Pensieri in Libertà di un Ottuagenario

di Nino Chiocchio

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#19 - 22/12/2020

La peste nera e la ...peste amministrativa

“E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagl’infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto vi sono avvicinate”.
Così Boccaccio vide i contagi prima di rifugiarsi con le donzelle sulla collina di Fiesole.
La peste convive subdolamente con l’uomo per tutto l’anno; quando “dorme” si rivela soltanto in qualche migliaio di persone all’anno e, siccome nella specie che attacca i polmoni si sviluppa rapidamente ed è la più micidiale resistendo a tutte le temperature: perciò io ho fatto per decenni il vaccino contro l’influenza. Cari giovanotti strafottenti, salvaguardate i vostri polmoni e fatevi praticare il vaccino dell’influenza; i malanni, comunque si manifestino, sono insidiosi e lasciano sempre il segno, non sperate nel vaccino contro il coronavirus, perché quando lo scopriranno, se lo scopriranno, se ne dovrà attendere poi la distribuzione. Non posso introdurre, profano come sono, un trattato sulla peste, ma il buonsenso mi permette di stigmatizzare il comportamento di coloro che sottovalutano la gravità della patologia che nel giro di tre anni (a partire dalla metà del ‘300) eliminò un terzo di europei e solamente alla fine di quel secolo se n’erano andati all’altro mondo quattro quinti di appestati. Molti villaggi furono spopolati e in quelli in cui restarono sopravvissuti, questi si contavano sulle dita di una mano.

Quando una simile calamità si abbatte su una piccola comunità è fatale che questa si frazioni e, creando un vuoto enorme nell’area già occupata dall’abitato scomparso, resta qualche gruppetto di case sparuto che in genere successivamente sparirà anch’esso; da qualche parte riuscirà stentatamente ad amalgamarsi, ma è lecito pensare che questo può essere il colpo di grazia per i piccoli comuni già destinati a morire (o, nella migliore delle ipotesi, a perdere la propria identità per via dell’eventuale ripopolamento con sangue di cittadini che, per un processo inverso fuggiranno dalle metropoli ormai invivibili) e già contagiati da altre pesti, come l’urbanesimo, le autostrade che li hanno tagliati fuori dai traffici e dai commerci, l’abbandono dell’agricoltura e dei pascoli, l’egoistica attrazione turistica nelle grandi città fornite di numerose strutture ricettizie, la sgangherata assistenza statale, il grave sbandamento meteorologico riflesso sugli umori delle persone e sull’incerottato pianeta… Prima o poi i nuclei che sopravviveranno (e saranno quelli attrezzati per le iniziative prese e che sono consapevoli della comune responsabilità sostenuta da una forte volontà di sopravvivenza) ingloberanno quelli più sfortunati, inerti e magari illusi di poter sopravvivere con iniziative normali in un mondo anormale.

Quanto ai cristiani, il discorso non cambia molto. Però è possibile evitare una brutta morte. Molte persone sembra che non abbiano valutato tutti gli aspetti del virus che ora ci assilla (il logorio degli organi, le difese sacrificate, le conseguenze). Purtroppo, lo sappiamo, la nera signora ci falcerà tutti: un monaco del Medioevo scrisse che la vita terrena è come il volo di un passero infreddolito che entra in una stanza da una finestra e, dopo aver attraversato quella, esce dalla finestra opposta. Quindi non dobbiamo temere la morte se finiamo in una tomba dove gli affetti faranno depositare un fiore sulle nostre tombe (Foscolo); ma evitiamo il triste, macabro spettacolo dei camion militari che a Bergamo l’anno scorso trasportarono cadaveri di vittime del coronavirus verso destinazioni ignote. Siamo veramente responsabili e rispettosi di noi e degli altri. E voi, cari ragazzi, provate a ritirarvi dall’orlo dell’abisso su cui vi ha spinto uno sciagurato libertinaggio (che ha confuso con i …sacrifici le sopportabilissime misure suggerite dalla prudenza: nella dimensione cannibalesca in cui oggi si vive su questo mondo impazzito; non vi affollate sugli automezzi che vi portano nelle palestre scolastiche che vi accoglieranno fra qualche giorno per pertinace volontà di alcuni autorevoli personaggi. Conducete una vita prudente per affrontare un futuro sereno. Evitate le stranezze della “movida”: siate solidali con quel ristoratore che quest’inverno fu multato perché protestava nel rispetto del contenimento. Non imitate i turpi monatti: potreste accorgervi di aver assassinato i vostri parenti e magari pure i vostri amici più cari.

Mi rifiuto di credere che l’abbrutimento dell’umanità sia giunto al punto tale che renda gli uomini insensibili di fronte alla pietà che ebbe Renzo sull’orribile corpo dell’ansimante don Rodrigo e per lo strazio della mamma di Cecilia. E qui stimo opportuno riproporre la paginetta del Manzoni, anche e soprattutto per coloro che a scuola hanno sfogliato “I promessi sposi” per strappare un cinque al professore d’Italiano:
“Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar quegl'ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo s'incontrò in un oggetto singolare di pietà, d'una pietà che invogliava l'animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo. Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.

Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, "no!" disse: "non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete." Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: "promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così." Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: "addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri." Poi voltatasi di nuovo al monatto, "voi," disse, "passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola." Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato. "O Signore!" esclamò Renzo: "esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!"- Cap.34.

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