Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#22 - 11/01/2021

Monte Titolo

Questo pensierino non è uno scritto nostalgico, ma un monito: mi è stato suggerito dalla riflessione sullo stato di abbandono di un tipo di economia che, come ho avuto modo di scrivere, ha soffocato i paesetti di montagna. Il famoso economista inglese Ricardo scrisse press’a poco che l’animale, e quindi anche l’uomo, finisce se abbandona la terra. Fu un profeta e lui stesso lasciò una comoda e lucrosa attività per comprare una tenuta agricola. Fu un profeta: quando le industrie saranno dal virus nuovamente costrette a chiudere i capannoni, i pastori e gli agricoltori potrebbero continuare a svolgere la loro attività; non solo, ma, pure in una forma di economia chiusa, potremmo mangiare cibi non sintetici o creati in laboratorio ed anche gli animali potrebbero nutrirsi a dovere. Pure l’ambiente, di cui tanto si parla a sproposito, potrebbe cominciare a resuscitare. Penso che governi oculati dovrebbero incrementare tutte le attività produttive e non solo quelle che fruttano profitti inutili o illusori (almeno per le spese, materiali o ambientali e insalubri ecc. che comportano) ai grossi imprenditori industriali, ma benefici alla collettività.

Molti anni fa l’amico Tonio mi caricò sul suo fuoristrada e ripercorse in gran parte il tracciato del tratturello che dalle valli scannesi andava a confluire nel tratturo Celano-Foggia a Forca Caruso.
Il calendarietto da tavolo aveva esibito un foglio della prima decade di agosto, il caldo batteva, e cercammo riparo nel fresco della montagna. Fino alla “Cisterna” e pure poco più in là c’ero già stato, ma a piedi, e per non stancarmi troppo avevo pensato bene di non spingermi oltre più di qualche chilometro; e poi non ti puoi fidare, in montagna, delle condizioni metereologi che e delle temperature allo scoperto a caval di S. Francesco.
Il fuoristrada arrancava e saliva. Rallentò su una piccola spianata e guardai Tonio. Eravamo arrivati ai margini di una forra: due metri a sinistra, oltre un burrone a grande distanza e in basso, una montagna che dal mio paese tagliava l’orizzonte. Voltai istintivamente lo sguardo e qualche metro davanti scorsi qualcosa che luccicava: avanzai e raccolsi un artiglio di rapace, lo raccolsi e lo misi in tasca. Una ventina di metri più su vidi tre pilastri sormontati da una croce e conficcati mentre si abbracciavano tra loro: indicavano i confini dei tre Comuni Cocullo, Ortona ed Anversa. Più avanti a destra si vedeva un lontano agglomerato (Villa Santa Maria) aggrappato alle falde di “Titolo” (dialettalmente “Titegli’”). Chiesi all’amico perché il monte in cui eravamo si chiamasse così, ma replicò secco che non sapeva rispondere a quella domanda. Pensai che quel toponimo fosse il parto di qualche pastore originale e fantasioso. D’altra parte l’altitudine favorisce l’appetito: ci sbrigammo. Forse non mi ero allontanato, nell’intuizione, che da una probabile realtà: vedremo se è così.
La pastorizia era praticata fin dall’“immemorabili”; ma per lungo tempo fu un fenomeno nato dalla società della sopravvivenza; poi ebbe risonanza sociale nella poesia (Omero), quindi qualche spostamento disegnò piste rudimentali che diventeranno “calles”. Su queste gli schiavi portarono le pecore dei padroni e Roma cominciò a tassare questi, perché le “cose” (cioè schiavi e animali) dei padroni transitavano sul suolo pubblico. Potremmo perciò affermare che i veri pastori (gli schiavi) erano costretti a praticare la pastorizia senza trarne beneficio. E’ logico che dopo l’emanazione dell’editto di tolleranza verso i Cristiani l’attività subisse un incremento che si accentò più tardi con l’affrancamento completo voluto dal Cristianesimo. Esso calamitò i regnanti medioevali già dai Normanni che quindi crearono uno Stato italiano ad orientamento cristiano dal centro-meridione in giù. Ruggero II fu il primo ad attuare norme sulla tutela dei pastori transumanti. Questa linea fu seguita pure dallo