E' difficile ogni previsione
Non mi occuperò della crisi di Governo. Preferisco parlare della crisi politica che la pandemia ha generato. Crisi di rapporti sociali, tra le persone e tra istituzioni.
Personalmente non possono che augurarmi che di qui all’inizio della primavera, quando i progetti operativi del Recovery dovranno far maturare i finanziamenti attesi, questa tematica si sia in qualche modo incanalata in un percorso utile, ma anche indispensabile, e faccia riprendere a tutti il senso della direzione di marcia positiva che di questi tempi, l’anno scorso, ottimisticamente, ci faceva dire a tutti “ce la faremo, andrà tutto bene”.
A fotografarla oggi, l’istantanea, non ci dà troppe speranze. Dà l’impressione, al contrario, che abbiamo dimenticato che aspettavamo con ansia la disponibilità salvifica del “vaccino”, quella finanziaria dei ristori (più o meno per tutti), le nuove prospettive di sviluppo legate ai capitoli del programma Next Generation Ue, l’osannata definizione di “debito buono” prospettata da Draghi, distinto dal “debito cattivo” (che lasceremmo ai figli e ai nipoti); e che come nell’estate passata, al contrario, ci siamo convinti che è il momento della ripartenza a tutti i costi, che dobbiamo ricominciare ad avere i comportamenti di sempre: correre, accaparrare, svicolare, tentare le furbizie, attestarci su posizioni egoistiche, aprioristiche e non negoziabili, aspettare che passi nel fiume il proverbiale cadavere del nemico... tanto poi si vedrà.
No. Se c’è una cosa chiara, al momento (al di là di ogni difficile previsione), è che mai come ora, il domani è presente.
Certo, il Coronavirus ci ha colti in un momento storico difficile.
Attanagliati dalla logica del passa oggi che viene domani, la crisi politica che ci trasciniamo dietro dalla fine degli anni ottanta, praticamente (progressiva fine della funzione stabilizzante dei partiti e/o di grandi leader; stravolgente ed improprio ruolo salvifico attribuito ad un modo personalistico di far politica, senza, però, un disegno di prospettiva futura, troppo legato all’ora, al momento, al quid; fine dei riferimenti economici che hanno regolato lo sviluppo dei Paesi occidentali dalla fine della guerra mondiale all’atteso terzo millennio), bloccati come se il tempo si fosse fermato, la pandemia l’abbiamo affrontata come potevamo e sulle prime abbiamo creduto che tutto potesse risolversi non dico presto, ma certo con sacrifici forse meno onerosi di quelli che oggi sentiamo di dover affrontare. S’è pensato di sostituire la scuola in aula, a quella proposta dal computer, si è ritenuto che, alla fin fine, il lavoro da casa potesse essere anche buono… per alcuni uno dei sacrifici più grossi è stato quello di rinunciare agli stadi e ai campionati in presenza.
La fragilità del quadro politico ha generato Governi contradittori e raffazzonati, guidati sempre dalla stessa persona, prima “giallo-neri” poi “giallo-rossi”, secondo una logica di tipo medievale fatta di quartieri in lizza, gli uni contro gli altri. Mentre il mondo del cambiamento (di cui si parla, qui da noi, dalla fine degli anni ottanta, appunto) s’è fatto strada e l’Europa, cambiando sostanzialmente le regole dei rapporti tra i Paesi membri dell’Unione, ha avviato una gestione rinnovata degli interessi dei popoli: digitalizzazione, innovazione e competitività; rivoluzione verde, transizione ecologica ed energetica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione, ricerca e cultura; inclusione e coesione; salute. Questo in grande sintesi è l’obiettivo cui tendono i circa 300miliardi che per ora sono a nostra disposizione, molti dei quali sono a debito pluriennale, ma che, usati bene, dovrebbero produrre quanto meno la rata di mutuo del ristoro, se miglioreranno le condizioni di lavoro e di sviluppo degli Italiani, soprattutto per più giovani.
Ma ora arriva il difficile e non soltanto per la crisi di Governo. Ma per quella che sostanzialmente la giustifica, la crisi politica: crisi di idee, prospettiva, indirizzo, leadership, metodo…
E questo è bene che lo sappiano non soltanto a Palazzo Chigi, o nelle sedi dei raggruppamenti politici che oggi tengono il campo, ma anche e soprattutto nei Palazzi delle Regioni ove bisognerà elaborare i progetti con i quali presentarsi al riparto delle risorse che spetteranno a ciascuno (per quello che ci riguarda, come Abruzzo, sembra qualcosa come 7/8 Miliardi). Chi fa cosa, perché, come, quando, in quanto tempo, con quali risultati attesi, con quali strumenti di valutazione. Proprio come nei progetti che ero abituato a far fare a scuola, dai docenti, nell’attesa di veder crescere una nidiata di ragazzi capaci di crescere con questa logica. Eravamo in pochi a crederci. Forse anticipavamo i tempi. Ora però non possiamo rischiare di rimanere indietro.