Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#26 - 08/02/2021

Ricordo di un uomo e di un amico

Quando ho avuto la notizia dell’improvvisa scomparsa del dottor Santilli ho scritto un breve necrologio: l’annuncio ha rattristato e commosso gli amici e tutti quelli che lo avevano conosciuto e ne avevano saputo apprezzare le doti e la dedizione, ma anche l’esuberanza giovanile nonché la capacità di adattamento nel rispetto più rigoroso della deontologia. Ha osservato il giuramento fatto su Ippocrate fino alla morte, quando quel triste giorno, a sera inoltrata, il suo cuore grande ha ceduto.
Mentre andava a dormire confessò alla sua signora che stava avvertendo un dolorino alla spalla, e all’anima gemella che lo stava rassicurando con l’argomentazione per cui le persone anziane in genere soffrono di dolori reumatici, rispose: “Questa volta ti sbagli: questo è una stenosi cardiaca”. Fu l’ultima diagnosi, furono le sue ultime parole: dopo pochi minuti si spense. Negli ultimi tempi un glaucoma aveva velato la sua vitalità, ma non il carattere espansivo e generoso. Si era tanto affezionato alla lettura che continuava a comprare i giornali per leggerne i titoli a caratteri cubitali.
Il dottor Santilli è stato uno degli ultimi “eroi” della “condotta medica”, quella che nell’ultimo secolo il suo collega Gennaro Finamore aveva delineato: “…chi nasce e vive in ambiente civile non immagina facilmente la condizione del volgo, specie in campagna”. Veramente da quel tempo a quello della “condotta” del nostro sono trascorsi decenni eppure, malgrado il dio Crono (il tempo) in questo mondo impazzito, si sia messo a correre, la situazione era cambiata solo un poco. Il giovane professionista ebbe la prima “condotta” a Cocullo. Arrivò sulla vecchia lambretta che aveva usato da studente, gioviale e aperto come traspariva dall’esuberanza giovanile. Si appassionò all’esercizio della professione e fu comprensivo nei confronti dei pazienti, anche del popolo minuto che trattò con generosità. Tre o quattro volte alla settimana, dopo il consueto giretto delle visite ai malati nelle loro case, mi caricava sulla motoretta e … via al lago di Scanno. Anche quel mezzo sembrava che avesse conservato un motore goliardico: quasi sempre la dovemmo spingere in salita e poi riguadagnare tempo in discesa.
Il dottor Santilli lasciò il mio paese quando io mi ero già trasferito. Seppi che aveva avuto il pensionamento mentre esercitava a L’Aquila; ci siamo rivisti a Roma due lustri fa: ambedue eravamo pensionati. Egli aveva perso la goliardia, ma non la vitalità, e il carattere era lo stesso; pure lo spirito che affiorava nell’eloquio, spesso, soprattutto nei racconti infiorati di ironia all’inglese alternati a quadretti plastici. Il tatto era lievemente mutato per la maturità. E quando dissi se potevo chiedergli qualche ricordo notevole o curioso della sua esperienza di medico replicò che lui aveva giurato fedeltà a Ippocrate; poi, guardandomi, completò la frase: “Beh, a te dirò quel che posso dire e che ricordo, ma non farò i nomi dei protagonisti dei singoli episodi, neanche se essi sono morti”. Il primo raccontino fu patetico, quasi volesse esordire muovendo alla commozione: finito il solito giro nella frazione, fu colto da una violenta bufera di neve. Mentre tornava a piedi a Cocullo incontrò una vecchietta, ammantata nello scialle, che tornava dall’orto dov’era andata a prendere una fascina; questa lo fermò ed esclamò: “Dottò’ addò’ va’ ch’ ‘sta finazione de gl’ mùnn’?” (Dottore, dove vai con questo tempaccio?) e aggiunse: “Vié”’ a ccasa, ca t’ rescàll’ accant’agl’ fuòch’” (Vieni a casa, così ti scaldi vicino al fuoco). Lui accettò. Calmatasi la tempesta, mentre il dottore si accingeva ad uscire, la vecchietta lo trattenne per incartargli due uova.
