Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#33 - 30/03/2021
A presto il decollo<br />
(Per i modernisti indolenti)

A presto il decollo
(Per i modernisti indolenti)

Nel primo e nel secondo dopoguerra il Comune ha subito un impressionante calo demografico. Ora il colpo di grazia l’ha avuto dall’eccessivo ampliamento della rete autostradale aggravato dall’impulso dato all’industria automobilistica e a quella della rete “ferroviaria veloce” che ha relegato nella cornice di un quadro paesistico le piccole stazioni. A causa dell’eccessiva industrializzazione (pur necessaria se meno spregiudicata e ponderata) del mondo, una non tanto leggera sterzata della politica economica a favore dell’agricoltura (in senso lato: colture, pastorizia, allevamento) e dell’artigianato non guasterebbe. Soprattutto nei piccoli centri di montagna, privati delle loro risorse tradizionali e costretti a vivacchiare in balia alle speculazioni dei capitalisti ovvero con il sostegno economico di uno Stato che anche per questo, a sua volta, stenterà a far quadrare il bilancio. Il preambolo, che non mi si addice perché non è di mia pertinenza e quindi non è fatto per la gente comune come me, è la premessa che cercavo in quanto mi serve per introdurre l’argomento che ci riguarda.
Per fortuna esistono ancora quelli che calzano “scarpe grosse e cervello fino”. Costoro, dopo le iniziali perplessità, non potendo o non volendo emigrare, si sono rimboccate le maniche e hanno cercato di riscattarsi dall’ingiusta condanna inflitta loro dalla sorte, ed hanno seguito l’esempio degli avi i quali con il sudore della fronte hanno fatto fiorire l’economia di un paese malgrado la scarsa fertilità di molte zone montane e rocciose; ovvero esercitando attività produttive o voluttuarie
adeguando alle nuove esigenze la lezione dei vecchi bottegai.
Pure a Cocullo sono sorte piccole aziende agricole e artigianali: in due minuscoli nuclei abitati, comprendenti forse oltre trecento residenti fra Cocullo capoluogo e la frazione Casali (!) sono spuntate 10 aziende agricole e artigianali, oltre a due imprese di bar-alimentari e un posto di ristoro per il riposo notturno e la colazione.
Al primo posto metterei la “Mascioli carni” per la suggestione delle origini non troppo recenti. L’azienda sarebbe nata dal nulla, dalla miseria e dalla laboriosità di Nicola e della moglie Brigida. ò Malauguratamente il timoniere del battello scassato morì a sessantacinque anni (1946) lasciando la moglie e i figli piccoli, tranne Maria che peraltro aveva solo quindici anni. Il capofamiglia aveva lavorato per due, e due furono coloro che riuscirono a mantenere a galla il precario natante: Brigida e l’adolescente Maria, che poco poterono avvalersi del debole aiuto del piccolo e già valido Domenico, un po’ impegnato nella frequenza alle Elementari. Domenico senior, alla morte del padre, aveva dieci anni e, insieme con Pasquina nata l’anno prima, già aveva cominciato a collaborare con la madre e con la sorella Maria, ma le forze unite evidentemente ancora non riuscivano a superare quelle del padre, quindi la famiglia numerosa stentava a vivere in una povertà da cui sarebbe spuntato il germe dell’agiatezza. La voglia di lavorare genera la ricchezza; essa non nasce dalle elemosine altrui, ma dal sudore della fronte. I genitori Mascioli-Marinilli avevano dato a tutti i figli l’esempio di un grande valore, la laboriosità. Il piccolo, cresciuto, inizialmente da solo gettò le fondamenta dell’azienda sacrificando al lavoro pure la maggior parte della notte e solo dopo il matrimonio ebbe l’aiuto della moglie Leda. Le sorelle Maria e Pasquina si sposarono in due paesi vicini, mentre Cesidia si sposò a Roma ed Elisa emigrò in America con il marito cocullese; non dubito che pure loro abbiano raccolto il retaggio dei genitori. D’altra parte so che Pasquina, adesso vecchia, ha contribuito efficacemente alla crescita, allo sviluppo dell’azienda agricola del marito.
Domenico morì nel 2019, un mese dopo della sorella Maria; prima di morire si fece portare all’azienda che aveva creato e di cui subito assicurarono la continuità e la funzionalità i figli Nicola (coadiuvato dal bravissimo figlioletto Domenico e dalla moglie Cinzia) e Paola nonché dal marito di costei Pietro, già suo collaboratore con Nicola. Intanto le figlie di Maria, Iosella, Clelia e Antonietta, ancora prima, resesi conto che l’azienda del nonno era ben condotta, non avendo trovato in paese un locale idoneo a creare l’impresa che avevano pensato di avviare, lo cercarono e lo trovarono in un paese vicino e raggiunsero lo scopo brillantemente, al punto che i prodotti del forno (pane pizza e dolciumi) sono anche esportati in vari punti-vendita, compreso quello di Sulmona dove hanno un locale gestito da Antonietta. Mi sono soffermato abbastanza su queste tre sorelle perché la loro impresa purtroppo non rientra fra le aziende del nostro Comune, ma ho stimato opportuno accennare alla loro laboriosità: buon sangue non mente! L’episodio più significativo e toccante, pure se criticato in famiglia e da persone forse troppo pratiche, è quello di Domenico junior. Dei figli di Nicola, la più grande, la pur volenterosa Arianna, è volata via per fare il capostazione; invece Domenico ha rifiutato la chiamata in due posti che gli avrebbero procurato lo stipendio, ma lo avrebbero allontanato dall’azienda tanto cara al nonno: ora collabora validamente con il padre e con lo zio Pietro: il grande filosofo Ricardo, il quale lasciò l’attività bancaria per l’agricoltura, lo benedirà.

