La crisi al Comune di Sulmona
ed il noto tarlo delle liste civiche
Era l’estate del 2021. Franco Avallone presentava il “suo” Un uomo fatto in casa. Erano in fabbricazione le liste e le coalizioni per le elezioni amministrative della città la quale dal 1948 ad oggi sembra tormentata da un tristissimo destino: la difficoltà di vedersi assicurata e garantita un’affidabile “continuità amministrativa”; in venticinque gestioni municipali, infatti, 16 sono stati i Sindaci in carica che hanno avuto la possibilità di amministrare (soltanto alcuni per la verità) per tutto l’arco della sindacatura, 9 i commissari prefettizi che hanno dovuto assicurare e garantire l’ordinaria amministrazione, così come la norma per la gestione degli enti locali prevede, nel momento in cui si disintegra il quadro politico che li ha eletti.
Questo, come dicevo, dal ‘48 ad oggi.
In quella “estate del 2021” ebbi modo di incontrare Gianfranco Di Piero, già democristiano, area di appartenenza di centrosinistra, persona limpida e squisita, che conosco da tempo, avendo io per diversi decenni svolto attivamente ruoli politici pubblici, dalla DC, per la città, la provincia e la regione (anche una candidatura al Parlamento, nel 1983). E gli chiesi, visto che già allora si dava per scontata la sua disponibilità a svolgere il servizio di candidato a Sindaco, quali fossero le condizioni che si registravano all’interno del PD e tra le forze politiche (M5S e liste civiche) che si andavano aggregando nella prospettiva delle elezioni previste per l’autunno. Ebbi come risposta un’illustrazione della situazione, a suo parere, in quel momento ottimistica e positiva; e mi sembrò che Di Piero avesse le idee sufficientemente chiare per gestire un quadro politico, per la verità molto frastagliato e complesso (soprattutto a causa delle questioni interne al PD) nel quale a dominare erano più che ddisgni politici autentici, personalismi fastidiosi, arroganze antiche che per la verità dalla fine degli anni novanta (Sulmona, da allora, è stata specchio autentico di tanta parte d’Italia) hanno appannato il dibattito politico cittadino e comprensoriale e quindi le capacità di propulsione e di gestione della cosa pubblica, perché dominate da interessi minimali ed individualistici. Gli raccomandai prudenza e perseveranza nel pretendere chiarezza di rapporti (tra le persone) e contenuti, per evitare brutti scherzi che avrebbero potuto metterlo in condizioni di negativo “stallo” costringendolo prima o poi alle dimissioni, sull’esempio di alcuni suoi predecessori.
(La storia contemporanea cittadina, del resto, come già accennato poco sopra, registra alcune sindacature longeve: otto anni per Ercole Tirone e Bruno Di Masci, in periodi profondamente diversi; nove anni per Alberto Ruggieri; dieci per Paolo Di Bartolomeo e Franco La Civita, il primo a cavallo degli anni sessanta/settanta, il secondo in due momenti diversi, tra la metà degli anni ottanta/novanta e gli inizi del duemila. Altre che soltanto raramente hanno raggiunto il quinquennio istituzionale: Fabio Federico e, recentemente, Annamaria Casini, nonostante l’instabilità cronica di Giunta. Infatti da Panfilo Mazara ad Antonio Trotta, da Alfonso De Deo a Lando Sciuba a Pietro Centofanti a Giuseppe Ranalli tutti gli altri che hanno accompagnato la città nelle mani di un commissario prefettizio non sono andati al di là di un massimo di tre anni di sindacatura).
E se si vuol tentare di trovare, genericamente, una ragione di questa “difficoltà” gestionale del capoluogo peligno, certamente non la si può non ritrovare nella facilità di scelta della costituzione di liste cosiddette “civiche”, a volte spontanee, vere, cioè, nate dall’impegno diretto di gruppi di cittadini che nelle vicende elettorali hanno ritenuto di mettersi insieme per “governare la città” (pur essendo privi, però, di cultura amministrativa locale, soprattutto senza agganci significativi ai livelli provinciali, regionali e nazionali capaci di produrre gli effetti sperati nell’interesse di chi nella lista si è ritrovato ovvero nell’interesse collettivo della città e del comprensorio; generando, perciò, inevitabilmente, risentimenti, rotture di solidarietà, proteste che hanno minato, pur di fronte ad esiti elettorali positivi, le maggioranze di governo e quindi provocando “crisi” che hanno giustificato il ricorso ad una ravvicinata nuova consultazione elettorale); liste civiche a volte “pilotate”, per motivi tattici (raccolta di voti da strati di elettorato restii a votare un preciso simbolo di partito) che in alcuni casi hanno assicurato stabilità alle coalizioni di gestione, in altri hanno generato, anche queste, clamorose rotture fallimentari.
Ora potrebbe essere questo, malauguratamente, l’esito a poco più di un anno e mezzo dall’insediamento, il destino dell’amministrazione di Gianfranco Di Piero, vista l’apertura, di cui si parla, di una “crisi al buio” (priva, cioè di tracciato prefissato) finalizzata da una parte a risolvere alcune vicende non chiarite all’interno del PD e dall’altra a ricercare spazi nuovi, di protagonismo individuale, per persone che, eletti nell’aggregato della maggioranza di centrosinistra, subito hanno cambiato schieramento, avendo scelto di appoggiare il centrodestra nell’elezione del presidente della Provincia per poi tornare sempre a sostenere (finora) il Sindaco Di Piero in Consiglio comunale.
