Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

| #98 ◄ | Articolo #99 | ► #100 | Elenco (128) |
Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi via eMail Condividi via WhatsApp
#99 - 20/12/2022

Due Santi, un'ombra

Fonte Avellana ospitò sin da prima del Mille un nutrito gruppo di eremiti antesignani della prossima riforma gregoriana e che infine fecero capo a personalità del calibro di S. Pier Damiani e di S. Romualdo . Intorno al 1025 essi si riunirono nel monastero fondato da S. Domenico di Sora. In breve detta comunità benedettina divenne un grosso feudo monastico comprendente un territorio vastissimo. La Fonte di S. Pietro Avellana sorgeva su un punto strategico del tratturo Celano-Foggia e vicino ad un caposaldo sannitico nei pressi del quale esisteva qualche insediamento che nel 1188 riparò nel monastero in seguito ad un’incursione “di Berardo e Ruggero, nipoti del feudatario di Monte Miglio” (Regesti di Montecassino), i quali, sì, poi furono costretti a restituire ciò che avevano sottratto a S. Pietro Apostolo, ma con quell’azione dimostrarono di sentirsi padroni di una fiorente struttura costruita da S. Domenico di Sora con i soldi dei Conti dei Marsi, loro avi. Onde evitare ulteriori turbative, alcuni monaci e gli abitanti del contado si saranno spinti presso gli antichi apprestamenti del caposaldo ed il progressivo aumento demografico si sviluppò, scrive l’architetto Franco Valente (“Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari 2003), “inglobando l’antica abbazia e che un sistema murario perimetrale abbia determinato il formarsi di una fortificazione che per secoli ha costituito il limite del nucleo abitato.” Quando sopraggiunsero le avversità, compreso il terribile terremoto del 1456, il monastero, divenuto abbazia, sopravvisse; ma la condanna era arrivata nel 1392, allorché Bonifacio IX istituì la commenda [Vedi nota 1, in fondo al testo] e Fonte Avellana fu affidata al commendatario card. Mezzavacca. E forse da allora si avvicinò il tramonto. L’istituto della commenda privava i monaci del priore, dell’abate, perché in genere veniva affidato ad un alto prelato che, immerso nei problemi del Sacro Collegio, non assicurava alla comunità dei monaci la guida spirituale; oppure il commendatario poteva essere un nobile laico: peggio. Veramente S. Pietro Avellana, come ho scritto, era andato ad un prelato che morì nel 1096 lasciando l’Abbazia in eredità a “Purità di Viterbo”, un focolaio di spiritualismo alimentato da una clarissa (lo spiritualismo francescano rispettoso della Chiesa ufficiale) di Camerino, che poi era la patria di Sant’Amico, il quale aveva condiviso l’eremitaggio a Sant’Anatolia [2] con San Domenico di Sora e con lui tornò a San Pietro Avellana, fondato da S. Domenico. L’ombra si staglia sempre più nitida. Intanto era successo che nel 1104 papa Pasquale II, già monaco benedettino-cluniacense impegnato nella riforma gregoriana, aveva canonizzato San Domenico. Ho consultato, nell’Archivio della mia Diocesi, la copia di un registro in cui, fatte delle riserve per le pagine mancanti, dovrebbero essere registrati i nomi dei battezzati cocullesi in alcuni mesi del 1400. Ebbene, in quel registro non compare il nome Amico. Dal che potrei dedurre che qui, in quei mesi, Sant’Amico non fosse noto, considerato che il nome di un patrono ricompare spesso negli “stati delle anime” del paese; invece compare nel ‘500.

