Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#70 - 22/12/2021
Il presepe di Cocullo

Il presepe di Cocullo

Il paesaggio non manca: se vieni in auto dallo svincolo dell’autostrada o da Sulmona osservi un paese ai piedi di un cocuzzolo roccioso e digradante a valle mentre gli fanno corona montagne più alte, specialmente quando la neve copre le ultime case dell’estremo sud, coperte pietosamente da un candido manto bianco perché rotte, abbandonate e sospese sulla valle imminente. La neve non manca, i volenterosi neanche, la chiesa che ospita oltre al presepe, piccolo ma molto adeguato alle dimensioni del paese, il simulacro di San Domenico trasferitovi e portato al sicuro dopo il sisma, è quel piccolo gioiello di stile tardo romanico abruzzese della Madonna delle Grazie (la parrocchiale è ancora chiusa per i danni causati dal terremoto del 2009). Sulla piazza antistante al sacro manufatto nevica abbondantemente. Sulla parete che sovrasta il presepe, due grandi angeli trombettieri annunciano con le trombe il grande evento.
Sotto, entro il limite superiore del presepino la tradizionale cometa con la coda rivolta verso l’esterno: pare che stia fuggendo dal freddo trascinandosi i fumi dei motori accesi e offrire la luminosità riflessa al sottostane Bambinello adagiato sulla paglia fra la Madonna e San Giuseppe.
Sul lato sinistro del presepe compare l’altarino laterale dell’Addolorata con mezza cappella, su quello destro della stella, sulla cornice destra, una piccola riproduzione della chiesa, prima del terremoto (tredici anni fa!!!). Uno spazio digradante dolcemente verso il tappeto di muschio a semicerchio che si allarga in basso circoscrive il termine dello strato irregolare di paglia e si stende dal giaciglio in giù, a distanza della culla (zana, dialetto romagnolo) immaginaria. Quel semicerchio si allarga in basso e con tutto il suo verde rappresenta il tappeto naturale della delizia che accoglie pastori e devoti. La nevicata sull’agglomerato è sempre più intensa, ma non riesce a danneggiare i festoni dominati, al centro, da una grossa stella, la quale quindi riesce a tollerare le intemperie.
La cometa cercherà di spegnere i motori alla mezzanotte santa, ma i devoti e i bambini non lo permetteranno. Immagino le nenie degli zampognari che, a Cocullo, allietavano noi piccoli e nel contempo accrescevano la magia di quell’atmosfera.
Nelle grandi città ho visto altri presepi; ma di affascinante lì è rimasto ancora il suono di poche zampogne. Quei presepi sono grandi, ricchi, ben illuminati da lampadine multicolori e lampeggianti, movimentati: c’è il fabbro che batte continuamente sull’incudine a ritmo cadenzato, c’è la lavandaia che sciacqua i panni su un margine di un rivo, ci sono i pastori che scendono dal pascolo con le pecorelle, c’è l’angelo… Comunque il nostro piccolo e grazioso presepe non ha nulla che lo faccia invidiare.
Un vivo riconoscimento a Don Andrea per aver voluto la realizzazione del presepino al posto dov’era stata collocata provvisoriamente la statua del Patrono e un caldo complimento ai realizzatori Vincenzo, Nicola, Vittorio, Laura, Gabriella e Anna.

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca:
senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il mento su la mano.
La vecchia canta: Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

Parafrasi
Fitta, la neve fiocca, fitta, fitta:
sulla chiesetta ch’ospita un presepe.
Il Bambinello giace sulla paglia:
accenderà la luce sui pagani,
luce con ros’ e gigli per gli umani.
E’ tutto bianco, dal Curro, giù, a Scastiégl’.
Un bel giardino diverrà quella paglia.
Fuori la neve fiocca, fitta, fitta.


La parafrasi non rispetta lo spirito della filastrocca: nell’originale si riflette il ricordo del dolore indelebile del poeta per l’uccisone del padre quando lui era piccolo, mentre la parafrasi l’espressione della gioia per la nascita del Redentore; ed una partecipazione augurale del sottoscritto.

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