Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#87 - 20/04/2022

Don Giambattista Gentile, alias Padre Domenico di Cocullo
Ipotesi sul motivo per cui Padre Domenico gettò l'abito di Definitore dei Cappuccini
(non più cronaca, ma ipotesi verosimile)

Non era più, nel 1800, il tempo degli eremiti e neanche dei penitenti, i quali avevano estrinsecato le esigenze spirituali in maniera molto rozza.
Don Giambattista [Vedi nota 1, in fondo al testo] era un personaggio di rilievo. non ebbe un carattere facile e, quando nacque, la società della Penisola era agitata. In questo scenario vide la luce il 10 aprile 1800, generato dal magnifico don Evangelista e da donna Cleofe Renzi ed ebbe un’adolescenza agiata nel grembo di una famiglia agiata e fu molto intelligente e studioso: non poteva non rivelarsi una persona di caratura notevole per cultura e personalità, ma, come ho scritto, il carattere si uniformò presto al periodo in cui visse e la gioventù fu movimentata: ancora studente, in seguito ad una “colluttazione” con un coetaneo (di questo fece cenno De Nino, illustre studioso e storico peligno, 1833-1907: …a meno di vent’anni, quando stava per lasciare il collegio di L’Aquila, fu coinvolto in un fatto causato dall’amore per una graziosa giovinetta, che lo portò a una grave colluttazione con un rivale, fatto che all’epoca suscitò scalpore divenendo generalmente noto). Andò a farsi monaco prendendo il nome di Padre Domenico di Cocullo nell’Ordine cappuccino ove fece una brillante carriera in tre lustri.
Da ragazzotto, quindi, pur appartenendo ad una buona famiglia ma conservando lui il carattere nervoso, aveva meditato di coltivare lo spirito e su quale ordine religioso dovesse entrare. Una ragazza era stata la causa involontaria perché lui, già sufficientemente erudito, potesse individuare l’Ordine che gli era più congeniale: si affiliò all’Ordine più rispettoso e più rigido del Cattolicesimo (cosa che rivela una buona formazione culturale). Quindi la gelosia, che era degenerata in una colluttazione con un altro pretendente, lo aveva indotto a praticare il monachesimo più povero: era entrato in un convento francescano pur coltivando lo spirito dei futuri zoccolanti o Spirituali [2]. Dismise il nome di Giambattista (come avrebbe voluto l’anagrafe), salvo poi a riassumerlo allorché ridivenne borghese e poi ancora religioso, ma non monaco bensì Canonico nella Cattedrale di Pentima.
Nel dicembre 1798 Ferdinando IV, re di Napoli, aveva lanciato un proclama ai sudditi in cui esaltava il loro valore e li invitava a difendere il Trono. Nel mese di febbraio 1799 il cardinal Ruffo, acceso sanfedista, era sbarcato in Calabria con pochi uomini per organizzare la resistenza; ma la forza di cui disponeva era esigua e questo gli suggerì di reclutare altri giovani. A Cocullo, mentre l’arciprete Don Giovanni Arcieri prima riceveva Pronio in casa, poi esponeva i ritratti dei reali nella chiesa parrocchiale di San Domenico, facendo suonare le campane a martello allorché arrivarono i Francesi, che poi saccheggiarono il paese, Don Leonardo Gentile, di famiglia nobile (era conte di Aschi), girava per il paese esortando i giovani ad arruolarsi nelle masse dell’Introdacquese, mentre suo figlio Fortunato combatteva contro gli invasori accanto a Pronio sull’Adriatico e a Sulmona.
L’8 marzo 1807 un Domenico Gentile fu arrestato dalle autorità insieme all’arciprete (allora ambedue ex borbonici). Mentre il primo venne definito un Brigante del 1799, uomo violento e facinoroso, ossia Reo di vie di fatto, e fondatamente sospetto degli altri delitti maggiori ond’è prevenuto”(come se questo non bastasse due donne del paese lo avevano accusato di offese alla persona); il secondo, come ho letto in una vecchia deliberazione del locale Municipio, trattò da ignoranti, facendoli addirittura piangere, i membri della Confraternita di San Domenico allorché quelli andarono a richiedergli la copia della chiave (che a loro spettava) della cassaforte, conservata nella chiesa del Patrono.
Qualche anno dopo il cappuccino cocullese fu apprezzato da ecclesiastici “di rango” e già a 22 anni era “convisitatore” del cardinal Micara; un anno prima Padre Domenico aveva vinto il concorso di Lettore di Filosofia e poi ebbe l’incarico di insegnare all’Università napoletana: lo fece volentieri impartendo lezioni in modo che fossero poco conformi alla dottrina clericale ed improntate ad ampi e laici orizzonti, assai audaci per l’ambiente e i tempi (dottor Pierluigi Franco). A 29 anni il Gentile ottenne la nomina a Lettore di Sacra Teologia e subito dopo a Definitore dell’Ordine: …fu quello il primo esempio di una dignità monacale così eminente concessa ad un padre lettore di 29 anni (De Nino).
Un paio di anni più tardi l’insigne cocullese fu nominato, a Napoli, educatore e predicatore di Corte. Alla fine del 1833 arrivò nella città vesuviana il Definitore Generale, che in tal qualità, quindi, era immediatamente superiore al Francescano cocullese. Quest’ultimo, facendo parte della Corte, vi aveva l’alloggio e perciò il protocollo voleva che i due s’incontrassero lì; il superiore gerarchico andò a visitare il probabile successore cocullese, ma prima di accedere nella stanza di quello fece una lunga anticamera; la qual cosa generò il risentimento del dignitario che, dopo uno scambio di battute polemiche con Giambattista fu messo alla porta. Per cui quello, adirato, riferì ciò che era avvenuto al papa, ed in seguito a Padre Domenico fu interdetta la predicazione nel Regno. A quel punto, forse, il Cocullese cominciò a pensare di lasciare l’Ordine regolare, anche se Carlo Alberto vi pose un temporaneo rimedio (su raccomandazione della sorella Maria Cristina di Savoia, la regina “santa” che era andata sposa a Ferdinando II di Borbone) chiamandolo alla Corte piemontese come predicatore per la Quaresima del 1834; però nello stesso anno Giambattista chiese la secolarizzazione abbandonando il saio di Padre Domenico . Tuttavia, essendo valida l’interdizione solo nell’ambito dell’ordine monastico, Don Giambattista, tornato in Abruzzo, ottenne la nomina a Canonico-teologo nella cattedrale di Valva. Quindi era tornato a predicare nelle nostre Terre, e, allorché Ferdinando II concesse l’effimera Costituzione del 1848, il Canonico ritenne di sentirsi finalmente entusiasta per il comportamento del re e di poter esprimere liberamente le proprie opinioni. Nello stesso anno fu incaricato dal vescovo di Sulmona di annunciare la concessione di una nuova Costituzione. Don Giambattista assolse sollecitamente il compito affidatogli che, oltre tutto, credeva (in mala fede?) gli offrisse la possibilità di esporre le proprie idee liberali; ma quando nel 1849 la Costituzione fu ritirata, lui ubbidì all’istinto. Per cui fu arrestato all’Aquila come capo di una delle prime “vendite” carbonare della provincia [3]. Fu processato, ma venne assolto per l’intervento di grossi personaggi di Corte.
Per rabbonire, poi, Ferdinando II, in occasione del quarantaduesimo genetliaco di costui, compose il “Dialogo drammatico”, di cui si riportano qui di seguito una breve premessa e una strofa:
fatto nell’anno 1852 pel giorno natalizio di S. Maestà recitato nell’accademia pubblica dai miei studenti:…”
Strofa: Rieda lunghi anni a compiere / i voti di ogni cor, / non mai cometa o turbine / insidii al suo splendor”.

