La fontana medioevale
Sorvolo sul neolitico, quando l’uomo balbettava e tuttavia riuscì a tramandare quelli che potremmo definire i primi monumenti funerari costruiti con i macigni (esempio: il dolmen di Pietrafitta a Cocullo, risalente a tremila anni fa) da loro considerati l’espressione di una forza sovrumana e forse nel contempo l’espressione dell’energia in genere.
Salto ancora, dopo i tremila anni, a cinquecento/quattrocento anni prima di Cristo, ai popoli celti (ma pure a secoli prima se comprendo l’Oriente e la Grecia); quelli (i Celti) erano indoeuropei poi scesi in quasi tutta l’Europa, compresa la nostra penisola. Adoravano gli elementi naturali quali i boschi, le grotte, le sorgenti, i laghi perché credevano nella protezione degli stessi contro le calamità. Quindi quei luoghi, ritenuti sacri, soddisfacevano l’esigenza del loro spirito.
Con l’avvento del Cristianesimo ed il contemporaneo inaridirsi del paganesimo fu accettata, anzi gradita, la nuova religione, una religione che offriva il trascendente, ma non si riuscì a dimenticare quei luoghi che erano stati tanto cari a quelle genti ingenue e smarrite. Dopo qualche vano sforzo (Concili del 400/500) di eliminarli o di accantonarli, prevalse il monito di Cassiano e Sant’Agostino secondo cui la Chiesa doveva trovare il modo di conservarli trasformandoli in simboli dalla stessa sublimati: su quei luoghi pian piano sorsero chiese, santuari, monasteri. Analogamente, molto più tardi, sulle future immagini cattoliche saranno disegnate le Croci, e gli idoli pagani diverranno orpelli per ricordare la convivenza e il dominio dei santi rappresentati: è il caso del nostro San Domenico, ma pure della Madonna a cui furono consacrate le fonti (allora le acque scorrevano limpide) come espressione della sua purezza.
O fons Bandusiae splendidior vitro…
(O sorgente di Bandusia più splendente del cristallo…)
Ancora al tempo di Orazio (Vedi nota 1, in fondo al testo) le acque erano pure (veramente il Poeta invocava Venere accanto alla fonte chiara nel quadro del paesaggio georgico).
Ma pure fino a molti secoli dopo e perciò la Madre di Gesù fu onorata al posto della Venere oraziana. Con il trascorrere del tempo, raffinatisi i gusti, l’acqua, oltre a conservare il significato metaforico della purezza, venne raccolta in fontane che divennero elementi architettonici. Già gli Assiri e successivamente avevano costruito monumenti artistici; questi ultimi sostituirono i tubi delle condutture con il bronzo eliminando quelli di piombo. Nel Medioevo la monumentalità delle fontane raggiunse l’apice (vedi, a L’Aquila, la Fontana delle 99 cannelle).
Veniamo a Cocullo e focalizziamo l’attenzione su una fonte oggi più modesta e meno antica (malgrado i suoi cinque o sei secoli di vita) della vicina lastra lapidea piazzata (se c’è ancora) su un punto del rivo Pezzana, ora secco, e ben più importante di quella, la quale forse sostituì la pietra liscia che aveva reso importante quel punto del corso d’acqua. La fontana fu costruita per iniziativa di un notabile del casato Berardi-Ruggeri (poniamo del diplomatico e pio costruttore religioso Ruggero II, il quale costruì molti edifici religiosi fra cui la celanese chiesa di San Francesco, il santo che era stato conosciuto dal padre, Tommaso, nel secondo decennio del 1200) per rendere più dignitoso e agiato il lavoro delle donne (allora molto devote), che per consuetudine andavano a sciacquare i panni appena fuori le mura del paese, al rivo. La “firma” apposta (scrivo “apposta” perché il terremoto del 1915 danneggiò la fonte ed il Parroco, Arciprete Don Loreto Marchione, di sua iniziativa utilizzò i soldi avanzati ad un vicino cantiere installato per lavori nella chiesa patronale di San Domenico per ripararla e collocare lo scudo sul fronte: l’emblema dell’arma gentilizia del casato Berardi-Ruggeri) mi ha fatto ipotizzare che l’opera sia stata voluta da un conte di Celano (angioino). Questo feudatario risiedeva a Celano, capitale del nostro feudo, e penso che Cocullo si sia accaparrate le sue simpatie soprattutto allorché molto probabilmente Luigi II d’Angiò con i suoi Templari, accompagnato dal corteo reale a cui si erano aggiunti alcuni dignitari locali, fra cui non poteva mancare il conte di Celano suo vassallo, erano passati qui per andare a prelevare Pietro del Morrone. Al lavatoio, su cui si aprono, su alti piedistalli (naturalmente pure essi in pietra come tutto il complesso) tre ampi archi gotici, poi fu aggiunto un abbeveratoio.
