Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#42 - 01/06/2021

I Templari e le loro origini
(3a Puntata)

Il primo re dei Franchi fu Clodoveo (di stirpe salica che generò quella dei Merovingi): i primi dominatori della Provenza dopo la caduta dell’impero romano fino a quando fu invasa dalla tribù dei biondi scandinavi Burgundi (IV secolo). Ai Merovingi seguirono i Carolingi (poi i Carolingi-Capetingi), alla cui discendenza apparterranno Luigi IX il Santo (morto in una Crociata) e, il figlio Filippo III, a cui successe Filippo IV il Bello con i due rami collaterali di Carlo I e Luigi II d’Angiò (Vedi nota 1, in fondo al testo).
Nel 1095 il papa francese Urbano II promosse la prima crociata contro i Musulmani. Lo scopo era quello di liberare la Terrasanta dopo le stragi e la distruzione della chiesa del Santo Sepolcro. Dopo qualche lustro nacque l’Ordine del Tempio quasi contemporaneamente a quello degli Ospedalieri di San Giovanni: Filippo IV cercherà di unificarli e metterli alle sue dipendenze per appropriarsi del tesoro dei Templari (o Cavalieri del Tempio, così definiti perché a Gerusalemme abitarono nel Tempio di Salomone) ma, non riuscendoci, demolirà questo, cioè l’Ordine dei Poveri soldati di Cristo. Essi avevano per motto: “Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam”), e fu fondato (versione francese) nel 1118 dall’aristocratico Hugues de Payns (secondo altri sarebbe stato un nocerino andato in Francia, il che è verosimile, anzi più verosimile sarebbe se il cavaliere fosse stato abruzzese, considerato che la fondazione della chiesa templare di S. Lucia di Magliano risale ai primi del 1200) il quale, secondo alcuni possedeva numerosi feudi in Abruzzo e nella Marsica (!). Vedremo che i Templari, come ho accennato, furono sterminati due secoli dopo da Filippo IV il Bello. Intanto teniamo a mente che l’Ordine (come quello degli Ospedalieri) era nato per armarsi e proteggere i pellegrini in Terrasanta: cioè il loro compito era affine alla funzione (assistenza) che da secoli avevano svolto i monaci di Forca Caruso; ma con una differenza: i primi assistevano pellegrini danarosi e possibilitati a pagare ed affrontare un viaggio dispendioso, mentre i secondi avevano assistito tutti i viandanti).