svevo Federico II e dagli altri. Giovanna II, poi, richiamò esplicitamente alcune disposizioni di Ruggero. Il 1447 segnò il trionfo della transumanza con Ferdinando d’Aragona: questi la disciplinò dettagliatamente fondando la “Dogana della mena delle pecore” in Puglia. Questo organismo (avente competenza civile, criminale e amministrativa e le cui regole prevedevano l’obbligatorietà della transumanza anche per possessori di morrette composte di almeno venti capi e l’incameramento dell’ammontare delle imposte da parte dello Stato) durò fino al 1806, quando fu sostituito da un altro organo, in “Tavoliere”. Nel 1865 il tavoliere pugliese fu tolto alla pastorizia a favore dell’agricoltura e restarono in vita solo quattro tratturi, compreso il nostro. Ma ormai la “civiltà dei tratturi” boccheggiava e con essa la poesia dei tratturi: la carovana annunciata dai campanacci dei montoni, il via vai dei grossi cani dotati di robusti collari chiodati, i busti dei pastori e i dorsi carichi dei muli emergenti dal mare delle greggi che si profilavano sui pendii delle colline svanirono; io ebbi solo il tempo di vedere gli ultimi carri bestiame carichi di pecore che venivano avvolti, all’ingresso della galleria di Goriano, dalla nuvola di fumo del camino della vaporiera.
La parentesi è stata abbastanza lunga: ho stimato opportuno rispolverare la memoria con questo velocissimo excursus per dimostrare che il dialettale “titolo” è strettamente collegato alla pastorizia transumante e di questa è una componente. Infatti spesso i tratturi, che dopo la regolamentazione di Alfonso, nei punti più larghi non potevano superare un’ampiezza corrispondente a 111 metri, subirono sconfinamenti, specialmente nel periodo 1500-1700 parte dei feudatari e pure da altri proprietari terrieri Allora il termine “reintegra” acquistò un importante significato nel vocabolario agro-pastorale: ripristino del confine violato. Quel termine ne generò altri: il “compassatore”, che era una specie di agrimensore autorizzato dal Governo; il “titolo”, cioè il massiccio termine di pietra infisso ai margini del tratturo o del tratturello. Orbene, sulla montagna nota come “Titolo” (Tit’gl’) sorgono tre grossi macigni i quali segnano i confini di tre Comuni: Cocullo, Anversa e Ortona dei Marsi; non si può escludere che la parola riferentesi a questo toponimo ha significati diversi (nei pressi poi passava il tratturello che dall’alta valle del Sagittario confluiva nel tratturo Celano-Foggia a Forca Caruso), però penso che il più probabile sia derivato dalla fantasia di qualche pastore che ha tenuto a battesimo il monte dandogli il nome di un immenso pilastro confinario fra tre Territori. (L’agricoltura e la pastorizia hanno sempre fatto “l’amore a ‘ngagnarèlla”, nel senso che, specialmente dopo le restrizioni apportate alla transumanza e dopo l’abolizione della stessa, il numero delle pecore si è ridotto in modo impressionante e molti pastori hanno praticato ancora per poco la monticazione e nel contempo l’agricoltura, e ai confini dei terreni da loro coltivati fissarono termini lapidei simili (ma leggermente più piccoli) a quelli disseminati sui tratturi.)

Dettaglio delle localita’ attraversate dal tratturo Celano-Foggia:
Celano, Aielli, Cerchio, Collarmele, Pescina, Falaschito, Cocullo, Casteldieri, Goriano Sicoli, Raiano, Prezza, Pratola Peligna, Sulmona, Pettorano sul Gizio, Rocca Pia, Rivisondoli, Pietransieri, Roccaraso, Castel di Sangro, San Pietro Avellana, Vastogirardi, Carovilli, Pescolanciano, Pietrabbondante, Civitella del Sannio, Bagnoli sul Trigno, Salcito, San Biase, Trivento, Lucito, Morrone del Sannio, Ripabottoni, Sant’Elia a Pianisi, Bonefro, San Giuliano di Puglia, Casalnuovo, Montarotaro, Csalvecchio di Puglia, Torremaggiore, Lucera, Foggia.

Nota - I tratturi Celano-Foggia e Pescassaroli-Candela si intersecano nei seguenti paesi: Castel di Sangro, San Pietro Avellana, Vastogirardi, Carovilli, Pescolanciano.

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