Incredibile, quello che sta accadendo
La tentazione di “mollare tutto” e non parlare più, è forte. Di passi all’indietro, per la verità, da qualche decennio, ne registriamo e non pochi. Ma ritrovarsi, all’improvviso, a 128 anni fa, non è cosa da niente e la tentazione di dire, stizzito, “io con voi non parlo più”, chiudersi in un mutismo dal valore punitivo nei confronti di un altro che non merita nemmeno una lite, può essere certamente poco condivisibile, ma può “starci”, dovreste capirlo.
Allora avevo deciso, fino a qualche ora fa, di comunicare al mio amico Roberto Grossi la decisione di “chiudere” questa rubrica, tanto unitile e stucchevole, mi sembra quello che da decenni sottolineo ed evidenzio all’attenzione di voi lettori, cari concittadini che meritereste quanto meno uno straccio di polemica in relazione alle cose che sistematicamente vado selezionando per esporre il mio personale (certamente “discutibile”) pensiero.
Ma questo stile di reazione apparteneva ad una cultura antica, quella propria degli anni cinquanta /sessanta/settanta che in Italia e in Europa hanno prodotto, con grandissimi sacrifici umani, personali e collettivi, i cambiamenti verso le democrazie forti e consapevoli, sconfiggendo gli infantilismi dei nazionalismi revanscisti che ritenevano, appunto, di poter risolvere le questioni delle relazioni tra gli Stati e le persone, con l’uso delle armi.
Essendo io nato nel 1946, io sono cresciuto in questa cultura che negli anni dell’osannazione dell’ideologia, progressivamente se ne è liberata, sostanzialmente decretandone “la morte”, in omaggio ad un pragmatismo più umano al quale presto mi sono ispirato con la mia personale quindicinale provocazione di invitarvi a “parlare di cose concrete”, con lo sguardo tutto teso verso una ricerca di futuro più convincente e attraente.
Ma oggi, di fronte alle cose che quotidianamente accadono e che non fanno registrare reazioni significative né da parte di singoli cittadini, né da uomini deputati a tutelare gli interessi delle comunità, sinceramente mi chiedo se è giusto che io insista nello stigmatizzare tutto e tutti: gli epigoni (involontari?) del delitto di Sarajevo, la ri-produzione del “sindacato giallo” in Rai, le “manipolazioni” dei magistrati genovesi responsabili delle procedure processuali che meriterebbero molti chiarimenti almeno rispetto ai tempi sostanzialmente concessi per approfondire la tutela del diritto di difesa a vantaggio di un indagato il cui ruolo supera e di molto quello di altri ordinari cittadini (mentre l’assunto fondativo è che “la giustizia è uguale per tutti”).
E qui voglio fermarmi per evitare lo sgranamento del proverbiale rosario delle lamentazioni di cui quotidianamente ci raccontiamo, sperando che mai ci debba personalmente riguardare (egoismo inutile e ridicolo).
Ma il guaio è che il pessimismo che mi porta a leggere in negativo la realtà che intorno a “noi” (italiani, europei, occidentali) si muove, riguarda anche le vicende più vicine alla nostra quotidianità.
Che meriterebbero una “rivoluzione”. Invece nulla, come se quello che molti quotidianamente ci raccontiamo fosse frutto soltanto di una strumentale manipolazione delle realtà e non cronaca della realtà vera.
Abbiamo tremato tutti, due anni or sono, per gli effetti del COVID. Ci siamo sforzati di pensare che le cose sarebbero cambiate se avessimo avuto la fortuna di uscirne vivi. Ora, fortunatamente, siamo qui. Ma non mi pare che i cambiamenti da più voci invocati in quelle triste “notti del Covid” si siano manifestati, si siano materializzati in atti, strumenti operativi, comportamenti individuali e collettivi. Eppure le prospettive peggiorano di momento in momento. Siamo tra i primi in classifica per spese sanitarie fuori dalla nostra regione, l’ISTAT dice che nel volgere di alcuni anni perderemo migliaia di residenti.
Ma non è meglio lasciar perdere? Sinceramente. Mi sembra di essere ogni giorno sempre di più “lo scemo del villaggio” cui un tempo i bambini si divertivano a correre dietro con spirito e comportamenti canzonatori.