Non mi risulta che da analogo trampolino sia stata lanciata la modesta fortuna di Remo Risio (Ramuccio), il quale operò nella frazione e fu di esempio non solo alla sua famiglia. Erede di un appezzamento terriero su una strada provinciale (che poco più su avrebbe poi servito uno svincolo autostradale), grazie alle sue energie, alla sua intraprendenza e soprattutto alla sua parsimonia, mise da parte un po’ di moneta e si costruì una casetta decorosa sulla strada provinciale. Era lungimirante e pensò che il posto si prestava per accogliere qualche cliente in più, quindi aprì un piccolo bar che lasciò in gestione alla moglie Clelia: anche lei, ora vecchia, collaborò così attivamente che lo stabile che ospitava il bar s’ingrandì e divenne pure una rivendita di generi alimentari nonché di riviste e quotidiani: adesso l’esercizio è gestito dalle figlie Annalisa e Fragolina. Ramuccio aveva cominciato da zero. Raggranellato qualche soldo, aveva comprato un camioncino di terza mano e aveva fatto il trasportatore precario. Qualche risparmio accantonato gli aveva permesso poi di comprare un veicolo nuovo che gli sarebbe stato molto utile in quel momento dell’immediato dopoguerra. Intanto in un grosso locale sotterraneo, sotto l’edificio (abitazione e negozio), cominciò ad accumulare materiale edile ed ottenne pure la relativa licenza di vendita. Ramuccio è morto nel gennaio del 2017 . Ora, ripeto, gli esercizi commerciali ereditati dal padre lo gestiscono le figlie, di cui Annalisa è venuta sposa a Cocullo (e che per questo conosco meglio) portando con sé la laboriosità, la serietà ed il sorriso dei genitori.

Pure il giovane Luca ha la tempra dei genitori intenzionati a lasciargli, a loro volta, un esercizio ben avviato; infatti la madre sembra che abbia manifestato l’intenzione di ingrandire la bella locanda che lei e suo marito Carmine crearono trasformando la capiente dimora del padre di Sofia. Carmine aveva cominciato a lavorare trasportando nei punti-vendita con un furgoncino i prodotti del forno cocllese-anversano, mentre Sofia lavorava nello stesso forno; però quest’ultima fu costretta ad abbandonare quel lavoro per un’allergia alla farina e poco dopo un destino singolare fermò anche Carmine. Intanto i due si erano innamorati: si sposarono e non vollero tollerare l’assillo di restare disoccupati: Sofia, spinta dalla natura ospitale e dal desiderio di unire l’utile al dilettevole guadagnando qualche soldino e nel contempo provando il piacere di sentire il calore della vicinanza altrui (il padre era morto dopo aver costruito la casa), suggerì di sfruttare la comoda casa paterna e lui subito condivise con lei il proponimento di conciliare le esperienze della donna di casa con i profumi fiutati lavoro dipendente e di metterli a frutto. Fu così che iniziarono a rendere più accogliente e adeguato allo scopo il loro nido, abbastanza capiente e adornato di un piccolo giardino: cominciarono con la ristorazione che dopo pochi anni divenne ospitalità completa in una locanda lussuosa con alcune camere disponibili per il pernottamento. Lo stabile, periferico rispetto al piccolo agglomerato, occupa un sito felice sulla strada provinciale:arrivando da Sulmona o da Scanno si scorge ad ogni giravolta il logo SOFIA impresso su una parete esterna della casa che sorge su un’altura dominante la valle.

E’ un peccato che pure queste piccole imprese debbano soffrire a causa di una politica economica che non offre prospettive alle imprese nei momenti di emergenza. E’ giusto che molti giovani seri, non potendo contare più sulla distruzione pubblica, pensino al futuro affidandosi inconsapevolmente (?) all’insegnamento del filosofo Ricardo.

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