Toponomastica 1 - Arancella o aracella?
Al disco del centralino telefonico del Comune (200 residenti) manca un numero: quello dell’Ufficio Toponomastica. Lo notai giorni fa, quando ebbi modo di osservare, affisso su un muro, un grosso manifesto riproducente il nucleo abitato di Cocullo. Nella carta topografica debitamente ingrandita figuravano alcune vie, rue e piazze con intitolazioni alterate o improprie o assenti (!) perché di loro non sono indicati addirittura i toponimi: per esempio, se ben ricordo manca addirittura il tracciato di Rua Sant’Antonio, che costeggiava lo “spitale” nonché la cappella omonimi, cioè due mete di interesse turistico di ruderi un antico agglomerato, in gran parte poi adibito a pagliai (l’esistenza dello “spitale” è attestata da qualche reperto da due manoscritti del Basso Medioevo nonché da delibere registrate nel “Libro de Conseglio”). Forse lo “spitale”, dopo un fantomatico (di cui c’è però qualche traccia) monastero, era il più antico monumento cocullese dell’Alto Medioevo, probabilmente coevo alla chiesa di Sant’Amico su cui fu poi eretta la chiesa della Madonna delle Grazie. E San Domenico? Mi pare che compaia l’indicazione della sua chiesa (patronale), ora terremotata e ancora in attesa di restauro, ma non mi pare che sia dato (magari con una didascalia illustrativa breve breve) il giusto rilievo al “Tempio” che ha attirato (e ancora attira) pellegrini e studiosi: uno, tedesco, alludendo alla fama che deve Cocullo alla celebrazione di maggio, scrisse: La Chiesa non riuscì ad estirpare il culto dei serpenti, un'eredità del mondo antico, soprattutto nei territori popolati da serpenti: e perciò lo ha cristianizzato nei limiti del possibile (F. Hèrmann, Saggi di cultura popolare italiana, Heidelberg 1938).
Aggiunse Salmon (professore emerito della Mc Master University in Canada): …Anzi, Roma talvolta addirittura incoraggiava ciò che Festo chiama municipalia sacra, per esempio a Lanuvium. In conseguenza nell’Italia rurale certe pratiche religiose dovettero certamente sopravvivere, e non è escluso che alcune cerimonie che si celebrano tuttora, come la festa dei serpenti a Cocullo e la corsa dei ceri a Gubbio, con le loro caratteristiche essenzialmente pagane, possano essere una lontana eredità di celebrazioni in onore di Angizia e Kerres (E. T. Salmon, “Il Sannio e i Sanniti”, Einaudi 1985). Ma oggi la Festa non attira più chi dovrebbe attirare: si è ridotta ad una foltissima rassegna di buontemponi il cui rito la Chiesa, conciliando religione e folklore, fece confluire in una cerimonia religiosa dopo aver plasmato e ingentilito la “solennità esterna” ed ora tollera nel ricordo di un Santo che fu tra i primi riformatori sulla scia di San Benedetto e di un passato che illustrò il paese. Perché? Perché, dice l’autorità civile, il Santuario sarà restaurato dopo l’offesa subita dal terremoto del 2009 (è vero che la pratica relativa al restauro giace su una scrivania da un anno?) ma non dovrebbe essere riaperto al culto! Perché, vien da malignare, anche e soprattutto per questo, Cocullo sarebbe stato condannato a morte proprio da alcuni nati per sbaglio a Cocullo. Quella chiesa avrebbe dovuto indicare il toponimo più importante dell’abitato. Non vorrei immaginare che si arrivi a tanto. Il programma sarebbe questo: intanto distrarre 200 abitanti innocenti (purtroppo timorati) con la premiazione di serpari improvvisati, con qualche fanfaretta “mordi e fuggi”, con lo “sparo” e con un paio di sgallettate sul palco su cui si esibirono complessi bandistici famosi. Proprio non vorrei sospettarlo perché il primo cittadino, che dei Cocullesi esprime le esigenze in quanto tutti li rappresenta, è molto volenteroso, solerte e sollecito; ma quando può, poiché la sua prima esperienza amministrativa non sembra essere sufficientemente sostenuta dalla collaborazione di alcune persone dello staff che si era scelto prima delle elezioni e le quali non ripagano in modo adeguato la fiducia in loro riposta.