La sfortuna degli Avellaniti derivò dalla protezione degli imperatori, compresi gli Svevi (Ghibellini); quando nel 1268 si imposero gli Angioini sconfiggendo l’ultimo imperatore svevo ai Piani Palentini, i Guelfi presero piede e, dopo uno sprazzo di luce a San Pietro Avellana, a Montecassino tornò una relativa stabilità. Da allora i Regesti si occupano quasi sempre di Montecassino che intanto continuava a sfornare papi e cardinali. La politica s’intrometteva sempre di più nelle cose religiose mentre l’Abbazia di San Pietro Avellana, dopo il colpo infertole da Bonifacio IX dandola in commenda, fece confluire i suoi monaci nell’ordine camaldolese fondato da San Romualdo. Forse oltre alla commenda, aveva influito la promiscuità fra monaci e abitanti del contado in progressivo aumento demografico. La vecchia Abbazia perse la giurisdizione ecclesiastica e cadde sotto quella di Montecassino. Scrive lo studioso F. Valente: “Nel XIV secolo, presumibilmente verso la fine, l’abate di Montecassino” commissionò alla bottega sulmonese di Masio di Ciccarello di Bentevenga una croce processionale da destinare alla chiesa di S. Amico di San Pietro Avellana. Ovviamente fu la comunità di S. Pietro a caricarsi della spesa e l’opera fu regolarmente consegnata per essere utilizzata nelle processioni.
Ma pure l’Abbazia di Montecassino in quel tempo era sballottolata nel vorticoso carosello azionato da papi che si barcamenavano fra re e imperatori e spesso erano trascinati nelle loro beghe, tra questi e vassalli, tra il proliferare di Ordini religiosi certo non favorevoli al monolite della Chiesa, tra folle scismatiche, in particolare a Cocullo dove era accesa la lotta fra monaci e chierici, messi infine d’accordo dagli Osservanti: “1 ottobre 1411- Bolla di Gregorio XII circa la collazione vacante [3] della prepositura di Pelino del Monastero di S. Pietro de Lacu a Giovanni de Laude monaco cassinese, familiare del Papa e scrittore di lettere apostoliche”. (Arch. Annunziata, Sulmona). Vedremo cosa determinò questa Bolla.
L’1 marzo 1392 [4] Luigi II d’Angiò, molto probabilmente sollecitato da Bonifacio IX, scrisse a tutte le collettività dipendenti dall’abbazia cassinese di difendere il feudo monastico dagli attacchi del Duca di Sessa Marzano (nel 1461 Maria Marzano, figlia naturale di re Ferrante, andrà sposa in seconde nozze ad Antonio Piccolomini, capostipite dei rami omonimi); inoltre ricordo che in quell’anno (1392) era fra’ Pietro de Tartaris, riformatore olivetano [5], cioè appartenente all’Ordine a cui allora e da allora attinsero Bonifacio IX ed altri papi per nominare gli abati nel quadro della riforma monastica. L’Ordine Olivetano contribuì enormemente alla riforma monastica. Esso era nato nel 1313, quando fu sciolto l’Ordine dei Cavalieri del Tempio di cui raccolsero l’eredità nell’Ordine Benedettino. Pochi monaci-guerrieri del Tempio francesi sfuggirono alle persecuzioni del loro debitore re di Francia (1313); dopo lo scioglimento dell’Ordine imposto dal sovrano a papa Clemente V, tre cavalieri senesi (Bernardo Giovanni Tolomei, Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizi) fondarono la Comunità-Congregazione Benedettina di Monte Oliveto. I monaci vestivano una tonaca bianca e rozza, e li accomunava ai Templari uno spiccato calore di alta spiritualità, infervorato specialmente nei confronti della Madonna.
