Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#35 - 14/04/2021
Cocullo - Esercizi commerciali

Cocullo - Esercizi commerciali

Scrivevo nella 1.a puntata (dal titolo "A presto il decollo") che “a causa dell’eccessiva industrializzazione (pur necessaria se meno spregiudicata e ponderata) del mondo, una non tanto leggera sterzata della politica economica a favore dell’agricoltura (in senso lato: colture, pastorizia, allevamento) e dell’artigianato non guasterebbe. Soprattutto nei piccoli centri di montagna, privati delle loro risorse tradizionali e costretti a vivacchiare in balia alle speculazioni dei capitalisti ovvero con il sostegno economico di uno Stato che anche per questo, a sua volta, stenterà a far quadrare il bilancio”.

Il Bar di Cocullo
Il capoluogo ha un solo negozio fornito di bar e generi alimentari. Esso è ospitato in un locale, affittato dal Comune, situato in piazza della Madonna delle Grazie, cioè fuori del centro storico ma nella parte più comoda ed abitata del borgo, proprio dove inizia la strada provinciale. Gli attuali gestori sono Alessandro Spinosa ed Angelo Gavita. I due, volenterosi e squisiti, non sono cocullesi ma conterranei e si presentarono simpaticamente al paese intero nel febbraio 2016, in occasione dell’inaugurazione dell’esercizio, offrendo a tutti i presenti, con la collaborazione delle rispettive madri e sorelle, buffet, prosecco, caffè in un’atmosfera da loro movimentata con musica dal vivo. Recentemente Angelo non ha potuto assicurare una presenza assidua ed allora è stato assunto un corretto dipendente casalano, Raoul Risio. Mi pare che sia stato proprio lui il protagonista di un episodio all’interno del bar: tempo addietro entrò un cliente privo della mascherina anti-virus; il gestore di turno lo invitò ad indossarla ma l’altro rispose con arroganza che non la portava e che non l’avrebbe mai messa. A quel punto, dopo un breve diverbio, l’avventore fu messo alla porta: normale nel rispetto delle disposizioni, si dirà; ma se si pensa come siano rispettosi i “negazionisti”…
Anche a Cocullo i gestori, nel periodo in cui i cittadini sono stati costretti al carcere domiciliare dalla pandemia, hanno portato la spesa ed il loro garbo nelle case.
Suggerisco al Sindaco di tenersi buoni gli attuali gestori e, visto che sono giovani capaci, onesti, volenterosi ed esperti, di coccolarli o per lo meno di considerare quanto sopra (il che io credo che abbia già fatto).

Il Miele di Santoreggia
Valentino alternava gli impegni professionali al lavoro sodo dei campi. Poi sposò Tiziana, originaria di un paese vicino, giovane sveglia e laboriosa come lui, la quale gli fu di validissimo aiuto. Coltivò con lei un bell’uliveto e, cresciuti i figli Francesco e Davide, ebbe altri formidabili collaboratori, per cui Tiziana poté dedicarsi alla realizzazione di un sogno che forse Valentino aveva accarezzato prima di lei: dedicarsi pure all’apicoltura, sì, ma per trarne fonte di grandi soddisfazioni anche economiche: il miele, originato dalle api inizialmente ospitate nelle arnie ben disposte a 900 metri di altitudine, sapientemente lavorato, fu da lei arricchito con diversi aromi ricavati da piante dei nostri monti: sicché, fra le specialità (miele millefiori, di castagno, di acacia, ecc.), già premiata (2° premio) con il miele millefiori, produsse il miele di santoreggia, che fu premiato con una Goccia d’Oro (3° premio) al concorso nazionale di Castel San Pietro Terme (BO) ”Tre Gocce d’Oro-Grandi mieli d’Italia- per la selezione dei migliori mieli di produzione nazionale” Ora Tiziana va orgogliosa dei suoi mieli per i premi strappato agli altri 1011 concorrenti provenienti da tutta l’Italia. Uno stelloncino apparso sul n.3 (anno 2019) questa Rivista forniva i seguenti particolari: “La Guida ai Grandi Mieli d’Italia, per il 2019, con 79 esperti iscritti all’albo nazionale, riuniti in 16 giurie, ha sottoposto in due diversi laboratori ad analisi sensoriale ben 375 prodotti diversi scelti fra i mieli partecipanti. La totalità dei mieli selezionati è stata premiata con Una, Due e Tre Gocce d’oro ecc. ecc.”.
Le Gocce mancanti, è un augurio e una certezza, arriveranno quanto prima, grazie all’apporto dei figli cresciuti, i quali si sono sposati e si potranno avvalere dell’aiuto di due nuove e brave dipendenti.