Non mi risulta che sia stata adottata dal Comune anche una delibera tesa a storpiare gli odonimi di quella mappa. Fatto è che lessi il nome di alcune vie e piazze completamente falsato o alterato: l’indicazione di “San Manno” (che San Magno li protegga!) figura su una rua secondaria che portava il nome di “Rua Pacchiarotta”… Eppure quella via (San Magno? Qualche castellano era devoto del santo ciociaro?) che iniziava da un arco recentemente scomparso, molto probabilmente portava all’accesso segnato da un altro largo arco che ancora esiste e di cui io ricordo i robusti cardini sormontati da un’aquila apposta su un lato (ma dovevano essere due ornamenti laterali) e che sfociava in leggera salita sullo spiazzo del maniero. Non ricordo altro, se non che un amico, il quale sa quello che dice, ma purtroppo pure quello che gli racconta Morfeo, con fare di accademico della crusca (con la “c” minuscola) e di componente di una fantomatica commissione comunale per la toponomastica urbana, rispondendo ad una mia obiezione sulla scorretta indicazione, mi spiegò che piazza Aracella era corruzione dialettale, ma che in realtà l’odonimo in italiano andava letto “Arancella”. Io, che sono più anziano di lui e che credo di conoscere un pochino la lingua italiana, non essendo a conoscenza di agrumeti in questa zona, rimasi perplesso, ma pure un po’ dubbioso e allora mi andai a rileggere quello che avevo scritto (copiandolo da atti ufficiali) 20/30 anni fa su “Storia, cronistoria e leggenda a Coculllo”:
“Nel 1729 i fuochi (focolari, famiglie) erano 164 (BM) Un anno prima i fuochi compresi nelle parrocchie di Sant’Egidio e di San Nicola (quindi soltanto nel capoluogo) erano alloggiati in 189 case, distribuite nel modo seguente (si tenga presente che, salvo qualche abitazione costruita accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie al di là di una grande spianata – l’attuale piazza “omonima -, l’agglomerato cominciava all’Aracella e si sviluppava fino a Sotto Castello - Scastiéglie -): “
De via quae dicitur a Capo la Terra Casa - I/XI
Aracella - “ XII/XXIII
Capo la Piazza - “ XXIV/XXXII
La Piazza - “ XXXIII/XLVII
La fontana - “ XXXXVIII/XXXXIX
La Pilella - “ XXXXX
Sotto la Chiesa di S.Domenico - “ LI/LXIII
La Porta dello Schiavo - “ LXIV/LXX
Piano di Martinillo - “ LXXI/LXXIV
Sotto Castello - “ LXXV/LXXIX
Piazza Larga - “ LXXX/CIII
Porta di Manno - “ CIV/CXVII
La Ruga del Sacco - “ CXVIII/CXXIV
Sotto la porta di Ruggiero - “ CXXVII/CXL
Sotto il Rione Biasetti - “ CXLI/CLIII
Sopra le Tetta - “ CLIV/CLXIV
Rione Blasetti - “ CLXV/CLXX
Il Rione - “ CLXXI/CLXXXVII
Piazza Larga - “ CLXXXVIII/CLXXXIX (SA)
“NOTA- La rilevazione è importante perché gli “Stati delle Anime” venivano compilati con l’indicazione progressiva dell’ubicazione e del numero dei singoli fuochi. Per esempio, poiché il sacerdote Don Tommaso Caiazzo abitava in “Domus XIX”, sappiamo che lo stesso si era sistemato all’Aracella.”
“Dal Registro della Popolazione del Comune di Cocullo: Fam. 91- DE SANCTIS GIOVANNI- Via Aracella- Casa 3- DE SANCTIS Giovanni di Vincenzo e di Volpe Paolina, nato a Roccacasale 11.9.1853, capo, segretario. Sposa il 26.10.1882 (Vedi nota 1, in fondo al testo)
De sanctis Giorgio di Giovanni e fu De Ioris Annacleta, nato a Cocullo il 27.10.1883, figlio, studente. Sposa il 26.8.1920 Magnante M. Elena di Luigi e D’Amore Anna, nata a Cerchio il 6.10.1900. Eccetera; cioè dalla nuora agli altri figli e ai nipoti Dario ed Ennio (2)”
“Da via Aracella il compilatore del registro passa a via Orto Magliocco, poi a via Porta Ruggieri e poi ad Orione S, Nicola=”
Non se n’abbiano gli informatori del disegnatore della mappa se dico loro di convincersi che sono presuntuosi e saputelli. Se proprio si devono cancellare o storpiare gli odonimi, quando andiamo all’Aracella dobbiamo indossare mascherine speciali che coprano pure gli occhi.
Note
(1) Non è compresa, forse già morta al tempo della compilazione dell’atto, la moglie Annacleta De Ioris.
(2) Antonio (Totò) non era ancora sposato.