Ora emergono "difficoltà tecniche" per il collegamento Roma-Pescara
Qualcuno già adombra il rischio di una TAV abruzzese. E sarebbe il peggio che potremmo aspettarci. Dobbiamo scongiurarla.
Infatti il collegamento ferroviario veloce Roma-Pescara è l’infrastruttura più importante e più attesa di questo ultimo cinquantennio, dopo il difficile completamento del collegamento autostradale (A/24-A/25-A/14) che storicamente ruppe l’isolamento dell’Abruzzo, trasversalmente e longitudinalmente, mettendoci nella condizione, oggi, di stare nella ZES ed aggrapparci, quindi, alla speranza della ripresa socio-economica di cui abbiamo assoluto bisogno.
La situazione orografica rende difficile (è innegabile, ma non impossibile) ogni intervento.
L’idea nata dalla fine degli anni settanta, già impegna una risorsa finanziaria che supera il miliardo e mezzo ed è entrata tra le scelte più significative del Pnrr, proprio allo scopo di far funzionare meglio la Zona Economica Speciale, insieme ai programmi di miglioramento e/o ristrutturazione della vecchia rete autostradale; è tra le scelte prioritarie del Governo, per il rilancio di tutto il Centro-Italia e non può rischiare di essere motivo di scontro sociale e politico anche se le questioni tecniche che pone non sono semplici né di facile soluzione.
(Giovedì, 27 u.s. il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, dal 1989 Segretario generale dell'Associazione per le Città Italiane RUR (Rete Urbana delle Rappresentanze, sull’argomento ha firmato un autorevole editoriale sul quotidiano Il Messaggero che, per chi non l’avesse fatto, varrebbe la pena di leggere con attenzione).
Parliamoci chiaro; la storia, per chi ha memoria, dovrebbero conoscerla in molti; è nota. E la Regione, a questo punto, dopo le prime avvisaglie di contestazioni, fa bene ad assumere in prima persona, con il carico di mediazione da realizzare tra Rfi e Mims (Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibile) tra i progetti pronti e gli interessi legittimi (e rilevanti) delle popolazioni interessate. Finora le contestazioni alle scelte tecniche vengono da Manoppello, Alanno, Scafa e San Giovanni teatino (nella tratta a sud di Pescara, per l’aggancio all’interporto d’Abruzzo, fino a Bussi/Popoli); in prosieguo, nella tratta Sulmona/Avezzano, le contestazioni interesseranno certamente molti altri paesi.
Ma l’assessore regionale Umberto D’Annuntiis è stato chiaro: la programmazione la fa il Governo, esiste un tavolo tecnico e “noi che abbiamo raccolto le paure dei territori” chiediamo una giusta interlocuzione (con il commissario Vincenzo Macello) per eliminare le criticità (evidentemente, senza snaturare l’opera ed aiutare a realizzarla).
Quando incominciammo a parlare di questa infrastruttura, tecnici e politici, al Ministero dei Trasporti (il Governo stava elaborando il Piano Pandolfi del 1979), difronte alla situazione orografica dell’attuale tracciato e alla difficoltà di raddoppiare la linea, presero in esame alternative che comunque, all’epoca, sebbene acquisite nel Piano di sviluppo del Ministro dell’economia, risultavano costosissime. Tant’è che, nonostante le decisioni assunte, pienamente recepite dal Piano poliennale, quel progetto non fu mai realizzato.
(E oggi, per esempio, da l’Aquila riscoprono le proposte di allora!).
Negli anni, per la verità, non sono mancati rapsodici interventi di velocizzazione, nelle tratte più facilmente “migliorabili” (soprattutto quelle tra Marsica e Lazio). Ma ad oggi (2022) l’obiettivo di raggiungere il Tirreno, dall’Adriatico, con il treno, in meno di due ore è ancora troppo lontano.
A questo ora punta la scelta ardita del Governo. Il riconoscimento e l’avvio della funzionalizzazione della Zona Economica Speciale non avrebbero senso se l’obiettivo non si raggiungesse. E, d’altro canto, la logica degli investimenti del Pnrr sono volti a rendere utilizzabili gli obiettivi fissati, altrimenti sono nulli.
Quindi, senza psicodrammi eccessivi, soprattutto senza (pericolose) strumentalizzazioni, “senza atteggiamenti ideologici o massimalismi” (come ha avuto modo di dire recentemente anche il senatore Luciano D’Alfonso), nella consapevolezza di manipolare uno degli strumenti fondamentali della rinascita non soltanto di questa regione, ma di una considerevole fetta territoriale dell’Italia, con chiarezza di idee (la volontà di realizzare l’opera) e senso di realismo, mettiamoci intorno al tavolo alla ricerca delle soluzioni possibili evitando falsi problemi, nella convinzione che si vince non se si riesce ad accontentare quel Comune o quel tal altro, ovvero, una zona o un’altra dell’Abruzzo interno, ma se si riesce a realizzare quest’infrastruttura che giustifica la scelta di un finanziamento che certamente (per l’Abruzzo, come fu con le scelte per i due tronchi autostradali) entrerà nei libri di storia, raccontando l’avvio di una nuova era delle genti d’Abruzzo. Non senza motivo, ho richiamato l’editoriale di Giuseppe Roma che sostanzialmente questo dice, indicando l’obbligo del dibattito pubblico non come inutile ed ulteriore appesantimento burocratico ma come metodo sperimentato nei paesi che modificano il territorio con nuove infrastrutture, con successo e soddisfazione, per le comunità e per gli operatori.
E questa è la ragione dell’investimento previsto con la prospettiva di riagganciare la speranza del futuro.
Forse non sarà semplice. Lo sapevamo; ma dobbiamo farcela.