A Giugno si vota per l’Europa.
È una cosa seria, non sono ammessi scherzi.
Non avevo proprio alcuna intenzione di affrontare l’argomento, legato, come sono, dall’età, dall’esperienza accumulata in decenni di servizio all’interesse pubblico della gente nella quale sono nato e vivo, dal dovere che avverto di tutelare la condizione sociale di voi, miei compaesani.
Ma ammetto che c’è un limite oltre il quale la mia coscienza civile non può andare.
(Insomma sono al momento nel quale non posso far finta di “non sentire”, “non vedere” e, quindi, “non parlare”: chi non ricorda la gag che usava qualche decennio fa, sulla “saggezza” delle “tre scimmiette”!). Allora eccomi qui.
Sarà per i problemi dei rapporti interni alla maggioranza di Governo, sarà per una sistema elettorale quasi esclusivamente “proporzionale”, sarà per il complessivo abbassamento del livello del confronto politico nel quale siamo impaludati dall’inizio di questo terzo millennio (sarà per cos’altro non saprei proprio: per esempio, come dicono “i bravi”, per i debiti che molti non hanno ancora pagato con la storia di questo nostro Paese, per la “smania” di impedire, per paura della recrudescenza della corruzione, come se fosse stata debellata, la ripresa dei partiti che hanno fatto, dopo il ventennio fascista, il miracolo dell’ancora vigente, benedetta carta costituzionale repubblicana…), insomma sarà per cosa, ripeto, non so, ma ho la sensazione che ci avviamo all’appuntamento elettorale di giugno con un’aria di superficialità e spregiudicatezza che non vorrei potesse causare chissà quali brutti effetti all’Italia, e quindi a noi tutti.
Prendiamo alcuni (primissimi) slogan che agitano le mie (petulanti) preoccupate riflessioni (riflessioni da vecchio, lo so, s’intende!).
A Pescara la Presidente del Consiglio, annunciando la sua (discutibile) scelta di candidarsi ovunque, nelle circoscrizioni nazionali per le europee dell’8 e 9 giugno p.v. (non è il caso che spieghi perché leggo come “discutibile” la scelta di chi si candida sapendo che, se eletta, non onorerà il seggio che l’elettorato le riserva!), presa dalla mania di grandezza di cui è piena, oramai (ma soprattutto per fissare la distanza di peso che c’è tra lei, i “suoi” e gli alleati) dice: “scrivete Giorgia”, come se si fosse a scuola, a votare per il “capo-classe”.
Ma ancora più grave (di questa specie di “goliardata”, oramai comunque validata dal ministero degli Interni) mi sembra lo slogan lanciato dal “suo” sodale, con il quale “lei” fa finta di fare polemica, sui rapporti tra “patriottismo” smodato e obbligo di unione dei popoli di questo vecchio continente già ai limiti dello sfacelo, a cinquant’anni dall’ultima “tragedia” generata dal nazifascismo con “piaghe” che proprio in questo tempo si vanno riaprendo. Lui, il sodale di “Giorgia”, sceglie uno slogan per il quale chiede di votare per “più Italia” e “meno Europa”: non sarebbe più chiaro, come hanno fatto tempo gli inglesi, decidere di proporre di uscire dall’Europa? Infatti, questo slogan non è un ossimoro odioso?
(La cosa, sia chiaro, non mi interessa, perché personalmente non ho ragioni plausibili per pensare di votare lui, tanto meno i candidati che propone, a partire da quell’altro che dovrebbe essere votato, pare, come “il generale”; tuttavia la cosa non può non riguardare gli elettori che legittimamente, nel nostro sistema democratico, in passato hanno votato “Lega” e ancora oggi pensano di non potergli negare il consenso. Andranno a votare per una cosa che non solo non li riguarda, ma che “ideologicamente” contestano.)
Ovviamente mi fermo, nella segnalazione di queste “stranezze”.
