«Facciamo la storia della città»
Durante la presente campagna elettorale per l’amministrazione di diversi Comuni del territorio mi è capitato di cogliere al volo alcune espressioni sulle quali mi piace di tornare per sottolinearne (come in questo caso) i segni di ciò che a mio parere è incomprensibile.
Che significa, “andiamo a fare la storia della città”?
Senza scomodare citazioni illustri, per quel che ne sappiamo, la storia (per un contemporaneo vivente) si studia, legittimamente si interpreta, eventualmente (con riferimento al senso di direzione degli avvenimenti) “si tenta il cambio di direzione”. Che la si “faccia” è cosa che diranno i posteri, rispetto alla contemporaneità del presente, coloro cioè che, raccontando quello che è accaduto, dando una valutazione degli avvenimenti, riterranno di distinguere ciò che appartiene all’effimera “cronaca”, da ciò il cui segno è diventato negli anni indelebile e quindi legittimamente andrà ricordato come “storia”.
Azzardata, pertanto, l’ipotesi di porsi, in una campagna elettorale, come colui che “chiede voti” (legittimamente) con l’aspirazione di “fare la storia”. Eventualmente questa potrebbe essere l’esito della “campagna”.
Confesso che questi raffazzonati pensieri me li son tenuti dentro per tutto il tempo di queste settimane di abbozzati confronti tra i candidati della mia città (Sulmona, il capoluogo di questo comprensorio territoriale) e, laicamente, pur avendo fatto le mie scelte, sono rimasto in attesa di vederne l’esito che emergerà, tra una settimana.
Tuttavia, alla luce degli ultimissimi avvenimenti di queste ore, non escludo che, mio malgrado, sia costretto a dare ragione a chi, con qualche enfasi di troppo, nelle settimane passate ha avuto il coraggio di affermare che tra gli obiettivi della “sua” proposta agli elettori della città c’era quello di “fare la storia”.
Infatti ad un’indagine critica relativa ad una ricostruzione ordinata di eventi reciprocamente collegati secondo una linea unitaria di sviluppo (sarebbe questa una definizione scolastica de “la storia”) è indubbio che Sulmona, tornando alle urne per chiudere l’esperienza quinquennale caratterizzata dalla presenza di Casini-Sindaco, nata da un generale civismo (ingombrante, eterodiretto e sinceramente poco produttivo) si è trovata a dover scegliere tra la riconferma del modello di amministrazione uscente, e un’alternativa che, pur includendo l’utilizzazione della passione civica di alcuni, si sforzasse di ricondurre i partiti organizzati all’assunzione diretta delle responsabilità del percorso gestionale ed amministrativo di una città che, nel territorio, per essere la più popolosa, ha il dovere di porsi come punto di riferimento per un progetto di futuro tutto da pensare, organizzare e gestire. E dal momento che la città d’Ovidio è dalla fine degli anni novanta del secolo scorso che, nel tentativo di dare un senso alla progressiva frantumazione del quadro politico complessivo, va alla ricerca di una guida solida, affidabile, soprattutto stabile, al riparo dai pericolosi ricatti interpersonali che spesso caratterizzano le aggregazioni civiche, era legittimo aspettarsi un confronto aperto tra candidati culturalmente contrapposti tra un aggancio significativo ai partiti strutturati e altri più vincolati da rapporti amicali, diretti e personali con le singole realtà personali e/o di gruppo.
E questo è accaduto; anche se, forse, l’esito del “primo turno” per molti è stato sorprendente.
Lunedì scorso, a tarda ora e a scrutinio ancora in corso, i protagonisti del ballottaggio di queste ore, a Rete 8, hanno dichiarato: “c’è bisogno di ricucire tra la città e la politica regionale e nazionale. I problemi lasciati sul tappeto dall’uscente Anna Maria Casini sono tanti” (Gianfranco Di Piero al ballottaggio con una dote del 39,80% di voti); “al momento le nostre liste raggiungono un risultato confortante perché siamo la prima coalizione. C’è un po’ di delusione per il risultato del sottoscritto che si attesta sotto le liste anche se una flessione l’avevamo prevista” (Andrea Gerosolimo, con una dote del 34,06%). (Il centrodestra, nel suo complesso, tra coloro che si sono riconosciuti in Vittorio Masci, soprattutto Lega, FI e FdI, e coloro che hanno seguito un’altra “direzione”, al seguito di Elisabetta Bianchi, anch’essa proveniente dalle file di FdI, non è andato al di là di un 25/26% circa)
Al momento, pertanto, pare che “la storia” della città abbia davvero subito un cambio di direzione, rispetto al passato ventennio. Con un ritorno indietro? Non proprio; ma certo con la riscoperta e rivalorizzazione di proposte politico-gestionali che hanno un ancoraggio forte al passato di questa città, in chiara controtendenza rispetto alle più recenti esperienze, per ridare un ruolo all’impegno dei partiti a servizio degli interessi locali e territoriali.
Gerosolimo (espressione più chiara e forte del “civismo sulmonese”) riconoscendo la difficoltà emersa dal primo turno (720 voti in meno rispetto allo sfidante; abbandonato a poche ore dalla chiusura delle urne da uno dei massimi esponenti delle liste che lo hanno sostenuto, Stefano Mariani, che ha contestato al leader il mancato rispetto di impegni per le preferenze ad un “suo” candidato; questo è “il populismo civico”) ha offerto un accordo, con apparentamento, al centrodestra di Vittorio Masci.
(Sappiamo, anche per antica esperienza personale e diretta, quanto siano precari gli “apparentamenti” nei ballottaggi, quanto siano esclusivamente legati alla ricerca di spazi e di ruoli personali. I voti raccolti da una lista al primo turno non si trasferiscono come “pacchi postali”).
Tuttavia il centrodestra, dopo un giorno e mezzo di riflessione, venerdì mattina, con una motivazione caratterizzata da ragioni di schieramento e politicamente giustificata, ha risposto “no, grazie”.
Vedremo domenica prossima se e come il disegno di cambiamento, a Sulmona, si compirà.
Nel tal caso sapremo dire, negli appuntamenti prossimi, se si è fatta o no, “la storia della città” e da parte di chi. Soprattutto con quali realistiche prospettive di ripresa e sviluppo.