Abruzzesi forti, gentili, forse poveri, ma sicuramente non violenti
Povero Abruzzo. È un momentaccio. Una regione che, dopo la pandemia e dopo le decisioni dell’UE di mettere in campo una valanga di risorse per far essere migliori i Paesi aderenti ai trattati, aveva sognato 1) di ammodernare infrastrutture ferroviarie importanti per un futuro che sembrava possibile, 2) di ristrutturare servizi pubblici carenti (salute e scuola, innanzitutto), specie nella parte più interna (le attività scolastiche stanno per riprendere non si sa con quale massa di supplenti annuali e di precari!), 3) di “decollare” facilmente da Pescara, verso ogni direzione d’Italia, d’Europa e del mondo, per accogliere imprese e turisti, per riprendersi un PIL capace di far pensare ad una ripresa economica adeguata, contro lo squilibrio territoriale generato da terremoti e disastri di tipo diverso che hanno ripreso ad ingolfare la costa e a spopolare la montagna (come o peggio degli anni sessanta e settanta del secolo scorso), si ritrova a) con un Pnrr gestito in maniera molto discutibile e pieno di incognite, con prospettive affidate a tempi lunghi di attuazione e finanziamenti tutti da trovare, b) con un debito milionario per la mobilità passiva (gente che va a farsi curare altrove, in altre regioni), c) con l’onta (internazionale che dà l’idea di un ossimoro) di non aver saputo proteggere, nella regione “verde” per antonomasia, “Amarena”, l’orsa-mamma, immagine cult della nostra meravigliosa “regione dei parchi”.
Ma dobbiamo difenderci. Senza acrimonia, senza preconcetti, con raziocinio; soprattutto con “la politica”.
Non possiamo, passivamente, farci togliere il meglio della nostra cultura, quello che ci resta dopo secoli di attenta costruzione di una personalità che ci ha fatto riconoscere per quello che siamo, forti, gentili (forse, magari, poveri) e comunque non violenti (checché ne possano pensare gli “animalisti”).
Abbiamo attraversato (e superato) momenti similmente drammatici, nella “nostra” storia regionale, dalla fine degli anni quaranta del secolo scorso ad oggi. E ne siamo venuti fuori, cautamente, con pragmatico orgoglio.
È il momento di raccogliere il meglio della nostra capacità di pensiero e, come ha avuto modo di ricordare Franco Zunini (Segretario Wilderness), non versare inutilmente “lacrime di coccodrillo”, ma individuare il sistema (mezzi, strumenti e persone) per evitare che la paura, la rabbia, l’insicurezza di uno solo diventino simbolo sbagliato ed ingiustificato di una volontà auto-distruttiva che non ci appartiene.
Come per tutti i reati contro la natura, la giustizia farà il suo corso ed il cittadino (“impaurito”) di San Benedetto de’ Marsi risponderà al Giudice del suo atto (e probabilmente sarà dura, per lui, anche se si discuterà a lungo del come e del quantum della pena; l’ordinamento giuridico prevede la fattispecie, con l’aggravante che l’orso è “animale protetto”; ci sono precedenti, anche giurisprudenziali, che comunque non hanno mai fatto passare con assoluzione piena episodi del genere, magari anche con condanne discutibilmente blande. Tuttavia personalmente ritengo che minacce e intimidazioni al “reo confesso” e alla famiglia siano gratuiti e irrazionali). Ma il problema, forse, non è proprio o soltanto questo.
Non possiamo consentire che l’immaginario collettivo, che oggi assimila l’uccisione di Amarena alla triste cronaca nera quotidiana fatta di stupri e violenze contro le donne di ogni età, fuori e dentro casa, ci faccia passare per quello che non siamo. (Lo dicevo sopra: l’immaginario collettivo non può dare in pasto alla pubblica opinione nazionale ed internazionale un vero e proprio stucchevole e gratuito ossimoro).
I Parchi, nazionali e regionali, di questa regione, sono la nostra vera ed unica ricchezza; e forse è arrivato il momento perché i confini territoriali dei medesimi siano allargati. Sono la nostra unica ricchezza e non ce la possiamo “svendere” per l’incapacità (o la debolezza politica) di chi ha la responsabilità di governarla, gestirla, farla funzionare, rispondendo dei risultati.
Non ci resterebbe che scegliere di emigrare, tornare ad emigrare, a caccia di una rinnovata prospettiva di vita da inventare (come negli anni dei nostri bisnonni; come, tristemente, impietosamente le statistiche accreditate ci dicono che da dieci anni abruzzesi tra i 15 ed i 34 anni, forza lavoro importante e decisiva cala del 15%, circa: la provincia più colpita, chiaramente, è la nostra, quella aquilana (-19,2%), segue Chieti (-15,9%), quindi Teramo (-14,7%), la più “felice”, per modo di dire, è Pescara (-9,8%. È evidente che nell’analisi di questi fenomeni scopriamo cause diverse che vanno dalla denatalità, che è patrimonio nazionale, alle sbagliate politiche sull’immigrazione, alle problematicità e alla carenza delle opportunità di lavoro. Tuttavia il risultato è questo).
Morale. Se per rendere più veloce il collegamento ferroviario con Roma (che poi significa collegare Ovest/Est, Tirreno-Adriatico, cosa che non è irrilevante in ottica trans-europea. Non era “strategica”, questa infrastruttura per il futuro dell’intero Paese?) occorreranno miliardi che all’orizzonte non ci sono e tempi di realizzazione che interesseranno, forse, speriamo, i nostri nipoti; se per rendere più sicura A/24 e A/25 saranno necessarie risorse umane, progettuali e finanziarie di cui nemmeno si parla più a Porta Pia; se per far tornare a decollare i vettori che dall’aeroporto di Pescara possano garantire collegamenti giornalieri di questa nostra regione per ogni dove è obbligatoria una gestione dei servizi a terra che dia garanzie e prospettive di funzionalità (efficacia ed efficienza), la ricchezza delle nostre aree protette (flora, fauna, laghi, paesaggio) non ce la potrà togliere nessuno. Anche perché in queste ore è stata resa nota una proposta che il Ministro Fitto porterà in Consiglio a breve, sull’accorporo di tutto il Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna) in un’unica, sola ZES. (Non ci voglio credere! Cos’è: un modo per trovare un’occasione di “confronto duro” con il collega Calderoli sull’autonomia differenziata? Una semplice provocazione? Un “coup de théâtre”, pensato per imbrogliare le carte? Un modo per mandare a casa otto commissari che stanno lavorando bene, da quel che si dice qui e altrove, per sostituirlo con “un uomo solo al comando”? Cos’è? Difendiamoci anche su questo. La “nostra” ZES, forse, al momento, è una delle pochissime “novità positive che possiamo vedere all’orizzonte! E non ci può esser sottratta!).
Ma anche per questo è necessario che il sistema di gestione di questa “ricchezza” naturalistica sia tale da produrre benessere, per l’uomo e per l’animale (protetto) il quale, per “fame”, non può e non deve spingersi oltre l’ambito territoriale del quale è padrone e fuori dal quale rischierà sempre di trovare qualcuno che, vittima della paura, diventi protagonista di comportamenti violenti ed irrazionali (e per questo punibili. Ma a che servirà?).
“Violenze infami”, titolava qualche giorno fa, sulle colonne di questo quotidiano, Domenico Rinaldi; e si riferiva alla “crisi di virilità che crea stupri e femminicidi”. Con lui, a proposito della cronaca di cui mi sono occupato, mi piace, con il suo permesso, condividerlo e ripeterlo: ”Violenze infami”.