Quanto ci costerà la scelta green (2035!) dell'Automotive
In queste ultime settimane le preoccupazioni di Giorgia Meloni sono molteplici e (tutte) pesanti: Berlusconi e i suoi vecchi “amori” con Putin, le reazioni del PPE; le questioni giudiziarie per Del Mastro determinate anche dalla gazzarra parlamentare di Donzelli; le dimissioni della Montaruli; il “buco” finanziario del superbonus; Zaia che ora, ad autonomia differenziata avviata, scopre anche di volere la delega per assorbire il gettito fiscale…ma anche il rinvio della procedura di discussione della proposta governativa, pretesa da alcuni governatori del Sud, ma soprattutto da molti Sindaci; le perplessità, di cui si parla, di Mattarella su alcune norme del “milleproroghe”, soprattutto per le concessioni balneari (ma non c’è già una procedura d’infrazione europea, eppoi, la legge sulla concorrenza non è obbligata dalle norme attuative del Pnrr?).
E, per carità, si tratta di preoccupazioni tutte vere e legittime, anche perché la riguardano non soltanto come Presidente del Consiglio, ma anche come leader di FdI che alle regionali di Lombardia e Lazio ha rafforzato la sua presenza nella coalizione. Tuttavia lei, che guarda molto lontano, a nostro modesto parere, farebbe bene anche a preoccuparsi di quella che è la prospettiva con la quale questo Paese dovrebbe fare i conti tra una decina d’anni, in attuazione della discussa e problematica scelta europea di fissare al 2035 (!) l’anno di cessazione della produzione di autovetture spinte da motori alimentati da benzina ovvero da diesel.
(E preoccuparsi, oggi, di questo, viste le questioni che all’ordine del giorno sugli effetti di una discutibile (!) attuazione dei meccanismi finanziari del superbonus, è altrettanto giustificato e legittimo perché il Paese e la nostra regione in maniera particolare (attento Marsilio) tra una decina di anni, non potrebbero sopportare una crisi occupazionale devastante ad Atessa e in Val di Sangro come a Sulmona e in Valle Peligna dove, nonostante tutto, stanno resistendo strutture produttive della componentistica automobilistica che hanno, da cinquant’anni, sostenuto bene il PIL regionale e per le quali il Pnrr sta utilizzando una cospicua fetta di finanziamenti). Per la verità il Ministro Urso sta facendo una serie di incontri, sull’argomento. Tuttavia, a nostro modestissimo parere, sembra che il “piede” con il quale ci si muove (gli aiuti e il sostentamento alle imprese) non sia proprio il più azzeccato. Fino a quando saremo disposti a far crescere il debito pubblico già esorbitante!?
Capiamoci: niente, da parte nostra, “contro” la “scelta green”. Che anzi ci piace e per la quale siamo super interessati: noi, Regione dei parchi! Quel che ci preoccupa è la fissazione di date drastiche che fissano svolte epocali che sostanzialmente incidono sui costumi e sui consumi di ciascuno (quindi sui mercati) imponendo, a loro volta, alle imprese scelte che hanno ripercussioni occupazionali non di secondario valore. Di qui i “musi storti” di Confindustria.
Ne ha parlato domenica 12/02 Romano Prodi, nel tradizionale articolo di fondo de “Il Messaggero”.
Il professore, dopo aver rivendicato il ruolo svolto fin dal lontano 1972 (club di Roma) a proposito degli allarmi lanciati sulla “salute” del pianeta e delle missioni personali e nel mondo, all’inizio del secolo, per ottenere le firme sul “protocollo di Kyoto”, nonostante l’allora indisponibilità di Stati Uniti e Cina, esprime dubbi, perplessità e timori sulla definizione della data “capestro” scelta per obbligare l’industria automobilistica europea ad abbandonare “il funzionamento del motore endotermico”, fino al punto di interpretare in maniera ottimistica la possibilità lasciatasi dal legislatore europeo per un riesame della vicenda tra due anni (quasi che la varietà e la pluralità delle opinioni, sulla vicenda, abbiano già colpito positivamente nel segno).
Ed appare chiaro, nell’articolo di Prodi, che lo scontro più netto sulla definizione della data di avvio della “nuova era tecnologica” si incentra, sostanzialmente, su due argomenti forti: le ripercussioni occupazionali e quindi sociali della “rivoluzione” e i costi da sostenere per “puntellare” gli impianti infrastrutturali necessari per la produzione e lo smaltimento dei componenti fondamentali delle autovetture elettriche. (Tranne, s’intende, la produttività reale di un motore che, fino al momento si caratterizza con relativa capacità di autonomia).
L’argomento è complesso e, posto oggi, con una guerra in atto in Europa, nel mezzo di una congiuntura storica non semplice (post-epidemica, bisognosa di nuove garanzie di tutela socio-economiche e forse di nuovi equilibri geo-politici), rischia di essere frainteso. E Romano Prodi di questo ne è consapevole. Tuttavia sceglie di occuparsene e la cosa, in qualche modo mi richiama alla memoria Mario Draghi al Senato il 20 luglio scorso (praticamente quando andò via da Palazzo Chigi) sul “superbonus”: lo strumento è buono, ma è il meccanismo di attuazione che rischia di farlo diventare un fallimento (questa era la sintesi del suo pensiero). C’è da augurarsi che lo stesso, sostanziale pensiero, non dovrà esser caricato su questa ottima e lodevole iniziativa legislativa europea finalizzata a rendere migliore il futuro del pianeta.
Un’ultima osservazione, obbligatoria, per un abruzzese come me, di questa fetta d’Abruzzo.
Il governatore Marsilio metta bene in evidenza, nella “sua” agenda gestionale e politica di Presidente oggi in carica (che aspira, come Meloni, a perpetrarsi…) l’importanza del passaggio.
Viste le perplessità della Confindustria, le imprese dell’automobile non potranno arrivare il giorno prima dell’entrata in vigora della “nuova era” facendo finta di ignorare che qui si sta per girar pagina e che un capitolo totalmente diverso della “nostra” storia sta per iniziare.
Per l’Abruzzo sarebbe una tragedia; come “a tragedia” pare che stia finendo la questione dei LEP per la sanità. Il Ministero della salute continua a “bocciare” l’Abruzzo. E non direi che questa possa essere una “consolazione”! Perché la colpa è nostra. C’è poco da aggiungere.