Dopo la sconfitta definitiva (S. Giovanni d’Acri) il grosso dei monaci-guerrieri si ritirò in Europa e venne meno il compito di difendere i pellegrini, i quali ormai non potevano più andare in Terrasanta. Era giunto il momento atteso dal re di Francia… Stava per cominciare la tragedia templare. Filippo il Bello, a cui servivano soldi e nel contempo era attratto dalla favolosa ricchezza del Tempio, era consigliato dal suo ministro Nogaret (lo stesso dello “schiaffo di Anagni”). Il re, vantandosi di essere il nipote di un sovrano santo (Luigi IX), aspirava a spostare il Papato in Francia (il proposito si realizzerà dal 1309 al 1777: Cattività avignose) e cominciò a tramare contro il pontefice (allora Bonifacio VIII, non compiacente con lui) che, nei suoi piani, sarebbe stato sostituito da un prelato da poter manovrare: per questo, quando nel 1304 fu indetto da cardinali conterranei il Conclave, fu eletto il francese Bertrand de Goth che prese il nome di Clemente V e spostò la Corte ad Avignone. Filippo aveva vinto? Aveva cominciato dal compito più facile. Infatti nel 1291, dopo la disfatta di Acri, gli sfortunati monaci-combattenti dell’Ordine del Tempio reduci dalla Palestina saranno colpiti durante il papato del francese Clemente V. Intanto, durante l’assenza del Gran Maestro de Molay, Filippo IV aveva avuto modo di constatare ed ammirare personalmente le ricchezze del Tempio allorché, ironia della sorte, aveva trovato ricovero nella fortezza templare parigina per sfuggire alla furia della popolazione che era insorta contro la sua politica economica. Ciò non ostante, quello dopo riprese i maneggi (che poi sarebbero sfociati nelle calunnie inventate da Nogaret contro Bonifacio VIII tacciato di eresia) ma soprattutto contro i Templari: tornò ad insistere sul fatto che i beni accumulati da costoro in Terrasanta, salvo quelli necessari alla sopravvivenza, fossero loro tolti essendo venuta meno la necessità di proteggere ed assistere i pellegrini. Clemente, fra minacce e calunnie, in un primo tempo cedette e Filippo approfittò del momento sfogandosi: torturò non una volta i prigionieri crociati che aveva in carcere a Parigi facendone bruciare vivi poi alcune centinaia. Nel 1306 Filippo e Clemente, con la scusa di esaminare il progetto di fondere gli Ordini combattenti in vista di una crociata, richiamarono a Parigi il Maestro del Tempio, allora a Cipro. Era un trabocchetto. L’anno successivo Jacques de Molay giunse a destinazione: era il “pezzo di valore” che mancava ancora al re per far partire la macchina che avrebbe travolto i Templari. Lui e il suo ministro avevano pronte le più infamanti calunnie e nel 1307 ne arrestò un gruppo: le feroci torture di Nogaret avevano costretto i poveretti a confessare delitti inventati, soprattutto gli oltraggi a Cristo, che poi molti ritrattarono per averli inventati sotto tortura, e per questo furono uccisi. Allora tutti i Templari dopo due anni si riunirono a Parigi e ritrattarono in massa: furono bruciati vivi nel 1311. A questo punto il Papa ruppe l’accordo sotterraneo e, osservando le norme canoniche, avocò il processo contro il Maestro e i dignitari rimasti nelle carceri del re: e Clemente la spuntò. Pure contro costoro il re aveva le prove false per ingannare l’Inquisizione, a cui a quel punto quindi avrebbe dovuto consegnare i prigionieri debitamente torturati in precedenza dagli sgherri di Nogaret. Tuttavia appena Filippo ebbe sentore del fatto per cui il Papa, pur essendo disposto a sciogliere l’Ordine incriminato, non avrebbe ucciso i prigionieri, all’insaputa di Clemente fece uscire dalle carceri, incatenati, Jacques de Molay e i compagni e li fece condurre al rogo pronto davanti a Notre Dame nel 1311: i dignitari furono arsi vivi. Il papa, dopo la consueta protesta, cedette di nuovo e ordinò ai regnanti d’Europa di arrestare e torturare i monaci templari e l’anno appresso sciolse l’Ordine del Tempio e ne trasferì le proprietà agli Ospedalieri di San Giovanni (Concilio di Vienne), mandando stavolta all’aria i piani del re perché quei beni erano ambiti da costui.
I Templari superstiti e tutti quelli disseminati fuori della Francia, visto che non potevano contare più sulla protezione del papa, continuarono a prosperare segretamente rifugiandosi in Paesi d’Europa poco frequentati dove nascosero la parte delle notevoli ricchezze ch’erano riusciti a salvare; quei luoghi sono ancora sconosciuti, ma forse si trovano prevalentemente in Italia (dove erano stati già benvoluti da Celestino V).

Tracce templari in Abruzzo, nella Marsica e a Cocullo (2)
Fatto un riassunto della vicenda dei Templari ed anche un cenno sulla loro familiarità (iniziata dalla fine del Concilio di Lione presieduto da Gregorio X) con i Celestini, confermo un’eventuale presenza templare in Abruzzo ed anche a Cocullo; ma pure per intuire l’esistenza di una cerniera, a Forca Caruso, fra i Templari di Francia e i nostri Templari-Celestini.
Vedremo che i Templari ebbero un ruolo rilevante nella vicenda di San Celestino. Quando Pietro del Morrone, “umile frate”, andò a Lione per far riconoscere dal Papa la sua Congregazione fu, accolto da signore nella magione templare e poi durante il Concilio ne ebbe subito il riconoscimento; quindi il futuro Santo non solo era conosciuto dai Templari (ai quali era spiritualmente vicino per la “simpatia” gioachimita), ma fu introdotto e presentato da qualche dignitario influente (Templare), se addirittura l’operazione non fu propedeutica al papato celestiniano di vent’anni dopo.
Mi sembra ora quasi logico coprire una piccola lacuna storica seguendo, solo per poco, la traccia seguente. Abbiamo visto che la culla dell’Ordine era stata la Francia ed era quindi naturale che quando il re francese Carlo I d’Angiò scese in Abruzzo per affrontare Corradino di Svevia, si servisse delle conoscenze (rete viaria, ecc.) dei Templari, tanto è vero che dopo la vittoria aveva fatto costruire per costoro un convento a Santa Maria della Vittoria. Da allora compaiono all’orizzonte cocullese figure indistinte che prenderanno corpo nel ricordo di San Rufino, nei Templari, nel Papa Eremita, in Don Giovanni, negli Ospedalieri Antoniani.

