Alla ricerca della ZES
Che fine avrà fatto la ZES? La domanda se la pongono in molti. Anche autorevoli, parlamentari ed ex parlamentari, comunque persone che si occupano dell’interesse pubblico regionale e che furono tra i primi a sostenere l’istituzione di questa considerevole infrastruttura per una regione come la nostra che recentemente è stata presa seriamente in considerazione per “il corridoio Balcanico” dell’interscambio commerciale.
Luciano D’Alfonso e Camillo D’Alessandro, insieme al segretario regionale della UIL Michele Lombardo (che sull’argomento ci rilasciò una significativa intervista) sono tra questi. Noi stessi, all’epoca plaudimmo alle scelte del Governo che per la ZES abruzzese aveva riservato una persona seria ed affidabile che in pochi mesi ha utilizzato i fondi a disposizione per “attrezzare” uffici e competenze che già davano segnali di efficacia ed efficienza.
Erano i tempi post-Covid. Poi, però, già con le elezioni europee all’orizzonte, in coincidenza con le prime assegnazioni dei fondi del Pnrr, lo stesso Governo lanciò l’idea di accentrare a Palazzo Chigi la gestione diretta della politica propria delle “Zone” nelle mani del Ministro Fitto, con l’obiettivo di mettere in relazione, connettere e raccordare tutto il Mezzogiorno, per l’utilizzazione dei crediti d’imposta a vantaggio delle imprese, indifferentemente, per i territorio di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna. La cosa è accaduta all’inizio dell’anno. Esprimemmo subito, chiaramente, le nostre perplessità; ma inutilmente.
Oggi, alle soglie della stagione delle vacanze, dopo le elezioni, in avvio delle procedure per rinnovare (si fa per dire) il Governo europeo, considerati i silenzi che arrivano da Palazzo Chigi (che tanto rumore fanno, soprattutto se si considera la prospettiva delle opportunità che il “corridoio balcanico” potrebbe offrire alle imprese che operano sui territori della nostra regione e che invece rischiano di essere vanificate dalla bagarre che caratterizzerebbe i rapporti tra quelle di tutto il Mezzogiorno, come avevamo pessimisticamente anticipato, in forme forse politicamente scorrette, ma con lealtà, chiarezza e sincerità) la domanda sull’esito e sulla produttività di questa “bella favoletta” ci sembra più che legittima. E ci meraviglia che il presidente Marsilio non risulti tra coloro che bussino alla porta del Ministro Fitto, per chiedere notizie, sugli sviluppi della raccolta di interessi che di qui ai prossimi giorni (il 12 luglio, tanto per la chiarezza) è destinata a “chiudersi. Almeno per ora.
Almeno per ora, s’è persa la possibilità di interlocuzione diretta (locale) tra il garante di incentivi fiscali a vantaggio di imprese interessate alla commercializzazione del prodotto nell’ottica dell’incremento del PIL regionale che era negli auspici di un provvedimento che fin dal 2018 questa regione perseguiva con l’allora riconoscimento di 1700 ettari di territorio e fronte dei 986 iniziali (presidenza D’Alfonso).
La stessa Confindustria regionale non capisce, non ci sta; e chiede in giro cosa si può fare perché questo fondamentale strumento di ripresa e di possibile futuro sviluppo riesca ad esprimere tutta la sua potenziale attesa capacità e non appartenga, invece al patrimonio di una ristretta nicchia di persone che, ad onta di ogni possibile, demagogica “autonomia differenziata” non finisca con l’essere uno dei tanti paradossi nei quali Meloni & C. si dimenano.
“La Zes funziona se con appropriatezza e adesività amministrativa corrisponde alle caratteristiche dei luoghi in cui si genera l’intrapresa. L’ambito territoriale ottimale della Zes è lo spazio omogeneo regionale” ha detto qualche giorno fa proprio D’Alfonso, aggiungendo: “Ciò che si ingrandisce non necessariamente fa crescere, poiché perde di vista lo specifico dei luoghi”.
E questa non è per caso lo “spirito” e la “filosofia” governativa per la quale la Lega ha imposto a Fratelli d’Italia l’approvazione dell’autonomia voluta, cercata ed imposta da alcune regioni del Nord-est?
Com’è, tutto questo “vale” per Zaia & C. non vale per il centro e per il sud-Italia? Questo è uno dei “paradossi” (politicamente odiosi) di fronte ai quali siamo oggi, noi abruzzesi, noi italiani.