P. A. D’Antonio OFM ha scritto (“San Francesco e l’Abruzzo”, Ambrosini Ed. 1981) che i Frati Francescani nel 1392 si divisero per due interpretazioni diverse della Regola di San Francesco.
Disciplinati, Templari, Olivetani, Francescani Minori Osservanti: tutti hanno rispecchiato il momento storico in cui vissero … sì, pure gli Olivetani, vorrei dire, i quali ora sono vivi e vegeti e, come i Benedettini, esercitano l’apostolato in un’epoca difficile nello studio e con dignità. E infine tutti ci portano a Sant’Amico-San Domenico. San Francesco, vicino ai suoi Minori Zelanti per spiritualità, fu però rispettoso della Chiesa come istituzione divina e per questo potremmo dire che suggerì la direttrice da seguire per risolvere il problema della riforma monastica.
Mons. Corsignani, già vescovo della nostra Diocesi, scriveva che a Cocullo erano nati due monaci celestini: uno fu “Abate Mitrato” dell’Abbazia di Santo Spirito nel 1269, l’altro Abate Generale nel 1299. Penso che ambedue si possano paragonare ai Pauperes heremitae Domini Celestini che si rifacevano alle teorie di Gioacchino da Fiore. Nel 1216 si erano insediati i Francescani in Abruzzo e nel 1392 “si staccarono gli Osservanti della Regola dai conventuali – dopo l’emanazione della Bolla permissiva di Bonifacio IX – ed eressero un locum come l’intendeva San Francesco presso il romitorio…” [6]. Fra’ Giovanni di Cucullo, di cui ho già scritto e di cui pare essersi occupato Clareno, nel 1298 (San Celestino era morto da due anni) scrisse una nuova Regola, da Superiore Generale dei Celestini, ma quella Regola non fu approvata e lui dopo un paio d’anni morì. Fu scomunicato, considerato eretico e(?) bruciato: in lui era troppo grande il fascino esercitato dal pensiero di Gioacchino da Fiore. Insomma fu troppo rigorista, come lo era stato tre secoli prima il nostro Patrono. Costui infatti, a differenza di molti altri riformisti gregoriani, fu minacciato e inseguito da chierici deviati e preso a sassate dalle concubine di quelli; non fu così per il suo compagno Sant’Amico di Camerino (città che forse già era un focolaio di spiritualismo e serenità), “i cui prodigi e la dedizione ai poveri divennero proverbiali fino alla sua beatificazione” (Valente, op. cit.). Al tempo della riforma monastica, però, era più gradito l’orientamento della Chiesa in senso diplomatico, bonario. De Tartaris era stato mandato a riformare l’Abbazia di Montecassino da un papa ex monaco Olivetano, e vi restò come Abate fino al 1295, cioè per una diecina d’anni: lui stesso era un riformista, un Osservante OFM; pure il vescovo della nostra Diocesi nel 1356, Mons. Fra’ De Silanis OFM [7]; quindi confermo che Olivetani e Osservanti si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda. Di più: nel reliquario custodito, alla data del 1983, nella chiesa parrocchiale di Cocullo esistevano molte reliquie di santi Osservanti, da Giovanni di Capestrano a Giacomo della Marca.
Templari (Motto: “Non a noi Signore, non a noi, ma da’ gloria al tuo nome”), Cistercensi (Ordine riformatore benedettino- “Ora et labora”), Olivetani (idem con l’aggiunta di “entusiasmo”), Osservanti (OFM Osservanza della Regola francescana): la staffetta vincente della riforma monastica.