Forse Don Giambattista Gentile rimase per poco a Napoli come insegnante all’Università, poi, tornato in Abruzzo, visse fra Cocullo e Pentima, ove morì il 23 gennaio 1863.

Il motivo per cui ho ripubblicato il pensierino sull’eminente religioso cocullese non è quello di ripetermi, ma quello di sottolineare la sfaccettatura più importante del suo carattere, sfaccettatura affiorata dopo la “grave colluttazione” c che rivela la sua vocazione spirituale per aver scelto l’ordine più esposto ai sacrifici e alle rinunce della vita borghese voluti da San Francesco, precetti non più rispettati interamente, né potevano essere rispettati nel convento dove credeva di trovar pace cercando di convincere i Conventuali e riportarli al rigore degli Spirituali, ma senza riuscirvi; insomma lo spirito ribelle di don Giambattista si risvegliò allorché fu deluso pure dove pensava di trovar pace e lui si vide costretto a scagliarsi contro i confratelli; non so se la quiete la raggiunse con il rimedio del Canonicato.

Note
[1] Don Giambattista, cugino in seconda del Giampasquale di cui alla nota 3, era parente di Rosa Gentile (dal 1796 sposa di Cesidio de Sanctis) la quale era sorella di un altro sacerdote, Domenico Antonio Gentile, nonché zia dell’Arciprete Don Raffaele Gentile, che fu una fra le autorità religiose più impegnate a caldeggiare l’ampliamento del Santuario di San Domenico. Orrente religio fosse più rigorosa.
[2] Dopo la morte di Francesco i suoi seguaci si divisero in spirituali e conventuali; i primi volevano restare fedeli alla Regola originaria sostenendo la dottrina di Gioacchino da Fiore e osservando rigidamente i precetti predicati dal Fondatore (i “fraticelli”), scontrandosi con la Chiesa in quel periodo troppo modernizzata: saranno accusati di eresia e perseguitati); i secondi ne accettarono le attenuazioni.
Questi Padri e padri veramente / d’ogni vizio il più turpe e il più nefando. / La virtù, la pietà presero bando / da così trista e diffamata gente. // L’unico lor pensiero è del presente, / tra lascivie e bagordi stravizzando, / ed alle spese altrui sempre impinguando, / vivono in ozio vile allegramente. // Ipocriti, impostori, petulanti, / villani, ingrati, inutili, felloni / misantropi, viziosi ed ignoranti. // O San Francesco, che Dio tel perdoni! / Questi tuoi Riformati Zoccolanti / i veri corifei son dei bricconi. // Or tutte le quistioni / su questi scellerati / si decidon col dir son oggi Frati!
[3] Anche Cocullo era agitato da fermenti repubblicani, e ospitò una forte “vendita” carbonara. Ai vertici di questa erano Domenico Panecaldo (“noto inimico del Real Trono”, reintegrato nella carica di cancelliere comunale per volontà di don Giampasquale Gentile a cui era legato da vincoli di parentela e di politica, padre di quel Giustino che poi nel 1854 morì ventitreenne nel bagno penale di Ponza), il notaio don Basilio Di Carlo, don Luigi Squarcia con il nipote Giancamillo Renzi e, soprattutto, i figli del magnifico don Gianfrancesco Gentile: Gianpasquale (padre dell’arciprete Don Raffaele che volle l’ampliamento del Santuario), Nicola (medico) e Domenico (sacerdote); l’altro Domenico Gentile, quello che intraprese la carriera religiosa come frate cappuccino e che da laico si chiamò Gianbattista non aveva con questi strettissimi legami di parentela.

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