Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#23 - 19/01/2021
Il Pagus

Il Pagus

Sin dal tempo degli Italici esistevano vasti comprensori suddivisi in vari nuclei abitati della stessa tribù; poi, sotto l’impero romano, queste “civitates” si chiamarono “pagi” e i nuclei si frazionarono in “vici”. Scrive un docente di Archeologia nell’Università di Liegi (il quale ha fotografato e descritto questa parte dell’Abruzzo con foto a raggi infrarossi scattate dall’aereo): Nella Valle del Sagittario può essere situato un pagus intorno a Casale di Cocullo che, se l’identificazione di Couculon è giusta (come lui conferma a pag.294 dello stesso volume), viene indicato da Strabone come pòlis allo stesso modo che Cesare chiama municipia i pagi della Conca Peligna. Le molte statuette di Ercole e una stipe votiva trovate in questa zona sono indizi dell’esistenza di un santuario in questo pagus. Anche l’usanza, ancora sussistente, dell’annuale processione delle serpi risale indubbiamente ad un antico culto (a questo punto fa riferimento a pag. 294. Eccola: Il nome del Comune di Cocullo, situato nella parte alta di una valle laterale della valle del Sagittario, nel medioevo Cucùllum sembra identificabile con una polis Kouculon, segnalata da Strabone in prossimità della Via Valeria… Tale localizzazione fu identificata per la prima volta da Holste, che per primo identificò Koùculon con Cocullo, nel territorio di confine tra Marsi e Peligni. Tale identificazione era per lo più ammessa e viene ancor oggi generalmente accettata… Sembra quindi giustificato, senza correggere il testo di Strabone, cercare Kouculon presso Cocullo, dove, precisamente nella frazione di Casale rimangono molte tracce di un importante pagus dal periodo preromano fino all’epoca imperiale (VAN WONTERGHEM, Superaequum, Corfinium, Sulmo, Forma Italiae - Consiglio Nazionale delle Ricerche)

Vedo l’antico pago stendersi nella convalle del Pezzana, dal “Curro” all’anversana “Foce” fin quasi alla confluenza del rivo con il Sagittario; in larghezza alcuni vici si arrampicano sulle falde delle montagne opposte quasi a lambire i pascoli e le selve. L’attuale frazione del Casale è la pòlis vista da Strabone dalla Via Valeria vecchia: si trovava lì il santuario di Ercole Curino (Vedi nota 1, in fondo al testo), lì affluivano gli abitanti del pago. Nella Guerra Sociale, il polo del pago si spostò nel vico più alto, inaccessibile e fortificato, quello che sarà Cucullum oppidum, per esigenze strategiche. Quando le truppe romane non riuscirono ad arrivare a Corfinio per via diretta a causa della resistenza, un po’ perché il passo di Forca Caruso era troppo stretto e accidentato per le legioni (Claudio lo avrebbe allargato circa cinquant’anni dopo costruendo una variante alla strada consolare), né riuscirono a passare sulle rovine di Milonia, temendo un aggiramento, gli Italici apprestarono sulla rocca del nostro vico un loro caposaldo per difendere la capitale. Forse fu in quel periodo che diversi abitanti dei vici compresi nel pago si rifugiarono in agglomerati o in zone vicini e più sicuri e quindi Cocullo divenne il più popoloso mentre alcuni (es. “Le Ruótte”, “Glie Vrégnune”) cominciarono a scomparire. Conseguentemente, oltre al futuro capoluogo, sopravvisse il vico casalano sui ruderi di Trianella, e la corte divenne Cortina.

Si sa come poi finì la Guerra Sociale. Roma successivamente assegnò ai legionari gli appezzamenti di terreno e quelli si installarono sui loro nuovi possedimenti con le rispettive famiglie e dei servi. Questi ultimi divennero più numerosi “in loco”, accanto ai liberti; più tardi molti legionari ottennero l’esenzione dal pagamento di tasse importanti e divennero veri e propri latifondisti.
Passarono secoli costellati di distruzioni (Saraceni), calamità ecc. Si diffuse il Cristianesimo. Questa religione predicò l’affrancamento dalla schiavitù e liberò molti schiavi delle “curtes”. Verso il X secolo, ma già molto prima San Benedetto, dando vita al suo Ordine all’insegna dell’”ora et labora”, le “curtes” si popolarono di “laboratores”, cioè di schiavi tramutati in servi della terra su fondi principali in cui sorse qualche casa rurale (casale (2)) che dipendeva dal primo, lavorate quindi da servi e liberi. La “curtis” antica nel tempo si evolveva. Nell’Alto Medioevo, la “corte” già si stava trasformando in un complesso di stalle accanto a terreni allodiali (cioè coltivati da contadini liberi) perché i coloni erano fuggiti dalle invasioni e dalle calamità trovando accoglienza nei vici attrezzati in cui risiedeva il signore.
Passiamo all’alba dell’Alto Medioevo. Nell’XI secolo era cominciato l’“incastellamento”, consistente nel fatto che i signori, in quanto fornivano protezione agli abitanti del contado, in cambio si arrogarono il potere di banno (giornate obbligatorie, tasse e conferimento dell’eredità della signoria con tutti i beni (compresi il mulino se esisteva un corso d’acqua, le stalle e la cappella) agli eredi. Il maniero era abitato pure dai “bravi” più fedeli. Le terre del feudo furono divise in due parti: la dominica (messa a coltura direttamente dal padrone e lavorata dai servi) e la massaricia (coltivata dai contadini liberi, che però dovevano corrispondere al signore un terzo delle rendite nonché le gabelle e, se necessario, giornate lavorative gratis.

