Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#34 - 06/04/2021

Rottamazione
(una pagina di Storia recente come l’ho assimilata io)

Il verbo “rottamare” usato nel linguaggio politico è un brutto e improprio neologismo poiché comunemente evoca un’automobile rotta che va distrutta e poi …può risorgere con il ferro fuso (ecco l’improprietà: la metafora ci dice che il ferro vecchio è tornato a galla nella palude).
Ora quel verbo sta per entrare abusivamente nel vocabolario pure con quel significato. E si rottama tutto quel che non fa comodo, anche i vecchi come me, anche lo spirito delle leggi, il senso della Giustizia.
Sembra che pesi sull’umanità intera la maledizione di una divinità selenita che si vendica per la violazione del suo regno da parte degli astronauti. Una volta si parlò di un misterioso “Grande Vecchio” che ordiva le trame nel mondo; se era vecchio quando io ero giovane arguisco che ora sia morto …e magari si sia fatto seppellire sulla Luna: di conseguenza la maledizione si è irrobustita concretizzandosi sul nostro pianeta.
Nei primi anni del 1960, annunziata dal sovvertimento dei valori, arrivò una ventata violenta e, facendo posto a nubi plumbee, spazzò via il sereno stravolgendo il concetto di democrazia. Le nazioni che avevano perso la guerra guerreggiata si ripagavano con la vittoria in una specie di guerra economica. L’Italia, fino a pochi decenni prima rispettata, si accingeva a divenire un allegro protettorato. Poi la decadenza si accentuò quando il Grande Vecchio prese ad istruire i pupi cattedratici posticci. Quei pupi erano gli assistenti universitari di allora, i quali furono addestrati a dire le bugie imbrogliando gli studenti scettici o (i più malleabili o compiacenti se non opportunisti) orientandoli verso le loro ideologie. Ricordo che qualche anno dopo diversi titolari anziani, non volendo intaccare il loro prestigio, si dimisero. Forse dall’Università era cominciata l’erosione delle Istituzioni, che fu aggravata da riforme in peggio da quegli ex-studenti (generalmente quelli intelligenti si erano formati per conto loro ed erano in pochi nella palude e soprattutto perché impegnavano il cervello altrove). Negli anni’60 fu emanata la legge sullo svecchiamento dei superburocrati (quegli impiegati che si presumeva fossero vecchi) (Vedi nota 1, in fondo al testo) e ne stiamo subendo le conseguenze. Il pretesto era di favorire l’occupazione dei giovani (raccomandati); quelli non raccomandati e volenterosi furono lasciati allo sbaraglio perché non poterono servirsi del formidabile aiuto di chi li aveva preceduti. Estesasi la marea nera a tutte le scuole, sui mezzi pubblici i giovani rimasero seduti se salivano un vecchio o una donna: il rispetto e l’educazione erano stati sostituiti da un indecoroso senso di riservatezza. Pure l’interpretazione della legge si doveva prestare al ballo: povero Montesquieu, alla faccia del suo spirito! La stessa politica è stata “rottamata”: bisogna correre, anche a costo di combinare i pasticci che fatalmente comporta la fretta, a dispetto della riflessione suggerita dall’esperienza, la quale, sola, evita di cadere nell’abisso.
Ma perché colpire i poveracci che occupano fasce di età veneranda? Ci si arrovella per capirlo, ma, non trovando un motivo valido, viene il sospetto che coloro che vissero epoche felici (eccettuato il periodo delle guerre, quella militare e quella civile) o perlomeno serene facciano trionfare la verità e fughino le bugie che sono state dette: e allora quel pericolo deve essere cinicamente eliminato? Altrimenti certe misure sono inconcepibili per vecchi come me: la riapertura delle scuole, già crocifisse, per tre giorni in piena pandemia; le dichiarazioni che siamo in guerra e non si recluta l’esercito per tenere sotto controllo i cittadini che sciamano nelle discoteche e sulle spiagge; l’idea di mantenere le zone rosse e nel contempo far stipare di studenti i mezzi che portano al lavoro chi serve all’economia; l’ottimismo fuori luogo di certi responsabili che si possono tradurre in esortazioni ai disobbedienti; ecc.

Perché questa geremiade la dovrei fare io? Per tornare al discorso della rottamazione dei vecchi che hanno avuto la ventura di assistere ad assetti statali diversi anche quando portavano lo stesso nome dell’attuale: repubblica democratica fondata su una Costituzione, discussa da alcuni ma valida per i tempi di emergenza in cui fu emanata (dopoguerra) e suscettibile di modifiche in meglio per adattarla a tempi ed esigenze nuovi. Ora tutto questo non è avvenuto e la pandemia ci ha riportato allo sfascio della guerra. Non solo, si è aggravata per via dell’oscura ombra di quel nascosto e impudente cinismo: sembra che i vecchi diano fastidio perché con i loro ricordi potrebbero sbugiardare gli autori della “damnatio memoriae” dei loro tempi: lasciamoli morire in preda ai sofismi di soloni improvvisati (leggasi “apprendisti stregoni”)! E’ un’impressione e uno sfogo per un torto subito. Quale sia il torto l’ho dichiarato in un mio precedente scritto che esige una risposta chiara ed esauriente: perché i cittadini, soggetti a patologie, di una regione italiana sono diversi da quelli di un’altra regione italiana? Non sarebbe il caso, specialmente in momenti di emergenza, di unificare la potestà legislativa dei Governatori senza chiedere i pieni poteri; o i Poteri tradizionali sono cresciuti molto di numero?

Note
(1) Un aneddoto- Lucio, un amico trentaquattrenne (se ben ricordo, ma poteva avere un anno in più o in meno) che aveva un anno di servizio più di me e che dopo pochi mesi sarebbe stato promosso all’empireo dei dirigenti, mi confidò, rosso in viso, che quando e se avesse avuto la promozione durante il vigore di quella legge che oltre tutto regalava sette anni di abbuono senza versamento di contributi ai fini pensionistici, ne avrebbe approfittato non tanto per godersi la pensione da giovane, ma soprattutto perché aveva timore di affrontare grosse responsabilità senza il consiglio degli anziani. Altri tempi!

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