Parliamo di cose concrete!

di Andrea Iannamorelli

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#100 - 02/01/2023

2023: Quello che dovremo augurarci

Mio figlio, sotto l’albero di Natale, mi ha fatto trovare il terzo romanzo di Scurati su Mussolini: ”Gli ultimi giorni dell’Europa”, accompagnato da un biglietto: “Quando pensiamo di stare male, aiuta ricordarsi che siamo stati peggio”. E non posso negare la soddisfazione di ritrovarmi un figlio, a 45 anni compiuti, oggi, nella condizione nella quale siamo tutti, capace di essere sostenuto da un sentimento di speranza così significativo. Perché bisogna riconoscere che non è per niente facile.

Attrezziamoci, quindi; proviamo a fare un elenco delle cose che dovremmo augurarci per questo 2023 che incomincia il suo viaggio in queste ore. E partiamo da lontano.
Innanzitutto dovremmo augurarci che la (sciagurata) guerra in atto nell’Europa dell’Est cessi. Una guerra inconcepibile, incomprensibile, per noi della generazione della seconda metà del Novecento. Una guerra che inevitabilmente ci sta facendo tanto male e ci ha riportati alla sostanza degli anni 1938, ’39, ’40, di cui racconta Scurati; ad un’Europa “squassata da atti di barbara prevaricazione e incapace di sottrarsi al maleficio dei totalitarismi”. È certamente consolatorio comunque avere la consapevolezza che negli anni successivi nacque la Repubblica nella quale viviamo, fondata su una Costituzione che è la negazione vera dello sconquasso di quegli anni terribili. Nacquero l’Italia repubblicana e l’Unione europea nella quale viviamo, che per carità, necessitano di aggiustamenti e miglioramenti, ma anche di difesa. Quella “difesa” che proprio l’aggressione della Russia all’Ucraina, dopo più di settant’anni anni, tenta di negare. (Ma a questo servono i paragoni e i raffronti.)

Tuttavia, da alcuni mesi, dalla fine dell’autunno scorso, per la precisione, circola una proposta di iniziativa governativa che vuole apportare cambiamenti alla Costituzione vigente in Italia. E a me sembra che questa non sia una cosa buona. Non in omaggio ad una vuota ed immutabile cultura ideologica per la quale la Carta costituzionale non debba o non possa essere cambiata. Anzi. Furono proprio i padri costituenti a prevedere modi e forme dell’aggiornamento o se si preferisce dei cambiamenti possibili di questo strumento normativo fondamentale che regola la vita comunitaria dei cittadini di questo nostro Paese (cfr. art. 138).
Quello che dovrebbe essere interdetto è proprio il contenuto delle idee che sono alla base dei cambiamenti che il Ministro Calderoli sta tentando di far passare. E i modi che intenderebbe utilizzare per attuarlo (addirittura senza passare dal Parlamento!).
Insomma si sta provando ad attuare l’autonomia differenziata, che alcune Regioni (soprattutto dal Nord) reclamano, come una sorta di “trattativa” tra Governo e Regioni, senza preoccuparsi di garantire il sacrosanto principio dell’uguaglianza dei trattamenti tra tutti i cittadini italiani, Salterebbe, cioè, il principio fondamentale dei nostri rapporti sociali (economici e politici): quel principio di pari di opportunità sul quale si fonda la Repubblica. E la cosa potrebbe riguardare scuola e assistenza sanitaria. Senza nemmeno aver fissato o livelli dei minimi servizi spettanti a tutti, da Aosta a Reggio Calabria.
Ora sia chiaro che non abbiamo proprio bisogno di aggravare ulteriormente il divario già esistente, in Italia, proprio materia di formazione e assistenza sanitaria; e se per la prima (negli anni) la distanza già ha creato figli e figliastri, per la seconda l’esperienza pandemica (ancora in atto, anzi, pericolosamente “in ripresa”)) è la dimostrazione che proprio è inconcepibile pensare che possano convivere italiani che possano farsi curare a casa propria e altri che questo privilegio se lo debbono pagare salato (e lontano dall’abituale residenza. Tra l’altro con un debito collettivo che per quel che ci riguarda già supera i cento milioni!)
Senza aggiungere che non senza motivo, ora, abbiamo un’UE che sta distribuendo i fondi del Pnrr (i cui 55 obiettivi il Governo si vanta di aver raggiunto) proprio per le finalità (comuni e condivise, fino a prova contraria) di mettere i cittadini d’Europa nella condizione di essere in grado di godere della necessaria equità e dell’uguaglianza della dotazione di opportunità economiche e di servizi sociali.

