poi rinchiuse la mamma nel castello di Gagliano evidentemente nel tentativo di restituire la titolarità della contea ai Ruggeri; ma fu ucciso nel 1495 a Pratola Peligna da un Alfonso Piccolomini (6), il quale con questo omicidio sanzionò la fine delle pretese sulla signoria celanese del partito angioino e l’avvento di feudatari gravitanti nell’orbita della monarchia napoletana (aragonese). Però le acque ancora non si erano placate completamente. Nel 1422 a Icovella aveva ceduto il feudo il reggente fratello Pietro (un figlio naturale di Cola che aveva retto la contea, dopo la morte del padre, sotto la tutela della madre Maria Monalda di Marzano? (7)), il quale due anni prima aveva emanato una disposizione che costituiva un atto di ribellione alla titolarità del re con la cessione dei beni spettanti a quest’ultimo (8):
(trascrizione diplomatica)
Petrus de Celano Dei gratia Celani Comes et caetera (9). Universis et singulis Nobilibus gregiis providis et discretis Viris Sindicis Massariis ac Universitati hominum 2- castri nostri Cuculli singulisque personis cuiuscumque praeminentiae status gradus ordinis et conditionis existentibus fidelibus nostris dilectis salutem et sincerae dilectionis affectum.3- parte vestra nobis et nostrae Curiae oblata petitio continebat quod in eodem castro nostro Cuculli praedicto viguit hactenus longis retroactis temporibus ac ad praesens erat et praesertim tempore quondam Magnifici 4- domini domini Colae de Celano Celani Comitis Regni Siciliae Magistri Iustitiarii Reverendissimi genitoris nostri fuit consuetudo inviolabiliter observata quod pater et mater filio filiusque patri et matri ac 5- frater et soror fratri et sorori coeterique consanguinei utriusque sexus ex linea ascendenti et descendenti et collaterali simul eadem domo non morabantur simulque non trahebant moram ad 6- invicem unus alteri minime succedebat tam ex testamento quam etiam ab intestato contra constitutionum et capitulorum huius regni Siciliae et communium Iurium traditionem. Sed quia in bonis 7- vestris maxime stabilibus omnibus et singulis. Progenitores dicti reverendissimi patris et genitoris nostri et ipse pater et Genitor noster suo tempore succedebant et Nos etiam post ipsorum mortem succedebamus vigore et 8- praetextu consuetudinis supradictae omnibus supradictis exclusis. Qua re pro parte vestra Nobis fuit humiliter et cum instantia maxima postulatum atque supplicatum ut super re huiusmodi providere benigne 9- dignaremur et de spetiali dono gratiae indulgere quod praedictae personae possent ad invicem succedere tam ex testamento quam etiam ab intestato [et ?] de bonis eorundem stabilibus et mobilibus disponere et licite ordinare OMISSIS
15- deliberationes (…) Indulgemus ut vos et quilibet vestrum in omnibus et singulis bonis vestries stabilis et mobilibus sese moventibus rustcanis acqui16- sitis et ac(quirendis) tam ex testato quam ab intestato et de eis disponere tam in ultima voluntate donationes causa mortis et in(ter vivos)
17- facere (possint) OMISSIS 22/23- Datum Galiani anno Domini millesimo quadringentesimo vicesimo die septimo mensis Martii…
(traduzione)
1/2- Pietro da Celano, per grazia di Dio conte di Celano. A tutti ed ogni nobile, agli uomini egregi, saggi e distinti, sindaci, massari ed alle singole persone insigni di qualunque preminenza, stato, grado, ordine e condizione che mi sono cari fedeli del nostro castello di Cocullo (esprimo) i sensi (affetto) di sincera predilezione.3- (Senza dubbio=certamente) la petizione, presentata in vostro favore a noi ed alla nostra Curia, interessava ciò che nel nostro predetto castello di Cocullo è stato in vigore dai tempi passati fino ad oggi, e specialmente al tempo del fu Magnifico 4- signor don Cola da Celano, conte di Celano, gran giustiziere del Regno di Sicilia, molto venerabile genitor nostro. E' stata inviolabilmente osservata la consuetudine per cui il padre e la madre succedeva(no) al figlio, il figlio al padre e alla madre, 5- il fratello e la sorella al fratello e alla sorella, gli altri consanguinei dell’uno e dell’altro sesso per linea ascendente, discendente e collaterale, sia (che) non dimorassero nella stessa casa sia (che) stessero insieme, 6- tanto per testamento quanto anche fuori del testamento, contrariamente alla tradizione, agli ordinamenti ed ai regolamenti di questo Regno di Sicilia nonché del diritto comune. Però, poiché 7- gli antenati del detto reverendissimo padre e genitore nostro, ed a suo tempo lo stesso padre e mio genitore, come al solito succedevano nei vostri beni, specialmente in tutti e nei singoli immobili, e anche a me, per la forza e le motivazioni della consuetudine suddetta, succedevamo dopo la morte degli stessi, 8- dopo aver eliminato gli impedimenti suddetti (10). Visto, che mi è stato chiesto e implorato umilmente e insistentemente di provvedere in vostro favore su questa materia 9- e di accordare, per una forma particolare di favore, che le persone su dette possano succedere vicendevolmente tanto per testamento quanto senza testamento, disportre dei loro beni mobili e immobili, OMISSIS 15- permetto che voi e ciascuno di voi disponga di tutti e singoli beni vostri mobili, immobili, rustici, 16- acquisiti e da acquisure, tanto per testamento quanto senza, e disporre di essi o come lasciti o o per eredità …OMISSIS 22/23- …….Dato a Gagliano nell’anno del Signore mille quattrocentoventi, sette del mese di Marzo.


