Il voto europeo ed il ritorno al passato
Mi viene da dire che, forse, l’unica “novità” leggibile dal recente voto europeo è che per la prima volta gli italiani che hanno votato non hanno raggiunto il 50% degli aventi diritto. Non so nemmeno dire se ora abbiamo toccato il fondo (della disaffezione al voto) o se dobbiamo ancora spettarci il peggio. Ma tant’è.
Agli specialisti in analisi dei movimenti elettorali che stanno affinando teorie più o meno condivisibili sulle ragioni di questa “fuga dalle urne” non sfugge che il fenomeno riguarderebbe più gli “anziani”, stavolta; e che i giovanissimi i quali non soltanto sono andati a votare, magari anche perché favoriti dalla possibilità di farlo senza essere obbligati a tornare a casa, pare che abbiamo espresso, in maggioranza, un voto in controtendenza, rispetto alla moda che ha premiato, qui e altrove, il centrodestra, scegliendo la sinistra pura, quella cioè che ha scarcerato la Salis, per capirci, piaccia o non piaccia. Quali prospettive possa avere questa tendenza è assolutamente presto ed impossibile dirlo.
E già questo dato non è stato per caso un chiaro “ritorno del passato”? Bisogna tornare indietro di alcuni decenni per rintracciare situazioni di questo tipo.
Ma questo, a mio personalissimo parere, non è stato questo l’unico segno, di ritorno al passato.
Come trascurare, infatti, l’esito in qualche modo “bipolare” che ha cristallizzato, almeno in Italia, due blocchi, destra e sinistra, in testa alle graduatorie delle espressioni di voto?
FdI e PD, superando entrambi il 20% dei consensi si sono avvicinati e non di poco, distanziando notevolmente gli altri (quanto meno di dieci punti). Insomma il dualismo tra Giorgia ed Elly (alla vigilia per molti osservatori “improbabile”) pare che abbia funzionato polverizzando ogni previsione (compresa quella del sottoscritto) che al sistema marcatamente proporzionalista attribuiva il rischio di una “eligenda” assemblea di Strasburgo frammentata e frazionata in mille gruppi e gruppuscoli più o meno indeterminati e politicamente poco riconoscibili.
Terzo segno di staticità del quadro politico europeo (o di “ritorno all’antico”) è dato dalla impossibilità di costituire, per effetto del voto, una maggioranza di governo senza “i popolari” e/o senza “i socialisti”, nonostante la traballante situazione interna della Francia e le novità tedesche. (E questo, probabilmente, è anche l’elemento più indigesto alla Presidente del Consiglio italiano; nonostante la sua recente capacità di porsi come interlocutrice credibile nei confronti della maggioranza “Ursula”, provenendo, Lei, da tutt’altro schieramento, che ha sostenuto in questi ultimi anni, la Von der Leyen).
Non nego che personalmente ritengo indecifrabile quello che ci riserva, in futuro, lo sviluppo di quest’Europa, a meno che, “camaleonticamente”, tutto sembra cambiare perché tutto resti com’è, almeno fino a quando non si trovi il modo di far tornare la “pace” tra chi ha ingarbugliato una prospettiva che, dopo gli anni della pandemia, sembrava rivolta a cercare le condizioni per far vivere meglio tutti, compresi gli altri continenti (l’africano, il mediorientale, l’orientale e l’atlantico) che non pare abbiano chiara la prospettiva verso la quale dirigersi (anche perché il turno elettorale elettorale americano sarà innegabilmente condizionante).
E questa vicenda interessa moltissimo e coinvolge direttamente gente povera, come noi, che avremmo bisogno di tranquillità e di certezze per riprenderci una credibile prospettiva di sviluppo che oggi non abbiamo. E sinceramente non capisco come e perché buona parte degli abruzzesi più “abbandonati”, quelli di paesini di una montagna che va scomparendo e che soffre più di ogni altra parte di questo territorio, ha espresso per un complessivo 40% il proprio consenso elettorale a Fratelli d’Italia (la fonte è Savino Monterisi) quasi che Marsilio sia l’espressione del miglior governo possibile, per la risoluzione dei nostri problemi, quando non soltanto per le quotidiane difficoltà dell’assistenza sanitaria, ma anche per la insufficienza delle opportunità lavorative dovremmo sistematicamente contestare quello che “dicono”, più che quello che realmente “fanno” da L’Aquila o da Pescara (Marsilio e i “suoi”). E ora arrivano i proclami (vagamente teorici e retorici) sugli effetti positivi che ci riguarderebbero con l’avvento di un forte ruolo affidato alle mani dell’intelligenza artificiale. “Non abbiate paura di questa sfida” ha detto qualche giorno fa l’assessore regionale alle attività produttive Tiziana Magnacca, “non perdetevi d’animo”, concludendo che bisogna essere ottimisti e vincenti, bisognerà essere competitivi nel mondo e l’Ai “accelera i processi produttivi e la collocazione delle merci nei mercati globali”. Tutto questo (e altro…) in un’intervista sulla prima pagina regionale dell’inserto del quotidiano “Il Messaggero”, proprio nel giorno in cui, in altre pagine dello stesso giornale si lamentava la difficoltà di un’impresa su due ad assumere manodopera; fonte dell’informazione un’indagine di Unioncamere.
Occorre prudenza nelle interviste. Soprattutto occorrerebbe sapere bene di cosa si vuol parlare.
Come del resto, a proposito di sanità e della polemica fresca ed attuale del reperimento dei fondi per sanare i debiti del 2023, come ulteriore (e quotidiana) risposta ai dinieghi dell’assessore Verì sulla difficoltà di risanamento, non può essere sfuggito in questi giorni che la commissione, presieduta da Gatti, che insiste su questa posizione critica nei confronti della sua collega, con pareri espressi in modi diversi più o meno da tutti i membri, maggioranza e opposizione, ha invitato i manager delle ASL di L’Aquila e Teramo, in particolare, “a preparare piani di rientro” cioè a predisporre “tagli”, per essere espliciti; ovvero a chiedere al Ministro, su proposta di Scoccia ed altri, fondi aggiuntivi, dal piano di riparto nazionale. E la memoria torna, necessariamente, ad una forte, ma inutile polemica, su un MES “schifato”.
Ma torniamo, per chiudere, al domani dell’Europa, derivante dal voto della settimana scorsa.
Meloni, innegabilmente, è stata l’unica a vincere, tra coloro che in questi anni hanno sostenuto Ursula. Ha saputo districarsi tra le contraddizioni di una coalizione che presiede in Italia e che esplicitamente, almeno da parte della Lega, ha “remato contro”. Ora dice che vuol dettare le condizioni per continuare a garantire questa posizione (che chiaramente interesserebbe o dovrebbe o potrebbe “far bene” all’Italia).
Potrà farlo? Come, a quale prezzo, visto quello che accade in Francia e in Germania? Lo scopriremo vivendo.