Arco Sant'Orsola
(le verità nascoste nei toponimi)
Parte 1
Chi (o la memoria di chi) lo ha denominato così? Chi era Orsola? Deduco da quanto esporrò di seguito che sia stata Sant’Orsola. Quando? La sua memoria era legata, molto molto verosimilmente, a Costanza Piccolomini (1500) e la conservò la tradizione fino all’800 generando il toponimo quando si intitolarono le vie e le piazze. Il frazionamento e lo sviluppo demografico ne causarono l’identificazione con le caratteristiche territoriali (di cui permaneva ancora il ricordo ottant’anni fa e forse vagamente ancora oggi: es. “quìss’ dell’Aralizza”, “quiss’ d’Urs”) e avevano dato il nome ai quartieri: si era delineata, con l’ulteriore aumento della popolazione, già nel ‘700, ma fu disciplinata nel secolo succesivo allorché fu istituita l’anagrafe. Oggi “l’arco S. Orsola” è coperto e lungo pochi metri: regge un ballatoio, separato dalla cinta esterna del maniero da una via trasversale che potrebbe ricalcare la traccia di uno scomparso fossato. La divisione degli ex beni feudali ricavò dei vani d’abitazione nel complesso, compreso il ballatoio, sotto il quale si apre l’arco e inizia una via in discesa del centro storico. Su un muro dell’arco resta qualche traccia di una rozza e sbiadita intitolazione, scritta a mano con una vernice nera e, accanto, delle piastrelle di ceramica con l’intitolazione moderna.
Sant’Orsola Benincasa
Oggi, della famiglia Benincasa, borghese o popolana, a cui appartennero Santa Caterina da Siena e Sant’Orsola, sappiamo poco; conosciamo invece i rami nobiliari da cui derivò quello di S. Orsola e poi si diffuse in tutt’Italia. Già all’alba del secolo Mille i nomi di persona si erano uniti ad appellativi di vario genere (stato o condizione sociale, difetti o pregi, patronimici od agnatizi, attività, usi, ecc.; solo nel ‘500 gli appellativi si trasformeranno in cognomi con piccole varianti e saranno obbligatori, specialmente presso le famiglie nobili o possidenti per motivi ereditari). Quindi tutti i Ben-in-casa derivarono dal ceppo, che poi si moltiplicò soprattutto a Siena e nel Meridione, e che noi conosciamo con certezza soltanto da quando attinsero la nobiltà. Nel ‘200 un discendente della famiglia, segretario e valoroso militare dell’imperatore Barbarossa (pure re di Sicilia, il quale albergò spesso nel palazzo reale di Palermo), diventò barone fregiando il nascente casato con un’arma così ornata: scudo avente sulla base la schiuma delle onde, una torre dorata, sovrastata da due leoni, che erano emblemi degli Hohenstaufen. Entro il secolo successivo si formarono altri rami in conseguenza di vari spostamenti: uno avvenne in Campania. Questo ramo ora interessa di più: lo originò un Pierleone, che fu poi il nome più illustre della famiglia, il quale nacque a Cetara (un piccolo comune della costiera amalfitana), e generò la famiglia da cui sortì colui che poi fu coppiere, a Napoli, della regina Giovanna (seconda metà del 1300). A questa linea appartenne Sant’Orsola, da giovanissima dedita alle preghiere. Adolescente, cercò di entrare nelle clarisse cappuccine, ma invano; allora, verso il 1580, andò a fare l’eremita sul Vomero. Già mistica, ebbe parecchie discepole e divenne creatrice delle romite e delle oblate dell'Immacolata Concezione (oggi suore teatine); nel 1582 ella si recò da Gregorio XIII, e, accesa controriformista, gli disse che in un’estasi (in quel tempo le estasi erano viste con sospetto dalla Chiesa) le era apparso Dio il quale l’aveva pregata di riferire al pontefice la sua esortazione a riformare la Chiesa; il papa fece esaminare la suora da una commissione di cui faceva parte anche Filippo Neri, il quale, titubante, ne riconobbe doti soprannaturali sebbene non condividesse l’amore delle donne per la solitudine eremitica; per cui la suora successivamente dovette sottoporsi ai controlli di un ordine religioso maschile. Trascorso del tempo, i commissari suggerirono alla mistica di riordinare le oblate (in verità la realizzazione di questo proposito era già prevista in un vecchio desiderio della santa e nel testamento della stessa) in un Ordine che poi fu quello dell’ordine di clausura femminile in seno a quello fondato da San Gaetano da Thiene (quello dei Chierici Teatini): il che avvenne poco dopo la morte fisica di Sant’Orsola (1620). Nello stesso anno iniziò la costruzione del monumentale complesso destinato ad ospitare le eremite. Soltanto dopo mesi di stringenti interrogatori (era il tempo dell’Inquisizione) la suora era potuta finalmente tornare a Napoli, dove aveva fondato (1582) la Congregazione delle oblate della SS. Concezione di Maria e la Congregazione delle romite dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine, che erano suore di clausura, la cui regola sarà approvata da Gregorio XV nel 1623. La santità di suor Orsola, con l’attribuzione del titolo di “venerabile serva di Dio”, fu riconosciuta ufficialmente il 7 agosto1793 nella chiesa romana di Sant'Andrea della Valle da papa Pio VI. Copio da Mariano Armellini, “Le Chiese di Roma”, Ediz. del Pasquino, 1982 (copia anast. della seconda edizione del 1891, pagg. 454-5): Sant’Andrea- Nell’area di questo magnifico tempio esisteva un’antica chiesa in onore di San Sebastiano, la quale per essere lungo la via papale diceasi de via papae. Costanza Piccolomini, duchessa d’Amalfi, ivi possedea un palazzo che donò ai Teatini l’anno 1590 perché vi stabilissero la loro casa ed edificassero questa chiesa in onore di S. Andrea. Nel 1591 il card. Alfonso Gesualdo dié principio alla costruzione della medesima: la fabbrica fu proseguita da Alessandro Peretti cardinal nipote di Sisto V, e venne terminata dal card. Francesco Peretti nipote di Alessandro. Artchitetto ne fu Pietro Paolo Obarin romano, Carlo Maderno la terminò, ma la facciata è di Carlo Rainaldi.
L’opera comportò al card. Alessandro Peretti Montalto l’ingente somma di centosessantamila scudi d’oro (eccetto le poche decine di migliaia di scudi avuti dalla Peretti). La chiesa fu consacrata il 4 settembre 1650.