Da un’estate all’altra: buona campagna elettorale (2)
Marsilio ha il suo competitor. È il prof. Luciano D’Amico, ex rettore dell’Università di Teramo, già presidente Tua, un economista che, presentandosi ai potenziali elettori del “campo largo” del centrosinistra che lo propone, esplicitamente ha detto di voler dare priorità a due temi: “sviluppo e diritti”.
E, preso così, non credo che gli si possa dar torto.
L’Abruzzo ha davvero bisogno di riappropriarsi di una prospettiva di sviluppo, perché da troppo tempo, oramai, per ragioni diverse (non ultime, terremoti e pandemia) ha smesso di seguire logiche (cioè di fare “scelte”) capaci di disegnare un’ipotesi di futuro che riguardi tutti gli Abruzzesi. Si è proceduto in maniera rapsodica, quasi a rimorchio delle “emergenze”, trascinati da queste. E le “emergenze”, si sa, sono nemiche di disegni e prospettive di lungo periodo. Pensiamo al territorio, allo squilibrio tra le zone interne e l’Adriatico, alle infrastrutture scolastiche, alla sanità (ospedaliera e “di prossimità”), alle grandi infrastrutture (autostrade e ferrovie).
Il quinquennio che si chiude è stato, finora, caratterizzato di una gestione e da scelte molto “romano-centriche”. Marsilio, se vogliamo ricordarlo (e da qui glielo contestammo esplicitamente), all’esordio del suo mandato disse che le grandi scelte si facevano a Roma.
Oggi, dopo l’esperienza che stiamo vivendo, sulla gestione dei fondi del Pnrr, tanto per fare un esempio, dobbiamo dargli ragione; ma questo riafferma i motivi della “nostra contestazione” di allora.
Fino ad oggi non ci tranquillizzano le scelte che si profilano per l’impiego della (epocale) mole di finanziamenti che provengono da Bruxelles, come non ci piace il sostanziale cambio di comportamenti che il Governo sta assumendo nei confronti della Commissione europea e gli storici partner dell’Italia nel contesto europeo. (Possibile che il nostro Paese debba preoccuparsi soltanto, o quasi, dei flussi migratori, questione complessa e sulla quale, non da oggi, l’UE è disarticolata e bloccata da interessi nazionali e politici difficilmente componibili? Questione che sembra fatta a posta per acuire le diverse visioni del futuro legate alla diversità delle maggioranze che governano nei Paesi membri dell’Unione, facendo crescere i conflitti, presunti o reali, per indebolire, sostanzialmente, il ruolo strategico del vecchio continente nello scacchiere mondiale?!). E le difficoltà alle quali l’Italia, dopo la pandemia, avrebbe potuto e dovuto mettere riparo, quell’ipotesi di resilienza, ripresa e sviluppo dalla quale nascono gli investimenti della Next Generation EU, con i fondi del Pnrr, già di per sé complicata dai ritardi e dalle lentezze del sistema nazionale, non sarebbe stato il toccasana per una prospettiva futura che, allo stato attuale delle cose, sembra difficile?!
D’altronde non soltanto l’Abruzzo manifesta queste difficoltà. A Torino, nella “celebrazione” dei 40anni della Conferenza Stato-Regioni, è stato pressoché unanime la richiesta di una spesa più qualificata e significativa quanto meno per la sanità pubblica. Le risorse scarseggiano, ha detto la presidente del Consiglio, usatele bene. Concentriamole. Avrebbe dovuto essere la risposta. Se scarseggiano, mettiamole tutte insieme e significativamente diamo una spallata a quello che sembra il problema più difficile da affrontare e risolvere. Proprio i servizi sanitari per il cittadino. E qui, da noi, aggiungerei la scuola.
Se sono insufficienti le risorse, perché si risponde alla carenza del personale medico ed infermieristico richiamando (a contratto, per sporadiche prestazioni) i pensionati?
Se durante la pandemia abbiamo utilizzato (a contratto) i giovani (addirittura “specializzandi”) perché oggi non si creano corsie di impiego stabile per ricoprire le vacanze d’organico che rendono difficoltosa la soddisfazione dei bisogni dei cittadini, fuori e dentro le strutture ospedaliere? Le risorse sono sempre “scarse” (per definizione) e sono sempre le stesse. Si tratta di scegliere se impiegarle per contratti a termine a vantaggio di chi dà prospettiva di servizio futuro, ovvero a vantaggio di chi è già in quiescenza. Se si fanno scelte approssimative e d’emergenza, non dobbiamo “strapparci i capelli” (condannare o quanto meno meravigliarci) per i giovani, costretti, scappano all’estero (optando per contratti di lavoro stabili e più dignitosi).
La statistica non è sempre una buona consigliera per le scelte politiche. Può esser vero che aumentare il numero degli alunni che fanno autonoma un’Istituzione scolastica (da 600 e 900) fa risparmiare qualche stipendio di Dirigente scolastico o di DSGA. Ma che prospettiva di crescita si offre al territorio quando i ragazzi in età scolare sono costretti a fare i conti con una scelta per la quale loro, a casa propria, non potendo avere una scuola con un preside e con la gestione diretta della macchina amministrativa, si sentono già studenti di serie B, rispetto ai loro compagni di altre realtà territoriali che studiano in una scuola che ha i dirigenti responsabili necessari?! E le famiglie, quali reazioni hanno? Più o meno (le abbiamo già viste) quelle che molte hanno avuto dopo il terremoto del 2009: avendone le possibilità, hanno preferito spostarsi, cambiare residenza e domicilio (è accaduto tra le zone interne dell’aquilano e l’Adriatico: con tutto quello che il fenomeno ha significato e significa in termini di servizi, conglobamento della popolazione, spopolamento di territorio, ingolfamento di altri).
Oltre la bassa natalità sono questi i fenomeni sociologici che stanno erodendo i paesi dell’Abruzzo interno svuotandoli e rendendoli, pertanto, incapaci di assicurare un futuro credibile alle giovani generazioni, che hanno la tentazione di andarsene, per non tornare più. Ci si mette anche la scuola, a “giustificare” questo esodo forzato…ed ecco la rottura del sistema che consente ed alimenta una legittima aspettativa di vita.
Penso che Luciano D’Amico, certamente con competenze che non ci possono appartenere, più o meno a questo alluda nel momento in cui parla di sviluppo e diritti da recuperare.
È il nodo gordiano del problema regionale, oggi, alla lontana vigilia elettorale della quale si parla già come se si dovesse votare domani. E quest’ultima osservazione contiene ancora una problematica perversa che sembra essersi impadronita della nostra quotidianità: preferire la discussione sui problemi al bisogno, che invece abbiamo, di affrontarli e risolverli. Come, da queste parti, usavamo qualche decina di anni fa.