Turpis Senectus
“Un giorno la rana vide un bue al pascolo e, presa da invidia per tanta grandezza, gonfiò la pelle rugosa. Poi chiese ai suoi figli se fosse più grossa del bue; risposero di no. Tese di nuovo la pelle con sforzo maggiore e chiese ancora chi fosse più grande; risposero che era il bue. Alla fine, esasperata, mentre cercava di gonfiarsi ancora di più, il suo corpo scoppiò e così morì”. “La rana e il bue” è una delle più brevi e belle favole di Fedro, celebre favolista romano nato in età augustea, e quindi mezzo millennio dopo l’altro famoso favolista greco Esopo, dalla cui produzione egli trasse molte di quelle. Con questo riassuntino della pur breve favola “La rana e il bue” (tutte le favole hanno un fine morale) ammonisce i presuntuosi e gli invidiosi che “snobbano” e magari cercano di far considerare merce di scarto coloro che sono più capaci e più sapienti, ma alla lunga finiscono con il “botto” proverbiale. Bisogna essere umili perché chi ha manie di grandezza può confidare soltanto sui creduloni, sui sempliciotti. Mi sono onorato della compagnia di Fedro per introdurre un breve discorso su alcune considerazioni ed un accenno al suo lontano precursore, ESOPO, autore della favola “La volpe e l’uva”: “Ἀλώπηξ (Una volpe) λιμώττουσα (essendo affamata) ὡς (come) ἐθεάσατο (vide) (Vedi nota 1, in fondo al testo) ἀπό (presso) τινος (un) βότρυòς (grappolo) κρεμαμένους (pendente) ἀπό (da) τινος (una) ἀναδενδράδος (vite arbustiva) ἠβουλήθη (volle) περιγενέσθαι (che fu originata) αὐτῶν (questi) ἀναδενδράδος (della vite appoggiata all’albero) βότρυας (il grappolo) κρεμαμένους (appeso), ἠβουλήθη (preferì) αὐτῶν (quella) περιγενέσθαι (fu sovrastante=sovrastante, troppo alta). καὶ(ma) (2) οὐκ (non) ἠδύνατο (fu capace). ἀπαλλαττομένη (Allontanandosi) δὲ πρὸς (da quella) ἑαυτὴν (quella) εἶπεν (disse): ὄμφακές (acerbi) εἰσιν (sono). (Una volpe essendo affamata quando vide dei grappoli che pendevano da una vite volle prenderli e non ci riuscì ed allontanandosi disse tra sé: "Sono acerbi") (3).
Un giorno Cicerone si trovò ad ascoltare un discorso di Catone il Vecchio già in età molto avanzata (al tempo suo Catone aveva superato di venti/trent’anni i limiti del ciclo normale della vita) e restò meravigliato per la lucidità del sermone. Quel discorso lo aveva fatto riflettere sulla realtà per cui i vecchi, quando le loro risorse sono rimaste intatte, ai più giovani possono dare l’apporto e il conforto per giovarsi di una saggezza acquisita con l’esperienza, senza il cui ausilio quelli opererebbero sull’orlo dell’abisso: e se poi perdessero completamente l’equilibrio, una volta toccato il fondo, scoppierebbero come tanti palloncini che completerebbero i fuochi pirotecnici aperti dalla rana; né potrebbero più copiare la volpe perché la bestia morta è infinitamente più stupida del Tartaro dantesco . “Omnia autem quae secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis” (Bisogna considerare buono tutto ciò che è fatto come vuole la natura). Quello del grande oratore e scrittore della Romanità è un insegnamento e un’esortazione per i giovani i quali non sanno di non possedere ancora le doti dei vecchi, doti che bilanciano abbondantemente quelle giovanili. I vecchi, ripeto, mettono a disposizione dei giovani il bagaglio delle loro conoscenze aggiungendovi pure i vantaggi futili (es. piaceri, edonismo; anche se non tutti, come ad es. quello di gustare una torta) ed effimeri (soddisfacimento dei sensi inferiori): Ovidio scrisse essere turpe un vecchio libidinoso …e infatti Ottaviano lo relegò a Tomi solo quando Sua Maestà …aveva 71 anni. Per quanto li riguarda (i vecchietti), tengano presente che la saggezza e l’esperienza suggeriscono di non pensare ai malanni che eventualmente assillano chi è ossessionato dal loro aggravarsi per paura della morte. Evochino invece il tempo del vigore virile, di quando incoscientemente non pensavano che neppure loro ne erano indenni, con il pericolo di non poter godere il periodo della maturità, se un pesante mattone fosse caduto sulla loro testa). C’è il fastidio dei controlli sanitari e dell’assunzione di pasticche, è vero, ma se si confida in quelli è possibile sperare di prolungare la durata di un’esistenza felice.
Ad esempio la deambulazione difficoltosa non impedisce che si coltivino affetti o che si mantengano rapporti sociali o di gustare i cibi pure senza qualche dente o se si è costretti a indossare il “ponte” con denti finti che fanno fare brutte figure quando le liquirizie vi si incollano e se lo portano appresso, come è successo a me: invece di turbarmi, con santa filosofia cercai un dentista e feci sostituire l’apparecchio con denti muovi: l’unico fastidio fu quello di sorbir minestrine per diversi giorni.
Concludo con un paragone. Dal bruco, fragile neonato, plasmato nel guscio della casa, vien fuori la crisalide, il giovane baldanzoso (ora lasciato allo sbaraglio, già prima della ex scuola, dalla disoccupazione retribuita); infine la farfalla, l’uomo maturo, serio (con cui termina lo sviluppo e il ciclo vitale dell’insetto e dell’uomo). Se il giovane ha commesso il grave errore di non far tesoro della guida e dell’esperienza degli uomini maturi o addirittura di accantonarli con il pretesto di “rottamarli” (4) per il declino dell’età, copieranno la volpe scornata: “Nondum matura est: nolo sumere acerbam- Non è matura ancora; non (la) voglio prendere acerba”. Questa la versione che fece Fedro della famosa favola di ESOPO: siccome la bestia non riusciva ad arrivare al grappolo, credendo di non beffarsi da sé, disse che l’uva non era matura: cioè chi è incapace di fare mette da parte chi sa fare. Quindi la morale ci svela che lo spocchioso non si accorge di essere cretino e ridicolo.
Note
(1) Aoristo (è il tempo di un verbo che indica un passato indefinito (che può anche perdurare) e che in italiano potremmo intendere (specie nel tradurre le favole) più prossimo al passato remoto).
(2) Kaì= e; ma qui trattasi di una preposizione negativa rispetto al fine propostosi dalla volpe.
(3) La lingua greca s’impose ad un miscuglio di fenicio, etrusco, armeno, minoico, ecc., per cui si differenzia alquanto dalla classica e quindi ostico già di per sé: figuriamoci per uno studente di settant’anni fa! Ma il Greco gli piaceva e ancora lo attrae: scusatelo se rilevate qualche errore o imperfezione in questo esercizietto: Esopo lo ha già scusato.
(4) Verbo il cui significato è stato applicato recentemente nel mondo politico della democrazia italiana.