Troppo lungo sarebbe l’elenco e non ho proprio intenzione di fare pubblicità gratuita a chi non lo merita.
Per esempio ad un’opposizione, a queste “stranezze”, che mi sembra sia ogni giorno di più inconsistente (c’è il rischio, infatti, che anche chi andrà a votare per l’opposizione, volendolo, possa scrivere “Elly”, oppure altri pseudonimi dello stile di cui sopra...)
Quello che invece mi interessa sottolineare è che l’esito delle votazioni del giugno prossimo, per “noi” europeisti è una cosa seria; mai come questa volta, infatti, dovremmo tentare di riappropriarci dello “spirito di Lisbona”: per il momento che attraversiamo, come italiani e come cittadini di questo vecchio continente che deve (finalmente!) attrezzarsi con una politica fatta di consapevolezze e di strumenti capaci di garantirne un futuro di certezze “unitarie”, ma soprattutto credibile, in un mondo dominato da giganti sub continentali come Cina, Stati Uniti, India, Giappone, Russia, Brasile, Nigeria, Messico e altri ancora, “giganti” sovrappopolati che proprio per questo hanno un peso oramai ben superiore a questa nostra “misera” Europa che nonostante il ruolo culturale da sempre esercitato, oggi, arretra, sia in relazione alla produttività di beni e servizi, che per la creatività e l’autorevolezza.
Un tempo, quando nacque, l’Unione europea faceva perno, sostanzialmente, su Germania, Francia, Italia e Spagna. Era un “perno” pensato a garanzia di un mondo devastato dalla seconda guerra mondiale che aveva bisogno di “pace” per rimettersi in piedi ed “inventarsi il futuro”.
In settant’anni circa le dinamiche demografiche, i fenomeni emigratori, i mercati finanziari, i neocolonialismi economici, le instabilità regionali, addirittura la ripresa di diversi conflitti (guerreggiati) in corso, le rivoluzioni digitali, l’intelligenza artificiale, i cambiamenti climatici, l’aumento a dismisura delle povertà di tipo diverso ci hanno messi (TUTTI) di fronte alla misurazione della debolezza individuale e della impossibilità di uscirne “vivi” se non si rigenera il bisogno della “pace”, come condizione di ripartenza per assicurarci la sopravvivenza.
Personalmente ritengo che non abbiamo troppi margini di salvezza. Di qui la convinzione che o ne usciamo tutti insieme senza strani e pericolosi “sigilli di fedeltà”, ai quali mi fa pensare l’indicazione di votare con gli strani pseudonimi di cui dicevo, ovvero non se ne esce proprio e le catastrofi che evocano Nagasaki e/o Hiroshima potrebbero diventare un pallido ricordo.
In particolare penso che proprio l’Italia abbia oggi più bisogno dell’Unione europea, certamente, ristrutturata, riorganizzata, magari rimpicciolita, capace di esser governata bene, autorevolmente, da donne e uomini dotati di competenze specifiche attendibili. L’Italia, che più di tanti altri Paesi dell’Unione, ha bisogno del rinnovato “Patto di stabilità”, con un disavanzo che supera il fatidico 3% del Pil (7,4%: situazione per la quale presto Bruxelles ci chiederà il conto); l’Italia che sembra aver definitivamente perduto gli strumenti fondamentali per una ripresa che non può più essere affidata a sussidi “minimi”, provvisori e, diciamolo, “improvvisati” (da campagna elettorale, appunto!).
So di aver fatto un discorso antipatico e difficile, del tipo di quelli che all’inizio degli anni settanta facevo a scuola a proposito delle classi differenziate e dei “diversamente abili”. Poi, con il passare del tempo quei discorsi furono apprezzati e divennero “ordinamento” per la gestione di chi aveva più bisogno di altri.
Oggi qualcuno storcerà il muso a sentirne il richiamo. Vannacci, lasci perdere. Non è colpa sua.
Come spesso accade, mi auguro soltanto di sbagliarmi.