sulla purezza delle acque e lo “spitale” degli Antoniani di Vienne (confluiti nella Congregazione celestina) che sicuramente sorgeva “fuori le mura” del centro storico del paese, accanto alla “Pilélla” (la grossa lastra di pietra allisciata fino al secolo scorso dalle donne che vi sciacquavano i panni e forse prima anche dai frati) e la vicina fonte. I Celestini (che a Cocullo ebbero il primo abate dopo l’ascesa al soglio di Pietro del Morrone) furono particolarmente devoti alla Madonna e i Celestini-Spirituali (inizialmente il futuro santo morronese aveva definito “Spirituali” i suoi seguaci, i quali vollero conservare quella definizione affidandola al nome della loro abbazia: Abbazia di Santo Spirito). Gli Spirituali conoscevano Sant’Agostino ed anticiparono il Concilio Lateranense del 1961? La Chiesa ha accolto come ornamenti i simboli della tradizione, purché conciliabili con il Cattolicesimo, e quelli rispecchiano i simboli delle bestie ammansite o dominate dai santi (uccellini, porcellini, libri, ecc.) (2).
Non so scrivere altro sulla fonte medioevale, se non il ricordo di qualche aneddoto. Quando ero ragazzo la nonna paterna mi raccontava che da giovinetta, per attirare l’attenzione di nonno, il futuro marito (allora qui non era stata portata l’acqua corrente nelle case), andava a riempire la “conca” (recipiente di rame per attingere l’acqua necessaria alla famiglia) alla fontana medievale passando sotto l’abitazione del suo futuro Luciano; tornata a casa, vuotava il contenitore e ripeteva l’operazione… Dopo pochi anni cominciai a frequentare la fontana per divertirmi alle spalle delle massaie che, avendo fretta, cercavano di servirsi al posto di quelle che erano arrivate prima di loro: volevano fare le “portoghesi”, ma le altre si ribellavano a colpi di conca…
Devo immaginare che purtroppo la fonte non è quella originaria, considerato che le frequenti piene alluvionali del vicinissimo rivo, nei secoli, hanno provocato danni alle strutture che si trovavano nelle vicinanze del corso d’acqua (oggi pressoché completamente inaridito): ma ancora alla metà dell’Ottocento esso travolse un ponte quasi da quella sporgente e nel 1837 un’alluvione distrusse un ponte vicino alla fonte medievale e un altro poco più giù, al “Margarone”: la fontane fu rincalzata (Archivio di Stato- L’Aquila); la stessa alluvione causò almeno un morto: una donna che stava sciacquando i panni al rivo, probabilmente alla “Pilella”(la specie di lavatoio tradizionale) e il cadavere fu ripescato dopo qualche giorno ad Anversa. Ancora, l’8 maggio 1870 si decise provvedere alla ricostruzione dei due ponti Comunali, l’uno detto Sotto S. Antonio, l’altro in Fonticelle.
Note
(1) In Sabina, a Licenza, Orazio possedeva una villa costruita vicino alla fonte, su cui nel 1400 sarebbe sorto il ninfeo degli Orsini.
(2) D’altronde pure i pagani Marsi dominarono i serpi. Perché non dovremmo comprendere queste bestie, almeno quando strisciano sul simulacro del Santo, fra quelle ammansite?