A questo punto ritengo di dover riportare un brano tratto da «Le memorie istoriche delle tre provincie degli Abruzzi» dello storico Mons. A. L. Antinòri:
Nel 1423, volendo ingraziarsi Luigi III d’Angiò, e vedendosi minacciati da Braccio da Montone, gli Aquilani inviarono uno scritto all’Angioino in cui lo riconoscevano re ed in cui fra l’altro si leggeva: «Si degni il Re comandare la restituzione a Marano di Antonio di Cocullo Cittadino dell’Aquila di un certo Feudo, posseduto dagli Antenati, e dal padre di esso nel Castello di Cucullo del Contado di Celano, posto tolto a lui dal Conte di Celano a cagione della fedeltà serbata ad esso Re». Risposta (di Luigi): «Si faccia come si cerca».
Si direbbe che questo fantomatico Antonio di Marano di Cocullo possedesse il castello: era il maniero normanno in una piccola ristrutturazione di Marano restaurato e ingrandito dai Piccolomini due secoli dopo? Le date sono sospette, poiché coincidono press’a poco con il travagliato periodo di transizione fra i Ruggeri e i Piccolomini, soprattutto con la pergamena di Pietro, che disponeva arbitrariamente di beni non suoi. E’ comunque chiaro che i Marano probabilmente allora si fossero già insediati, anche se la loro minuscola “signoria” dovette durar poco in quel confuso alternarsi di predominio aragonese o angioino e visto che due secoli dopo gli Angioini sarebbero stati sopraffatti (11); e che l’integrazione del Ducato di Amalfi (teniamo presente che Antonio Piccolomini nel 1461 fu premiato da Ferrante con il ducato e solo successivamente con la Contea di Celano) sarebbe avvenuta due anni dopo? Allora domandiamoci che successe nei paesi della contea quando Icobella fu assediata da Ruggerotto.
Evidentemente, incoraggiato dallo squilibrio provocato dalla vicenda oscura di Odoardo Colonna, Marano, che da “soldato di Cristo” era diventato cavaliere gerosolimitano (?) (12) e poi vassus e quindi nobilis, approfittò della situazione. Era un signorotto che avrebbe cominciato la gerarchia dei nobili, a cui invece già apparteneva il cavaliere feudale, il quale avrebbe potuto continuare (13) la discendenza dei Ruggeri almeno fino a quel Matteo Ruggeri che chiederà, nel 1596 (v. la 1.a puntata de “Il castello di Cocullo”) a nome dei Cocullesi, la ratifica della Confraternita del Nome di Dio (v. 2.a puntata).

Note
(1) Oltre tutto costui era figlio di Luigi II che era stato nemico del fratello di Giovanna Ladislao Durazzo, ma era sempre un Angiò, la cui famiglia in effetti continuò (ma vedremo che durò poco, anzi era prossima all’estinzione).
(2) Così definì Dante Corradino di Svevia dopo la battaglia dei Piani Palentini (1268).
(3) Non consumò il matrimonio perché era storpio e impotente.
(4) Nel ‘424 Caldora e i papalini (partiti da Celano al comando di Giordano Colonna) sconfissero e uccisero Braccio da Montone (alias Piccinino) mentre questi assediava l’Aquila. (feudo avuto da Alfonso D’Aragona); ma il padre Fortebraccio da Montone riuscì a fuggire.
(5) Icobella, figlia di Nicola e di Maria Marzano, ebbe altri due figli: Pietro, umanista, e Isabella che poi sposerà un Del Balzo.
(6) Secondo me si tratta sicuramente di Alfonso I figlio di Antonio Piccolomini.
(7) Si tenga comunque presente che nel 1322 era conte di Celano e feudatario di Gagliano Tommaso, marito di Isabella, figlia di Matteo Acquaviva e che fu nominato suo erede il figlio Pietro II.
(8) Questi feudatari erano grandi vassalli e quindi, come tutti, non proprietari del demanio.
(9) Il conte di Celano aveva molti titoli nobiliari; però nel caso specifico quell’”eccetera” sembra sottintendere che Pietro non sappia o non voglia ricordare quelli della casata: fosse il parente di Gagliano? O lui stesso rifugiato a Gagliano? O...
(10) Cioè del diritto, della tradizione ecc. ecc.
(11) Tuttavia finché visse Ruggerotto gli Angioini diedero gli ultimi colpi di coda.
(12) In quell’epoca Cocullo aveva subito fortemente l’influenza dei Celestini.
(13) Nello brano scritto da Mons. Antinori non è indicato il cognome di Marano perché solo dopo qualche secolo (nei paesi sperduti pure più tardi) apparvero i cognomi: prima le persone venivano individuate con il semplice nome di battesimo, nei nuclei più popolosi magari accompagnati dal patronimico.

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