A mio personale parere, sarebbe, questo, un esito incomprensibile di questa “sindacatura” in un momento cruciale e fondamentale per il futuro della città e di tutto il comprensorio (se ancora funziona l’entusiasmo con il quale fu salutato, nell’ottobre del ’21, l’elezione di Gianfranco Di Piero da parte di molti Sindaci del circondario, cosa che, personalmente, mi suggerì un commento nel quale parlavo di “svolta nei rapporti territoriali”; perché era da decenni che inutilmente si tentava di agganciare gli interessi territoriali più ampi al capoluogo peligno e gli apprezzamenti per l’elezione di Di Piero giustificavano l’inizio o meglio la ripresa di una stagione politica caratterizzata da un’unità d’intenti e di comportamenti che avrebbero potuto dare esiti e frutti positivi).
Ma l’apertura di una crisi che riporterebbe la città al voto sarebbe oltremodo dannosa non soltanto per la città d’Ovidio ma anche per tutta la Valle Peligna (oltreché per la persona Gianfranco Di Piero che conquisterebbe “la palma”, tristissima, della sindacatura più breve della storia della città).
La Valle Peligna, geomorfologicamente individuata, unitamente a tutto il comprensorio delle altre “Valli”, che mettono insieme una significativa fetta di cittadini dell’Abruzzo interno, aspettano la definizione della cantierizzazione dei fondi messi a disposizione dal Pnrr; la risistemazione dei servizi di assistenza sanitaria (ogni giorno sempre meno garantiti e problematici, sia per le carenze di funzionamento dell’Ospedale S.S. Annunziata, sia per le gravi insufficienze dell’assistenza territoriale, a cominciare dalla pediatria di base per finire alla medicina familiare e distrettuale); la riapertura e il rinnovamento delle sedi scolastiche e dell’offerta formativa funzionali alla garanzia del diritto allo studio ed alla formazione che riguarda un numero annualmente calante di giovani anche a causa di uno spopolamento spaventoso (ma al momento, praticamente, fatta eccezione per una fetta del polo scientifico e tecnologico, non esistono nemmeno fisicamente); la riorganizzazione del COGESA (riorganizzazione di gestione politica, ma soprattutto funzionale), ora che, con una gestione tecnico-operativa qualificata, forse, l’impianto, in prospettiva, può avere le carte in regola per diventare quel che tutti ci siamo augurati quando nacque; la riqualificazione dei collegamenti autostradali e ferroviari, per e da Roma (considerata anche la prima “assoluzione” dei vertici-Toto sull’ammaloramento dei viadotti autostradali che interessano il nostro territorio e, pertanto gli impegni che ora sono tutti a carico dell’ANAS!), collegamenti che debbono essere la prospettiva di una ripresa (amche grazie alla ZES) di progetto di futuro che qui dobbiamo ancora pensare e dobbiamo farlo tutti insieme con le autorità locali che non possono esser latitanti, ovvero delegate soltanto all’ordinaria amministrazione.
Insomma, Sulmona, per il suo destino futuro, ma anche per quello che la riguarda rispetto al territorio circostante, non può, a nostro parere, prendersi il lusso di mandare a casa un Sindaco neonato (o quasi) e dopo un periodo di gestione di ordinaria amministrazione, tornare a votare (anche perché il dibattito elettorale rischierebbe di essere sviato ed infarcito di inutili reciproche accuse tutte personali ed individualistiche, prive di vera prospettiva politica). Infatti si tratterebbe soltanto di perdere tempo su argomenti e questioni che di “politica” hanno poco o nulla.
Il tarlo del “civismo”. Tarlo che corrode e indebolisce ogni disegno politico che personalmente ho sempre contrastato, fin dalla metà degli anni settanta quando per una rottura all’interno della DC preferii farmi da parte e non ricandidarmi al Consiglio Comunale, non accettando sia la composizione di una lista civica di fuoriusciti dal partito, sia la ricandidatura nella lista della DC, avendo ritenuto che la lista dei “dissidenti” fosse stata in qualche modo “voluta” dai dirigenti locali del partito; moda antica di far politica, nel passato usata molto raramente per il bene delle collettività, oggi sempre di più finalizzata per tentare di strumentalizzare a fini personali le scelte da operare nell’interesse generale e collettivo, comunque rinvigorita dagli anni novanta del secolo scorso, quando la “cultura berlusconiana” che incentivava la ricerca personale di scelte apparentemente pubbliche (si votano le persone e non i partiti) sembrò vincente contro le aggregazioni storiche di partiti messi in crisi dalla magistratura a causa della “tangentopoli”, anche a livello nazionale. Civismo più recentemente sperimentato da Beppe Grillo, ovvero, per alcuni versi, anche dalla Lega Nord (più “veneta” che “lombarda”) che sembra aver già espresso tutta la parabola (ascendente e discendente) di cui poteva essere capace.
Oggi le questioni capaci di operare scelte politiche attente ed utili ai bisogni di tutti si esprimono attraverso aggregazioni politiche che certamente non possono più essere quelle di un passato morto e sotterrato, ma necessitano di un disegno, di una prospettiva fondata su obiettivi di apertura o di chiusura rispetto alle nuove domande di diritti sociali ed economici che il mondo della globalizzazione ci pone.
Con questi contenuti c’è qualche possibilità di esaudire le speranze di futuro (personali e collettive).
Insomma chi pensa di poter risolvere tutto con un assessorato, scoprirà presto di non poter risolvere assolutamente nulla e finirà di lasciare terra bruciata intorno a sé, il deserto.
(Hai voglia, oggi, a “piangere” sul decadimento dell’ex Centro Servizi culturali, palazzo Portoghesi per intenderci, infrastruttura oggi specchio dell’incapacità di far bene le cose, testimonianza di un altro momento di gestione della Regione, una stagione nella quale le scelte, pur tra mille difficoltà, comunque rispondevano ai bisogni reali dei territori!).