Ma, continuando a cercare quel che dovremmo augurarci per questo 2023, come possiamo non fermarci proprio a valutare quelli che potrebbero essere gli effetti dell’attesa utilizzazione dei fondi del Pnrr?
Viviamo, noi, in una delle zone interne dell’Italia centrale più martoriata ed in degrado. Perdiamo residenti, servizi, opportunità di lavoro. Basti seguire le analisi che il prof. Aldo Ronci, sistematicamente, ci regala, per rendersi conto della tragedia nella quale viviamo.
Qualche settimana fa, presso gli stabilimenti della Magneti Marelli, si son voluti celebrare i cinquanta anni dalle origini (cioè dall’insediamento della FIAT meccanica, in quel sito del Nucleo industriale, appena qualche anno prima riconosciuto. Negli anni, della FIAT a Sulmona se n’è perso il ricordo! Le nuove generazioni ignorano l’evento. Buon per noi che, nonostante tutto, oggi in quel sito lavorano ancora alcuni addetti della Magneti Marelli!). All’epoca, chi scrive, era consigliere comunale e in fretta e furia si impegnò in una commissione consiliare paritetica per metter mano ad una Variante Specifica al Piano Regolatore cittadino che dopo varie vicissitudini entrava in vigore e sembrò subito inadeguato per le risposte ai bisogni abitativi presenti e futuribili, rispetto ai movimenti in forte crescita della popolazione sulmonese e peligna.
Le cronache di questi giorni ci consegnano una realtà urbana che nel trentennio 1991/2021 registra una perdita del 12% della popolazione residente, con una tendenza al degrado che ci porta a prevedere, per i prossimi otto anni un calo storico che ci porta al di sotto dei 20.000 residenti (cioè alla Sulmona dell’ottocento). Se alle perdite di popolazione sulmonese si aggiunge lo spopolamento in atto da decenni nei Comuni del Circondario, la visione che ne deriva non è affatto confortante. Di qui tutta la problematica di cui da sempre ci occupiamo: un progetto di formazione da rifare daccapo (altro che la retorica sulla scuola del merito) legato a concrete possibilità lavorative dei ragazzi, una rete di assistenza sanitaria di prossimità, infrastrutture che reinseriscano questa fetta di Abruzzo interno nelle direttrici dello sviluppo est-ovest e nord-sud, infrastrutture ferroviarie e autostradali (la difficoltà era nota; chi la scopre oggi o è in malafede o non è in grado di svolgere il lavoro che gli è stato affidato; ciò nonostante, visto che le risorse oggi esistono e che la ZES sta per diventare operante che senso ha nicchiare o dar seguito a ripensamenti che lasciano il dubbio di scelte politiche lontane da nostri più stringenti interessi collettivi!), investimenti per l’accoglienza di una movimento turistico possibile finalizzato ad offrire la fruizione di risorse di beni culturali (monumentali ed ambientali) capaci di tradurre in PIL un’impresa coraggiosa ma possibile.
Leggo che si riapre un bando per rimetter mano a quella Variante di cinquant’anni fa che lasciò il compito alle generazioni future (alla nostra) di definire piani particolareggiati attuativi di quella città che, all’epoca, era destinata ad un dimensionamento pari a più di 25.000 residenti in Sulmona. Negli anni, con gli insediamenti industriali nel Nucleo queste non erano chimere. Ma la china, a scendere, è incominciata presto. Oggi, legittimamente, non è più pensabile a volumi abitativi da incrementare. Si tratta di inventare infrastrutture e servizi di cui non soltanto la città d’Ovidio, ma tutto il comprensorio necessitano.

Per non contraddire mio figlio e non deluderlo, non voglio dire che rispetto alle paure dell’oggi stavamo meglio cinquanta anni fa ma che certamente la difficile situazione nella quale oggi siamo la si esorcizza utilizzando bene e presto le risorse che dall’UE ci vengono messe a disposizione (nonostante le posizioni ideologiche del Governo contro il MES. Sia chiaro, detto per inciso: nessuno finora le utilizza e l’Italia non è intenzionata a farlo. Ciò, comunque, non significa che tra i Paesi dell’Eurozona “noi” dobbiamo restare gli unici a non ratificare una risorsa normativa che mette tutti al riparo dal ricordo delle vicende greche e che comunque serve a rendere ancora più forti i legami tra le popolazioni europee. Come potremmo chiedere di affrontare tutti insieme il problema delle immigrazioni nordafricane?).
A mio parere, questo dobbiamo augurarci per il 2023.

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