Ho scritto che il Casale nei primi seccoli dopo Cristo, era Cocullo, cioè la città vista da Strabone: LA CITTA’ ERA IL CASALE ATTUALE: Ha aggiunto Vanterghem nell’opera citata: Ruderi di edifici antichi, ora scomparsi, furono individuati soprattutto nella zona a SO della frazione Casale, Triàna o Trianèlla, dove nella tradizione popolare viene situata una città scomparsa: Triàna o Adriàna.
Ma ho scritto pure che al tempo delle invasioni barbariche successive alla caduta dell’Impero, i servi della parte massarizia, raggruppati in casolari sparsi nella campagna, fuggirono dai nuclei sforniti di difese per rinserrarsi nella parte dominica, cinta da porte e mura. Questo fenomeno si dovette verificare più volte nel corso dei secoli e non solo in occasione delle invasioni: per la peste del 1600 ne abbiamo conferma dai rozzi, che quindi vanno accettati con beneficio d’inventario, ma che sono indicativi, disegnini riproducenti il territorio di Cocullo e di cui riporto le foto in allegato: nel 1600 e nel 1700 (forse in questo secolo solo pagliai) si vede che il Casale era costituito da un gruppetto di casolari più piccolo della grangia (articolata su quattro locali) abbastanza distanti dalla stessa e Cocullo abbastanza allungato verso San Giovanni in Campo; nel1800 la situazione non cambia di molto, tranne che l’attuale capoluogo (Cocullo) è pericolosamente più allungato verso la grangia che sembra essersi ridotta a tre locali. Così il vico settentrionale, evidentemente comprato dai paesani al Sacro Collegio o all’ultimo signore (già ai tempi delle Crociate i feudatari avevano cominciato a impoverirsi nello sperpero di ricchezze a causa dell’armamento onde affrontare i viaggi in Palestina), da antico caposaldo divenne il centro del feudo e i Casalani andarono ad abitare nella parte bassa di questo paese fino al 1700, frequentando la loro campagna e i loro pagliai solo di giorno. Poi tornarono alla grancia di San Giovanni in Campo portando a noi il folclore del rito dei serpi. Seguo le settecentesche informazioni autorevoli di monsignor Antinori: alla fine del 1300 tutti i rustici del Casale furono costretti dalla peste (3) del 1348 a spingersi nella parte più alta del pago (4), che per via del castello, garantiva anche una buona difesa. Fra loro erano i religiosi della grancia, i quali portarono con sé nella chiesa cocullese di Sant’Amico le reliquie di San Domenico evocanti il rito pagano. Di qui cominciò il dirozzamento delle scorie pagane e l’ingentilimento del rito che poi sfociò nella festa attuale; perciò è giusto che un consistente numero di “serpari” affluisca dai Casali.

Nella Corografia dei Marsi l’Antinori (metà ‘700), il quale affermò di avere attinto dal Gattula, scrisse: Nel 1392 dal Monastero di S. Pietro del Lago si mandavano monaci a regere la cura delle Anime nel castello di Cocullo colle patentali dell’Abate Casinense, e risedevano nella Chiesa di S. Giovanni in Campo. Quindi, essendo morti i Monaci Andrea e Bartolomeo di Anversa, l’Abbate conferì Rettoria ai due altri Monaci di San Pietro, Vincenzo e Marino, pure di Anversa, in Beneficio ecclesiastico curato e ne commise il possesso a Angelo di Casale di Bugnara, Monaco di S. Pietro medesimo. Da quei Monaci s’era propagata in Cocullo la venerazione di S. Domenico Abate e fondatore del Monistero di S. Pietro.

Dopo un centinaio di anni scrisse un canonico di questa Diocesi: Il culto di San Domenico si originò in Cocullo ad opera dei frati della sua Rettoria Curata di San Giovanni in Campo. (Celidonio, La Diocesi di Valva e Sulmona”, Di Cioccio Ed. 1993)

Note
(1) Sopra a “Cortina” è stata ipotizzata la probabilissima ubicazione di una stipe per via del ritrovamento in quella zona di molte statuine del semidio pagano: la stipe è adiacente ad un largo spiazzo semicircolare su cui sono sparsi grossi macigni squadrati.
(2) Quando il casale era costituito da poche case aveva una chiesetta.
(3) La precisazione è mia.
(4) …e capitannoce alcuno che vada alloco sospetto che abbia da stare alli luoche dove sarra destinato accio non socceda qual che male concetto poi perfezionato e ribadito: che nesciune vada fore senza licenza e che non debbiano annottare fore, et secci pernottassero che debbiano fare la quarantana e cosi ancora quella gente che alloggiano fore alli Casali con la famiglia selli facciano ordine che debbiano revenire tutti dentro la terra pero quelli tali che ci anno le robbe cenne debbia restare uno solo per la notte accio non selli faccia danno e che ogni sera se debbia fare la revista della gente dove se trovano accio se sappia dove vanno… (del. 29.10.’656).

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