Sintesi
=0900- I primi eremiti della riforma a S.Pietro Avellana (Pier Damiani e S. Romualdo). =1020/’28- Erezione del monastero di S. Pietro del Lago da parte S. Domenico. =1025/’26- S. Domenico costruisce il monastero di S. Pietro Avellana, grazie alle concessioni di terreni da parte di Borrello maior. (CMM)) =1069- Borrello minor dona a Montecassino lo stesso monastero (che “44 anni prima” era stato costruito dal “beato Domenico” in seguito alle donazioni, appunto, del padre di Borrello) e dona anche il monastero di S.Pietro del Lago (fondato -“non molti anni prima”- da S.Domenico). (CMM) =1500 (metà)- il protonotario apostolico folignate Jacobilli: …Nella Provincia d’Abruzzo e Contado di Valle Molisia è una Chiesa denominata di S. Pietro del Lago la quale è distante 24 miglia da Sora e fu da esso santo [8] edificata [9] come si è narrato di sopra: pochi anni dopo la sua morte fu ad esso Santo dedicato chiamandosi al presente S. Domenico di Cocoglia per star situata appresso ad un luogo detto Cocoglia: ove è fama che il Santo liberasse gli habitatori di quel contorno da un feroce lupo che gli soleva andar… =1100 (qualche anno dopo)- Pasquale II, già monaco benedettino-cluniacense impegnato nella riforma gregoriana, scese nel Basso Lazio per risolvere alcune vertenze. Proprio il 22 agosto 1104, a Sora, egli canonizzò San Domenico: così sfociò la soluzione di una di quelle “vertenze”? Evidentemente in seguito al pentimento per i peccati del conte di Sora e di Arpino Pietro di Rainero e della devozione della moglie Doda, donatrice del terreno; il 5 aprile 1293 “Alcuni cittadini di Sora si dichiarano arbitri di certi redditi e servizi annuali passati poi al monastero di S. Pietro” (Regesti di Montecassino): e Doda dei Conti dei Marsi, secondo me, è strettamente collegata all’ “arbitraggio”. Nel 1113 lo stesso Pontefice “riconobbe l’Ordine dei Cavalieri Ospedalieri di Gerusalemme” (Regesti cit.): notizia che preannuncia lo “spitale” cocullese degli Antoniani di Vienne; nel 1117 sempre lo stesso Papa tornò nel Basso Lazio stabilendosi ad Anagni, poi andò a Sora, a Palestrina, forse a Tivoli, a Montecassino, ecc. ecc. Nel 1184 “Berardo e Ruggero, nipoti del feudatario di Monte Miglio, dovettero restituire agli abitanti di S. Pietro Avellana tutto ciò che avevano sottratto ingiustamente” (Regesti cit.). Borrello major aveva fatto costruire quel monastero in contrasto con gli abitanti del contado per gli usi civici, e i parenti del fondatore, anche se dovettero restituire il maltolto, avevano voluto dimostrare che il Monastero era stato costruito dai loro avi e quindi le loro mire erano giuste, senza contare che nel 1143 i Normanni avevano conquistato i loro domini. =1293, 5 aprile- “Alcuni cittadini di Sora si dichiarano arbitri di certi redditi e servizi annuali passati poi al monastero di S. Pietro”. (RAM: Regesti di Montecassino) =1297, 3 giugno, a. III. Bonifacio VIII. Rieti. “Berardo, vescovo, e il capitolo di Chieti concedono a fra Giovanni da Tuculio abate di S. Spirito presso Sulmona e alla comunità la chiesa di S. Maria Maddalena, nel territorio della città di Rieti, presso la stessa città e vicino alla via romana, dichiarandola esente, col censo annuo di una libbra da darsi nella Festa di S. Maria in settembre.” (NdA- Tucullo è Cocullo) =1313, 26 maggio. Avignone. “Clemente (V) al preposito del monastero di S. Vincenzo … : lo incarica di provvedere affinché siano restituiti al monastero di S. Pietro di Sulmona i beni illecitamente alienati” (E’ l’anno della persecuzione dei Templari e dello scioglimento dell’Ordine). =1319, 18 giugno. …Roberto, Napoli. Carlo duca di Calabria e vicario generale del padre re Roberto, ai giustiziari dell’Abruzzo citra e ai capitani di Sulmona: ingiunge loro di mantenere e difendere i monaci di S. Spirito del Morrone nel possesso della chiesa di S. Angelo di Campeliano e dei suoi diritti”. 1326, 7 aprile. Avignone. Giovanni (XXII) all’abate e alla comunità di S. Spirito di Morrone “conferma le immunità e i privilegi concessi dai suoi predecessori”, e alle sue dipendenze. 1349= Terremoto a Montecassino. (Wikipedia) =1356= Il vescovo di Balva cita la parrocchiale di S.Amico a Cocullo. (ADS) =1360/’70- “L’abate di Montecassino ordina alla scuola di oreficeria sulmonese del 1400 un prezioso reliquiario che conserva il cranio di S. Amico”. (Il reliquiario era destinato alla chiesa di S. Pietro Avellana: un contentino? =1365- “Urbano V ricostruisce Montecassino con i soldi di tutti i monasteri benedettini facendo rientrare molti monaci.” (Pure quelli di S. Pietro Avellana?). =1392- I Frati Francescani nel 1392 si divisero per due interpretazioni diverse della Regola di San Francesco: “…che in seguito portò alla frizione tra i frati del convento di s. Francesco (nella villa comunale) e gli spirituali– unico fatto in tutto l’Abruzzo francescano – si staccarono dai frati della cosidetta Comunità per fondare – dopo l’emanazione della Bolla permissiva di Bonifacio IX – un “locum” come l’intendeva s. Francesco presso il romitorio di s. Cristoforo……trasformato…in piccolo convento…dove gli Spirituali rimasero per 114 anni, ossia fino al 1506…” (P. A. D’Antonio OFM)- (Nel 1274 i “ribelli della Marca già avevano contestato i loro fratelli Minoriti il progressivo abbandono di uno dei precetti della Regola: la povertà. Olivi, Clareno, Jacopone da Todi ecc. ecc. avevano paventato l’ineluttabilità di una spaccatura, che poi si palesò con la reprimenda del francescano Jacopone al celestino Pietro quando questi accettò il papato “Que farai Pier del Morrone? Or sei giunto al paragone…”, cioè fra la solitudine e la povertà dell’eremo ed il fasto e la mondanità della Curia; proprio lui che accoglie a S. Spirito della Maiella i Francescani “Pauperes”). =1392- Bonifacio IX istituisce la prima commenda e dà al card. Mezzavacca S. Pietro Avellana. =1392, 22 agosto- I monaci di Montecassino portano alla chiesa cocullese di S. Amico le reliquie di S. Domenico dalla grangia di S. Giovanni in Campo della frazione Casale) (Antinori). =1294- A L’Aquila Clareno e Liberato (Francescani Minori dissidenti) ottengono da Celestino V il riconoscimento della Congregazione dei “Pauperes haeremitae Domini Caelestini”.

