Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#85 - 05/04/2022

Cocullo, Via del Calvario

Uno dei lettori cocullesi emigrati ha letto qualche mio testo in cui ho citato la via del Calvario, quando, parlando oppure scrivendo della toponomastica o dell’anagrafe locali, io ho scritto (e lo farei in avvenire se potessi o dovessi scoprirne altri) mi sono attenuto ai nomi relativi con quelli documentati nei registri e negli atti del Municipio, poiché non mi convincono affatto le motivazioni – quando ci sono – contenute nelle delibere adottate dalle varie amministrazioni comunali in fatto di invenzione o cambio della toponomastica cittadina; faccio due esempi: l’ex via Pacchiarotta è stata intitolata via Porta di Manno, mentre l’ex via Porta di Manno iniziava sotto un arco ora distrutto (al termine di via Piazza Larga, vicino la casa di Valentino Di Clemente) e conduceva al castello); via Arancella è un’invenzione perché in realtà ancora oggi è conosciuta come via Aracella.
Ed ora torniamo a via del Calvario. Già una traccia molto molto verosimile risale alla seconda metà del Milleottocento, quando vennero al paese due Padri Passionisti ed installarono un crocifisso, alto oltre un metro, su un blocco di cemento nel quale è scolpita pure la data precisa dell’installazione; di più: fino a pochi anni fa (e forse anche attualmente) sulla roccia che costeggia la parte sinistra di via del Calvario, all’inizio della stessa e qualche metro dietro la croce, uno sconosciuto devoto incise rozzamente dei crocifissi ancora visibili pure se sono molto abrasi. La certezza ce la dà il testamento del nonno, che abitava in una casa ubicata sulla stessa via, in cui era scritto che lasciava l’abitazione ad una nipote, adesso quasi novantenne, la quale conserva il documento che io, se gli increduli ad oltranza mi costringeranno ad estorcere mio malgrado riservata, cercherò di avere per pubblicarne almeno gli estremi. In un pensierino pubblicato online il 5 gennaio 2021, dopo essere tornato nella zona del Curro ed aver osservato attentamente le scalette di cemento che portano all’orto di Gino Mascioli, mi accorsi che quelle continuavano con un viottolo soffocato dalla terra rimossa. Allora ipotizzai che, siccome durante le mie passeggiate lungo la via della stazione la diramazione della stessa verso le abitazioni di Annamaria Panecaldo e di Anna Sbordoni è troppo breve per raggiungere due soli abitati, quella diramazione doveva salire verso il Curro e poi forse si biforcava a destra in una stradina che scendeva verso le “casette” e a sinistra verso il borgo, ora ridotto a ruderi abbandonati quasi del tutto, per ricollegarsi con via Canale.

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