I simboli
Molto diffusi sono i simboli attribuiti ai Templari (3) anche nell’Italia centrale, con epicentro L’Aquila (la città prediletta di Celestino V, il quale aveva conosciuto i Templari a Lione nel 1274 e con loro formò un binomio inscindibile), ma pure in tutta la Penisola. I documenti (napoletano Archivio degli Angioini, Registri Vaticani, Faraglia, Brogi, Gavini, ecc.) ci dicono che i Templari erano insediati nella Marsica già ai primi del 1200 se non nel 1100 (4). Faraglia e Brogi riferiscono che la chiesa di S. Nicola del Tempio in civitate Diocesis Marsicanae si trovava sul Giovenco, fra San Sebastiano e Pescasseroli e che i Cistercensi (5) possedevano un feudo presso Scurcola (S. Maria della Vittoria) con altri feudi (Lecce, Gioia, Corcumello ecc.; che inoltre papa Nicola IV diede al templare frate Nicola, suo cameriere segreto, il palazzo fortificato di Santa Maria di Scurcola e che Ruggero di Celano cedette sei castelli marsicani a Carlo I in cambio di 3000 once d’oro. Quali erano questi paesi? Penso che lo zampino templare ci sia stato anche sui Piani Palentini nel 1268. Alardo di Valery (allora duca di Amalfi) avrebbe avuto in premio il feudo per la partecipazione alle crociate ed alle battaglie guelfe (6); ma era proprio francese? O, in tal caso, un Templare marsicano, nato o meno nella Marsica, al servizio dei guelfi angioini? (7) Infatti uno stratagemma, suggerito da costui, capovolse le sorti dello scontro quando ormai Carlo era stato sconfitto: l’indicazione di alcune anfrattuosità dove nascondere le truppe di riserva. Chi poteva conoscere bene i luoghi? Io penso che la “grandeur” francese abbia attribuito ad un loro guerriero la furbizia strategica, grazie alla conoscenza del territorio da parte di un italiano, che fece la fortuna di Carlo.
I glifi templari di Cocullo attestano la presenza dei Cavalireri-monaci (qui comprendo qualche traccia di quelli del “Tau”, notati specie sulla facciata della grangia casalana) e si manifestano su monumenti religiosi, nei ruderi citati in documenti successivi, soprattutto sulla facciata e su quel che resta di un marcapiano esterno alla base della chiesa della Madonna delle Grazie, ove, sul retro, spicca un campanile a vela simile a quello della chiesa templare di S. Giovanni Evangelista a Celano. Fu eretta su una struttura religiosa precedente nel XIII secolo e subì varie modifiche richieste dai danni subiti nei terremoti. Sulla facciata risalta il rosone romanico-abruzzese e, sotto, un architrave raffigura l'Agnus Dei. La lunetta conteneva un affresco (forse La Natività) purtroppo deturpato da un rozzo accomodo che ha seppellito metà del dipinto sotto una chiazza di cemento. Sulle lesene che affiancano il portale sono incisi un quadrato magico, la triplice cinta, il fiore della vita, la croce, il labirinto ed altri simboli. Ai piedi della facciata, ai due lati del portale, su due sedili in pietra (8) aggettanti è inciso un doppio quadrato magico abbastanza abraso e un po’ sformato da persone che lo hanno calcato per usarlo come gioco del “trix”. Sulla fiancata destra si apre un piccolo portale cinquecentesco da cui si accede all’interno, dove, subito a sinistra il visitatore può ammirare un trittico raffigurante Sant'Antonio Abate, Maria Maddalena e Sant'Amico. Alla stessa epoca risalgono, affrescati, la "Crocifissione", la "Deposizione" e parte di un dipinto forse più recente o opera di artista diverso (raffigura San Michele Arcangelo che pesa le anime?). Dopo il terremoto del 2009, dietro una colonna montante quadrata sono caduti gli stucchi che coprivano alcuni lacerti, forse coevi alla costruzione originaria. La chiesa è monumento nazionale. Graffiti templari li troviamo nei portali e nelle facciate delle chiese a Scurcola (S. Maria della Vittoria), a Pesasseroli, a Trasacco, a Paterno, a Rosciolo (S. Maria in Valle Porclaneta), Avezzano (chiesa di S. Nicola), a Gioia dei Marsi (domus di San Nicola del Tempio). Aleardo Rabini ha segnalato diversi simboli esoterici, italiani e francesi, simili fra loro; inoltre a Moscufo (PE) ha visto nella chiesa benedettina di Santa Maria del Lago, il “TAU” (lettera T che nel primo alfabeto ebraico somiglia alla X con cui comincia il greco Christòs) e che poi anche gli Antoniani cuciranno sull’abito nero. Da altra fonte ho appreso che in Valle di Susa sorgeva l’Abbazia (Precettoria) di S. Antonio di Ranverso dipendente dalla magione templare di S. Egidio di Moncalieri. Il TAU è visibile anche nell’abbazia cistercense di Morimondo (MI), nel Palazzo di Santa Croce a Veroli, (nel quale pare fosse alloggiata quella parte della cavalleria templare addetta all’assistenza ospedaliera). Insomma Templari Cavalieri del TAU lasciarono press’a poco gli stessi segni in molte magioni templari e la stessa atività, e quindi questo è un altro indizio del futuro assorbimento (lo vedremo in altra puntata) dei primi da parte dei seondi. Proprio come a Cocullo. E potrebbero coinvolgere anche Sant’Egidio, il quale fu Patrono di Cocullo e la cui chiesa sorgeva a pochi passi dallo “spitale” di Sant’Antonio.