Ecco perché prima ho intuito e poi mi sono convinto che Sant’Amico è l’ombra di San Domenico.

Note
Molti studiosi hanno trovato troppe analogie, a cui evidentemente non sono stati estranei accadimenti storico-politici, fra S. Amico di Avellana e quello di Rambona perché: 1- ambedue erano benedettini, anche se l’Avellanita non era abate al contrario dell’altro; l’approssimativa coincidenza delle date di nascita; 3- il nome Amico, diffuso tra i Franchi; 4- l’affinità dei nomi di Monte Miglio (Avella) e Monte Milone (Rentseambona); 5- l’iconografia quattro-cinquecentesca; 6- la presenza del colto eremita itinerante San Pier Damiani. Queste coincidenze indurrebbero ad ipotizzare una sovrapposizione di culti che avrebbe per protagonisti iniziali la longobarda figlia di Adelchi (fondatrice), principe di Benevento e moglie del Duca di Camerino (patria di Sant’Amico) e di Spoleto (la nostra zona è al confine dei Ducati longobardi di Spoleto, a sud, e di Benevento, a nord). Comunque io parto dalla Cronaca del Monastero di Montecassino e dai Regesti della sua biblioteca.
[1] Cioè venne a mancare la guida- Macario (Padre egiziano): “colui che presiede deve elevare le anime dalle realtà terrene a quelle spirituali (“Regole monastiche”, a cura di Enzo Bianchi, Einaudi Ed. 2001).
[2] Numerosi in passato sono stati i pellegrinaggi cocullesi.
[3] In senso religioso medioevale indicava una comunità non fedele alla Chiesa.
[4] E’ l’anno dello spostamento delle reliquie di San Domenico dalla grangia casalana alla chiesa di Sant’Amico.
[5] Siamo alla riforma monastica determinata dall’intreccio di eresie causato da Ordini che seguono le regole benedettine, come Santa Croce di Fonte Avellana e San Pietro Avellana, e quelli – pure irregolari – che ne seguivano altre.
[6] P. Antonio O.F.M., “San Francesco in Abruzzo”, Ambrosini Ed. 1981.
[7] Ha scritto il canonico A. Chiaverini (“La Diocesi di Valva e Sulmona, vol. V”, Accademia Cateriniana di Cultura, Ed. La Moderna 1977), ripetendo Eubel e Ughelli, che la S. Sede in un documento così si parlava di Monsignor de Silanis: si dice che “per dictum religionis zelo conspicuum, vitae ac morum honestate decorum in spiritualibus provvidum et in temporalibus circumspectum aliisque multiplicasse meritis insignitum” (che fosse illustre per fervore religioso, dignitoso per onestà di vita e di costumi, provvido nelle cose spirituali e prudente nelle temporali, insigne per altri meriti)
Il periodo storico nel quale visse non fu privo di avvenimenti bellici per il contrasto stridente nella Famiglia reale di Napoli dove la regina Giovanna era oggetto e soggetto invidioso imbarazzo e di pretese egemoniche, ora in ossequio all’autorità papale di cui fin dai primi tempi il Regno era nobile e conteso feudo, ora incerta per i facili antipapi che si susseguivano con uno scandalo e divisione della comunità cristiana…”. Il canonico (Chiaverini) aggiunge che le fonti (Ughelli ecc.) informano che mons. Silanis fu energico ed anche manesco con chierici ribelli: pure per questo fu punito ma poi assolto.
[8] Jacobilli si riferisce esplicitamente al nostro Patrono.
[9] (NdA)- Dunque trattasi della chiesa esistente a Cocullo nel 1108 di cui parla Pasquale II e su cui un secolo dopo i Celestini eressero l’attuale chiesa della Madonna delle Grazie, ove in effetti si diresse qualche devoto di San Domenico poi dirottato alla chiesa parrocchiale (S.Egidio-S.Domenico) ristrutturata nel 1611 (questo particolare, confermato da qualche delibera comunale, riportata nel Libro de Conseglio (Cocullo), accredita la tesi sostenuta da una studiosa sulla presenza dei sedili aggettanti facenti corpo con la facciata della chiesa della Madonna. Concludendo, secondo Jacobilli (che tutti riteniamo essere stato agiografo attendibile) la chiesa di San Domenico era quella del 1108, quella intitolata oggi alla Madonna delle Grazie, in cui furono portate le reliquie di San Domenico alla fine del ‘300 dai frati della grangia di S.Pietro del Lago, reliquie tre secoli più tardi spostate alla chiesa di S.Egidio-S.Domenico.

| #98 ◄ | Articolo #99 | ► #100 | Elenco (128) |
Condividi il blog: Pensieri in Libertà di un Ottuagenario
Condividi su Facebook

Condividi su Twitter

Condividi via e-Mail

Condividi via WhatsApp