Tito Chiocchio
Tito è un gran lavoratore. Sa il fatto suo: serio e taciturno, sembra flemmatico, ma è una flemma che riflette il suo carattere: soprattutto è molto riflessivo. Ha rinunciato all’aiuto del pur validissimo figliolo iscrivendolo alla Facoltà romana di Ingegneria che, sono certo, Francesco frequenterà con onore. Vive con la moglie Elena impegnata con le faccende domestiche e manda avanti da solo la sua azienda agricola (allevamento di bovini): non si direbbe! Ha un’energia e una tenacia tali che gli permettono di agire per quattro. Insomma, nato e cresciuto in un rione, l’Aravecchia, ora quasi completamente spopolato, fra gente abituata a vivere in un mondo in cui le soddisfazioni di un lavoro assiduo e duro che apriva gli orizzonti sereni di una esistenza tranquilla nella purezza dell’aria e dei frutti agro-pastorali, degno erede della sua schiatta, del padre e del nonno, il quale visse e partecipò a quel mondo (aveva dimostrato godimento e attaccamento al lavoro, compilando, pur nella modesta istruzione, uno scarno regolamento sul pascolo) e dei suoi avi. A proposito. Pure da giovane continuai a frequentare l’Aravecchia, dov’era la casa dei nonni paterni, e scendevo spesso a trovare il vecchio Domenico (Mingh’). Una volta mi fece visitare la casa: una stanza era arredata con una rozza biblioteca costruita da lui e piena di libri. Conoscendo io la sua precedente attività, gli chiesi come e perché avesse tutte quelle pubblicazioni; Mingo replicò che, essendo emigrati tutti gli amici e dovendo occupare il tempo in qualche modo, si era abbonato ad alcune Case Editrici. La mia attenzione fu attirata da un vecchio ed elegante volume rilegato (se ben ricordo) in pelle e cartonato: lo sfogliai e nel primo risguardo comparve una dedica: Al caro Giampietro- Teresa. Incuriosito, domandai chi fossero i protagonisti di quel rigo (a cui ne seguiva un altro in cui era apposta una data, che non ricordo ma che mi pare risalisse al 1700). Allora l’ospite mi fece un riassunto interessante di ciò che gli avevano raccontato i suoi ascendenti. Un suo avo (il bisnonno? Il trisavolo?) era andato con altri braccianti a lavorare nella campagna romana. Fu poi richiesto nella tenuta agricola dei duchi di Sermoneta (Caetani) e un giorno, mentre passava sotto la torre del castello, assisté a un discorso fra il duca ed un noto orologiaio romano. “Eccellenza,” diceva quest’ultimo “sono proprio spiacente, ma è impossibili raccomodare il vecchio orologio della torre”. Gianpietro intervenne e: “Signore, posso provare io ad accomodarlo?”. Rotto per rotto, gli fu concesso: uno zappaterra avrebbe solo potuto liberare lo spazio per concederlo ad un orologio nuovo. Invece l’impresa riuscì con gran meraviglia del duca: la figlia si chiamava Teresa, e costei si innamorò del bravo e aitante Giampietro. Allora non era ammesso che una nobile sposasse un plebeo. Il nostro cadde in disgrazia e tornò a Cocullo con il regalo della duchessina.
Forse l’impegno ed il fascino del mondo georgico-bucolico non hanno tramandato a Tito questo episodio. Ho trovato ora l’occasione per riferirglielo.

E’ un peccato che pure queste piccole imprese debbano soffrire a causa di una politica economica che non offre prospettive alle imprese nei momenti di emergenza. E’ normale che molti giovani seri, non potendo contare più sulla distruzione pubblica, terrorizzati dagli sbandamenti sociali e dai banchi a rotelle, pensino al futuro affidandosi inconsapevolmente (?) all’insegnamento del filosofo Ricardo.
E’ normale che altri giovani ricorrano alla medioevali corporazioni degli artigiani ed aspirino a divenire Maestri.

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