Nonostante la guerra ai confini dell’Europa
tornano i riti pasquali assenti da due anni
La Pasqua che celebreremo nella settimana che entra ci riporta i riti (religiosi e laici) nei quali siamo cresciuti ai quali siamo legati e che ci sono tanto mancati in questi due anni di brutto Covid.
Non è che sia tutto passato. Anzi, le autorità civili e religiose, nell’autorizzare le manifestazioni legate alla passione e alla resurrezione di Gesù di Nazareth, raccomandano prudenza, attenzione, mascherine e tamponi di controllo (per chi non può essere obbligato a coprirsi bocca e naso, magari perché impegnato nei cori), oltreché percorsi, per le processioni, che non si addentrino in luoghi stretti ed angusti, nel cuore, cioè, dei centri storici, nei meandri laterali (per esempio, a Sulmona) della centralissima direttrice che da Nord (Villa Comunale-Stadio) conduce a Sud (Piazza Garibaldi) e ritorno.
Insomma tornano le grandi manifestazioni della Pasqua nostrana che in ogni paese del comprensorio territoriale peligno (dalla Valle Subequana al Sagittario) richiama il popolo a partecipare ai momenti forti di questa settimana, nelle chiese o negli spazi all’aperto (strade e piazze). E questi sono raccomandati, ovvero imposti.
Per due anni abbiamo dovuto rinunciare a questo momento di gioia e di sincera fratellanza, che normalmente parte il giovedì per terminare lunedì prossimo (a pasquetta, se la situazione atmosferica sarà clemente, auguriamocelo). E, nonostante quelle che per alcuni sono “restrizioni nei comportamenti”, è un ritorno alla normalità, diciamocelo con franchezza. Stavolta sì: di “questo” avevamo bisogno, non soltanto per il nostro personale benessere psichico, ma anche per le prospettive collettive ed economiche che da sempre si legano a questi momenti dell’anno come ad una delle opportunità più significative di movimento turistico che per noi si traducono in PIL vero.
Tuttavia, cosa getta un’ombra di tristezza e perplessità su tutto questo? La guerra di Putin contro il popolo ucraino, con tutte le conseguenze (umanitarie, politiche, geopolitiche, ma soprattutto…) economiche che si riverberano anche su tutti noi; la consapevolezza che la pandemia Covid-19 non è stata del tutto debellata e che anzi il contagio, proprio nelle nostre zone, è ancora forte, troppo forte (i report dei bollettini quotidiani ce lo dicono e l’apparato sanitario manifesta ancora preoccupanti segni di affanno qui, nella nostra “periferia” come a L’Aquila e/o a Pescara!).
E questi due fatti “negativi”, mixati, ci offrono una prospettiva per la quale, necessariamente, gli entusiasmi necessitano di prudenza, se non addirittura di un ridimensionamento. Mi spiego.
Si dice che la guerra (alle porte dell’Europa) non sarà breve. E se questo è vero, altrettanto vero è che gli effetti negativi di questo catastrofico, stravolgente ed “inatteso” (?) evento si trascineranno a lungo costringendoci, insieme a tutti i Paesi aderenti all’UE, a fare i conti con una prospettiva di vita comunitaria diversa da quella alla quale ci stavamo abituando, anche per effetto delle novità (positive e negative) che il Covid ci ha già imposto. Ma è proprio la guerra che a sua volta incide, con significativi condizionamenti, sulle novità che ciascuno si stava prefigurando come esito della pandemia.
In altre parole: se la pandemia ha avviato, per noi, come per tutti gli europei, (ma per noi quello che sto per dire ha un significato ancora più forte!) un modo diverso, forse “nuovo”, di costruirsi il futuro (basti pensare alla mole degli storici investimenti che il Pnrr ci ha assegnato e ai tempi stretti che siamo obbligati a rispettare per metterli a frutto), la guerra, obiettivamente, condiziona negativamente questa prospettiva, forse la svaluta, comunque obbliga tutti a trovare una strategia “difensivistica” che ci consenta di farci recuperare un’autonomia di fonti energetiche primarie svincolate dalla Russia, contro la quale gli Europei, per accogliere le richieste di aiuto che arrivano dagli Ucraini, oltreché alla fornitura di armi, stanno utilizzando sanzioni economiche e commerciali (che sono in qualche modo ambivalenti, indeboliscono la Russia, ma in certi casi hanno un peso negativo per noi) nonché interruzioni di rapporti diplomatici. E tutto questo, nel mondo in cui viviamo (globalizzato, soprattutto nei rapporti economici e commerciali) non ci aiuta, non ci giova.
Morale: questa Pasqua, che avremmo potuto pensare “di resurrezione” per tutti, in tutti i sensi, legando a questo momento prospettive di recupero e di cambiamento positivo (vale a dire: come da un fatto così negativo come il Covid potesse sprigionarsi un modo più equo e più giusto di vivere nell’Italia e nell’Abruzzo di oggi, così unici, ma sostanzialmente così diversi e squilibrati) forse ci riporta, realisticamente e pragmaticamente, a fare i conti con la realtà effettuale delle cose che non siamo abilitati a “pensarci” come ci sarebbe piaciuta ma che dobbiamo faticare molto per vederla realizzata.
Tuttavia noi siamo abituati a questa “fatica”. Quindi, con affetto, buona Pasqua; e che sia davvero come ciascuno se l’augura.