Il 2022 si apre con l'incertezza di "Omicron"
Tutto avrei potuto pensare tranne che di aprire l’anno, in questo mio appuntamento quindicinale con Voi, ricominciando a parlare del Covid e delle sue (impazzite) varianti.
Insomma questo “Omicron”, BA.2 ovvero Sars-Covid-2, come dicono gli esperti, di origine incerta (Sudafrica? Australia? Canada?) è vero che sembra, poco “pericoloso” (a meno che non prenda persone “fragili” o non vaccinate) comunque è fortemente contagioso. E lo vediamo, non soltanto in Europa o in Italia, ma anche qui da noi. E gli effetti (psicologici, sociologici ed economici) pesano su tutti. Sembra di essere tornati all’autunno dell’anno scorso, quando però avevamo l’alibi di non aver potuto attuare la campagna di vaccinazione della quale oggi possiamo vantarci. E francamente ‘sti “quattro no-vax” (sei, per la verità, in piazza Garibaldi a Sulmona giovedì scorso, dove hanno dato il segno della propria inconsistenza; volevano fare una manifestazione che è stata poi annullata!) che ci indispettiscono, è vero, a questo punto, possiamo anche evitare di indicarli come “un problema”. Che facciano quello che vogliono. (Se non l’hanno capito, quelli che rischiano di più sono proprio loro che, colpiti dal virus, statisticamente vanno in rianimazione. Ma ripeto, il problema non sono proprio più loro).
Il momentaccio che non ci aspettavamo (questo sì che non l’avevano previsto nemmeno “gli scienziati”) era che dopo due anni avremmo rischiato di dover fare i conti con una situazione davvero pandemica, a tutti gli effetti (forse ora ci avviamo verso l’agognata “immunità di gregge”), con rimedi farmacologici non ancora testati per immunizzarci a lungo termine. E questo, in un momento di complessiva “ripresa” del Paese, non è un fatto positivo. Perché taglia le ali alla speranza, proprio quando tutti (cittadini comuni e classe dirigente) dovremmo volgere lo sguardo a quello che ciascuno deve fare per contribuire a produrre la risalita che tutti vogliamo, in termini di capacità produttiva, di lavoro e di ricchezza. (Io stesso in questa sede, e in altre più paludate, il n.3 del “Gazzettino” nelle edicole dalla Vigilia di Natale, mi sono preoccupato di incominciare a dare il mio personale contributo al “dibattito sulla ripresa” e su quello che per noi è necessario.).
Invece siamo qui a preoccuparci: quelli con le mascherine sempre e dovunque, e quelli che la mascherina l’hanno sempre snobbata, anzi, proprio “evitata”, noncuranti degli effetti negativi, per se stessi e per il prossimo. Abbiamo ripreso a vivere le nostre giornate e “scartamento ridotto”, con la paura dei contatti, chi in quarantena per un contatto risultato inopinatamente pericoloso, chi amareggiato per dover prendere atto della disdetta di appuntamenti presi e andati deserti da parte di turisti che hanno deciso di rimanere a casa, chi allarmato per il figlio in DAD, visto che la scuola, in queste situazioni, produce molto ma molto di meno di quel poco che ordinariamente riesce a garantire. Tutti sbandati e timorosi che ci possa accadere qualcosa di davvero spiacevole ed inaspettato.
E’ la condizione dell’incertezza, che non è bella, né utile e dalla quale auguriamoci di uscire prima possibile. Quella condizione che non ci dà la forza della risalita della quale abbiamo un grande bisogno perché l’impennata del PIL che oggi registriamo, già nel presente 2022 potrebbe subire battute d’arresto (ce lo dicono gli analisti degli andamenti economici). Mentre noi qui, in questa fetta d’Abruzzo, abbiamo bisogno di recuperare il massimo possibile rispetto ai ritardi che abbiamo accumulato nei decenni passati e più degli altri corregionali e connazionali abbiamo bisogno, allora, di crescere oggi e di essere trainati in una situazione di vantaggio capace di ridarci slancio per riprenderci un po’ di futuro.
In altre parole, oggi abbiamo bisogno di limitare i danni, aggrappandoci ai pochi elementi di cui, sostanzialmente disponiamo davvero: vaccini e presidi protettivi (mascherine e prudenza nei contatti interpersonali). Dobbiamo essere attenti.