Note
(1) Luigi IX ebbe un fratello: Carlo I d’Angiò. Mentre continuarono il ramo capetingio Filippo III, Filippo IV il Bello ecc.; iniziarono quello (cadetto) degli Angioini Carlo I d’Angiò e il figlio Carlo II d’Angiò, re di Napoli, Albania e Gerusalemme, ecc.
(2) Specialmente l’”area celestina” fu permeata di un acceso fervore cristiano e i Templari, in particolare, lo manifestarono ripescando vecchi segni esoterici e dando a questi un significato allegorico cristiano; però l’iniziativa non era soltanto loro: anche i Cavalieri del “Tau” avevano lasciato glifi più rozzi (furono ereditati da Templari frettolosi perché sfuggiti alle persecuzioni e che poi erano confluiti nell’Ordine Antoniano, o incisi dalla data di fondazione dei primi Cavalieri?).
(3) In realtà, secondo diversi studiosi, i glifi esoterici sarebbero molto antichi, specie se si considera che alcuni non appaiono su edifici religiosi: sulle mura ciclopiche di Alatri la “Triplice cinta” è stata interpretata come una specie di orologio solare. Ma …se fosse stata incisa da un Templare di passaggio?
(4) A questa data già esistevano o era un gruppo scissionista del Cavalieri del “Tau”?
(5) I Cistercensi (sorti dall’austera Congregazione cluniacense del ceppo fondamentale Benedettino) ebbero in Bernardo di Chiaravalle un protagonista nella fondazione dell’Ordine del Tempio: qualche studioso ha sostenuto che i Templari siano nati dall’influenza da lui esercitata su Ugo Pagani (o “de Pays”).
(6) Carlo era guelfo e gli Svevi (Corradino) ghibellini.
(7) In quel periodo (v.“Catalogo dei Baroni”) il nostro paese era un feudo “di tre cavalieri”, cioè di tre titolati forniti almeno di armatura e con a disposizione un palafreniere: penso che potrebbe essere stato uno di questi.
(8) Molto probabilmente la chiesetta precedente non aveva portato questo titolo, ma quello di Sant’Amico, e aveva ricevuto molti pellegrini (fatti riposare sui sedili) da quando i frati della grangia casalana vi avevano portato la reliquia di San Domenico (benedettino).

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