Visitando un vecchio, notò che quello versava in gravi condizioni: chiese alla moglie perché non lo avessero avvertito prima e la poveretta rispose che non avevano denaro per comprare farmaci; al che il medico rispose che lui avrebbe fatto di tutto, ma che lei intanto si preparasse… Quella, disperata, replicò: “Oddio, dottò, vid’ ch’ può’ fa’, ca ì’ n’n tiéngh’ gl’ sòld’ p’ fa’ gl’ murtòri’ i gl’ fun’ral’ cùmma gl’ tié’ tu p’ gl’ pariént’ tji” (Dio, dottore, vedi che puoi fare, poiché io non ho denari per pagare la cerimonia funebre ed il funerale come li hai tu per i parenti tuoi). A Ninì venne voglia di ridere ma si limitò ad un sorriso benevolo: si rimboccò le maniche, ci si mise di buzzo ed il malato migliorò e poi guarì.
Ad un uomo leggermente febbricitante prescrisse una supposta; quello, il giorno seguente, non aveva più febbre ed era anzi arzillo; tuttavia si lamentò con il dottore: “Dottò’ m’ so’ guarit’, ma quéla m’d’cìna éve tropp’ amara!” (Dottore, sono guarito, ma quella medicina era troppo amara…).
Quella volta un passante gli disse di aver sentito dalla via dei lamenti strazianti di una donna che stava sola in casa. Il dottore chiese l’indirizzo della poveretta, ma l’informatore diede indicazioni molto approssimative, solo un passante indicò la via e aggiunse che la donna era molto grassa. Il medico percorse quella via ed entrò in una porta sulla quale si apriva una finestra da cui pendeva una larga mutanda. Ci aveva azzeccato!
Quel giorno fu la volta delle galline. Dopo aver fatto le visite al paese, scese alla frazione dove era una sola ammalata. Questa contadina era un po’ benestante: la visita andò bene. Il dottore ebbe come ricompensa due galline, che ripose vive e legate per le zampe nel cofano della “Cinquecento” con il proposito di portarle alla mamma; rimessosi in viaggio, risolse di fermarsi al mercato di un centro vicino per comprare un po’ di frutta fresca. Fatta la spesa aprì di botto il cofano (la fretta fa brutti scherzi) dov’erano stati ficcati i volatili e questi ne uscirono starnazzando per la piazza, tra le bancarelle, lasciandosi dietro una scia di piume e “coccodè”.
Un episodio curioso avvenne lungo la strada Cocullo-Casale. Era una grigia sera del tardo autunno già fresco pungente e il medico, a bordo della “Cinquecento”, tornava a Cocullo dopo aver fatto le visite nella frazione. Lungo la strada raggiunse due signori del paese mentre passeggiavano. Siccome nuvole nere minacciavano pioggia, l’auto si fermò e il conducente li invitò a salire. Accettarono. Ora bisogna ricordare che il giovane aveva racimolato sei uova fresche nel suo giro consueto; e che uno dei due signori era austero e borioso. Proprio quest’ultimo andò a sedersi nel sedile posteriore (quello dei notabili) dove il medico aveva sistemato le uova e quello, nella foga del parlare, non si accorse che le stava covando. Alle prime gocce di pioggia un contadino che era andato ad innaffiare un suo terreno vicino al ciglio della strada si mise ad arrotolare il tubo. Il medico si fermò per attenderlo e quando questo salì l’ospite seduto dietro si dovette stringere: allora si accorse che aveva “fetato”. Il nuovo venuto lo fece scendere e, subito, infilato il tubo alla presa d’acqua, continuò l’operazione di prima, sotto la pioggia, dirigendo il tubo sulle vitamine che colavano dal deretano dello sfortunato, mentre il freddo faceva stridere i denti di costui: l’eroe austero arrivò a casa come un pulcino appena nato.

Mi sono dilungato abbastanza con questi quadretti, ma a me piace ricordarlo così, allegro, ancora permeato della goliardia di quando arrivò a Cocullo, dove esercitò con passione la professione e trasmise ai malati l’ottimismo: fu un missionario laico.

Nelle foto: 1- E’ nel pieno della giovinezza spensierata in quella dove è seduto davanti al coro di Vittorito, dove se ne vede solo la testa (purtroppo non ho altre fotografie che lo raffigurino in gioventù) ed in cui suona la fisarmonica; 2- Fu ripreso nel giorno del 90° compleanno un paio di settimane prima di morire: credo che sia l’ultima foto.

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