Esperienze - Il rifiuto di Caronte
Decisamente Caron dimonio non mi vuole. Qualcuno mi aveva detto che potevo ricominciare a contare da zero, ma poiché credo di saper contare almeno fino a cento ho preferito seguire questa mia convinzione pure perché il neonato non ha il catetere e perché la peluria che ho in testa non è quella del neonato, ma quella della canizie.
Un blocco renale improvviso e dalle conseguenze imprevedibili mi avevano portato al Pronto Soccorso privo di occhiali, di auricolari e di cellulare. Un medico salì su due-tre gradini di ferro per sedersi dinanzi a un’edicola telematica. Mi porse delle domande a cui non potevo rispondere per la mia semisordità. Prevedendo il fastidio, offrii un’alternativa: “Caro dottore, mi rimandi a casa”. Perplesso, il professionista scese dal pulpito un po’ infastidito e un suo collega bonariamente e con la goliardia che ogni tanto riemerge scambiò con lui poche parole. Forse avranno deciso di non perdere tempo e quello con il camice bianco sorridendo mi fece stendere sul lettino dicendomi che bisognava intervenire immediatamente sul padre di Carlo Magno. Io avviai le mani pudicamente per abbassare le mutande, ma quando arrivai trovai due mani ferme e decise che avevano già afferrato Pipino il Breve e lo avevano spostato (mamma mia, che forza!) e poi lo avevano immediatamente strozzato e trafitto con un corpo estraneo: che maestria! Strinsi i denti per emettere una geremiade e subito dopo pensai tra me e me che Santippe era servita. Mi portarono in una stanza dove erano due degenti e la sera arrivò un collaboratore sanitario che cantava molto bene “Sul mare luccica l’astro d’argento…” con voce tenorile morbida e non sguaiata. Lo invitai a riportare il tempio della canzone italiana al San Carlo e demolire il castello di carte inventato a San Remo da un Paperon de’ Paperoni celtico. Mentre parlavo emisi una trombetta come quella che fece Farinata sdegnato alla fine del trentaduesimo canto dell’Inferno. Il tenore mi disse che loro non avevano marmitte da accomodare, ma il giorno dopo, avendomi praticato un clistere, dovette scaricare i rifiuti della marmitta.
Se vuoi ridurti a uno straccio, immobile per oltre un mese in uno dei periodi più caldi della stagione, raggomitolato in una alcova bianca tutt’altro che nuziale, fra pannoloni soffocanti, le solite pappette e brodaglie di bottigliette d’acqua da displuvio di torrente estivo, resta così per più di un mese: beh, diciamola tutta…
In compenso ebbi modo di conoscere Ermengarda, un’infermiera che così chiamavo per le sue trecce bionde, Norina, Laura, Tiziana, Valentina, e altre. Ringrazio tutti a cominciare dalla fascia più alta dell’équipe sanitaria e chiedo loro venia per qualche fastidio di troppo causato da qualche scucitura nella articolazione funzionale di una struttura complessa e pletorica.
Quando è venuto il dottor Leonetti ad annunciarmi la dimissione sono stato veramente contento di ringraziare il gruppo inappuntabile dei medici di tutto il comprensorio, anche perché, grazie alle loro cure, da oggi potrò continuare a pubblicare i miei pensierini settimanali.