"Polemiche scomposte" e problemi irrisolti
E’ chiaro che non è più il tempo dell’andrà tutto bene. E che da quando si è passati al sistema del tricolore sostenuto da indicatori graduati (rosso, arancione e giallo) gli Italiani non sembra abbiano più voglia di cantare dalle finestre ovvero di giocare a tennis da una terrazza ad un’altra (anche perché non è primavera, non si aspetta con ansia l’estate, che, lo dico con franchezza, tanti guai ci ha procurato, ma andiamo verso l’inverno vero, soprattutto verso un Natale che non si sa bene come sarà. Ciascuno se lo pensa come gli piace).
Tutto questo lo ha capito il Presidente Mattarella (grazie, Presidente!) e non s’è lasciata scappare l’occasione (parlando all’Assemblea dell’ANCE) per richiamare tutti alla necessaria misura dei comportamenti. Ha parlato di “polemiche scomposte”, forse un richiamo alle “pazze!” manifestazioni d’ottobre, quando da parte di alcuni si è tentato di aizzare la piazza, nel tentativo di buttarla sul bisogno di ordine pubblico.
Diciamocelo chiaramente. Le polemiche scomposte non avrebbero dovuto essere tollerate. Così come la polizia, la scorsa estate, avrebbe potuto e dovuto dedicare maggiori e più puntuali attenzioni agli assembramenti degli aperitivi oppure alla forzata apertura delle discoteche ovvero ai distanziamenti degli ombrelloni sulle spiagge, avrebbe potuto (dovuto) interdire certe scomposte manifestazioni con strilli, canti, schiamazzi, contro un’ipotetica dittatura sanitaria che probabilmente in questi giorni tutti stiamo pagando. E oggi, quando s’invoca il tempo natalizio (che non è soltanto il cenone tra familiari, ma è quello che siamo abituati a celebrare, soprattutto la notte del 31 dicembre), dovremmo ricordarci di tutto questo.
Ma, a proposito di ricordi, a questo punto avverto i miei (pochi) affezionati lettori che sto preparando, in questi giorni, #2020rewind, anno della paura; un articolo che leggerete nell’edizione natalizia della periodica rivista a stampa, se ce la farà ad uscire, da cui nasce questa testata on-line dalla quale ho ricavato il “mio, personale” appuntamento quindicinale. Riavvolgo, nell’articolo, quasi come in un film, quello che ho scritto su questa storia del COVID, per censire, a mio modo, le cose valide, che ritengo di aver detto, e quelle sbagliate. (E’ un metodo di lavoro che consiglio ai giovani, soprattutto. Io lo applico da sempre e con soddisfazione).
Si scoprirà, leggendo, le occasioni perdute, per le quali in questi giorni dobbiamo pentirci (ma chi lo ammette?!). Per esempio: non aver attrezzato in tempo utile la medicina del territorio (pensate soltanto il 19 novembre è stato diffuso il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la gestione dei pazienti COVID da parte della Agenzia Sanitaria Regionale ai medici iscritti all’ordine), aver puntato tutto sulle terapie intensive, sulla ospedalizzazione dei contagiati, sui banchi con le rotelle, nelle scuole, su un’improbabile app scaricata sui telefonini di ciascuno per favorire il tracciamento: cosa che, per non essere accaduta nelle quantità attese, si è dimostrata inutile. E così via.
Troverete l’elenco; tenetelo a mente. Vale la pena. Scoprirete che abbiamo affastellato, in questo anno (mese più, mese meno) tanti comportamenti sbagliati, pubblici e privati, comportamenti scomposti o inadeguati tenuti da ciascuno e/o da coloro che avevano (ed hanno ancora) il dovere di dettarci (e controllare) l’attuazione di comportamenti consoni alla gravità di una situazione difficile (ed ignota) nella quale nostro malgrado tutti (a livello planetario) ci siamo ritrovati.
La paura, “variabile chiave che governa l’epidemia” (ha scritto qualche settimana fa il sociologo Luca Ricolfi su “Il Messaggero”), non si vince persuadendo la gente che sbaglia ad averne, ma togliendo le condizioni che la rendono più che giustificata. Capito Marsilio? Altro che “clima di psicosi”. “Tutti inadeguati” lo eravamo a Febbraio, anche se allo Spallanzani, di fronte alla prima manifestazione del contagio, nessuno si è fatto prendere dall’ansia di comportamenti e gesti sbagliati. Da Febbraio ad oggi avevamo già tutti (governo centrale e governi regionali) la possibilità di scegliere, nella lista da fare, quelle giuste e quelle sbagliate.
Ha detto in Consiglio regionale, il Presidente Marsilio, che quando è arrivato ha trovato una sanità che non funzionava. E questo basta per “scaricare” il proverbiale barile sul Governo che non avrebbe dato le deleghe a fare i cambiamenti necessari, dopo l’esperienza negativa fatta tra la primavera e l’estate passate? (Di quali deleghe parla? Insomma sono o non sono le Regioni i luoghi istituzionali deputati a gestire il SSR?)
Eppoi: lei si è insediato nella primavera del 2019. Di quanto tempo avrebbe voluto avere bisogno per “rendere funzionale” una sanità che dice di aver trovato “inadeguata”. Nell’agenda che le dedicai il 2 marzo del ’19, in testa a tutte le questioni posi proprio il Servizio Sanitario Regionale, con riferimento ai bisogni del nostro territorio. Guarda caso, di fronte a questa pandemia, se il territorio fosse stato in grado di rispondere con più efficacia, forse il funzionamento atteso da tutti, per queste terribili giornate, lo avremmo raggiunto, senza la confusa e improbabile corsa alle terapie intensive che tra l’altro non si sa nemmeno come possano funzionare, perché il problema non sono gli elettromedicali, ma il personale medico ed infermieristico irreperibile. Bastava, dopo aver rinominato i direttori generali delle ASL, affidare un mandato di governo chiaro: privilegiare l’assistenza territoriale, esigenza avvertita ed attesa, indipendentemente dalla pandemia con la quale facciamo i conti oramai da un anno. E loro avrebbero saputo (forse) cosa e come fare. Evitando, oggi, la marchiana contraddizione tra un sopralluogo tardivo nel nosocomio dell’Annunziata per individuare zone COVID e no-COVID e una situazione reale che blocca (vedremo fino a quando) l’attività ordinaria delle sale operatorie perché (come è accaduto il 18 scorso) in attesa della ripulitura della rianimazione, quei dieci posti-letto, piaccia o no, sono COVID (e ci mancherebbe altro; sarebbe un reato di omessa assistenza. Di fascicoli giudiziari già ne corrono troppi!).
Senza inutile polemica scomposta, Presidente, mi permetto di dirle che non spetta a lei valutare la professionalità del personale medico. Eventualmente, tramite i riferimenti necessari, sulla base di criteri di valutazione chiari e condivisi, la funzione spetta ai direttori generali delle ASL che a lei rispondono complessivamente in termini di efficacia ed efficienza dei servizi, sulla base degli obiettivi raccolti in sede contrattuale. A lei spettano compiti di indirizzo, appunto, e di controllo, eventualmente, sulla base di impostazioni, visioni e prospettive di gestione. Una metodologia che, in democrazia, appartiene evidentemente, al gruppo politico cui l’elettorato ha affidato il mandato di governo (della Regione, in questo caso). E il gruppo ne risponderà, a momento opportuno, a chi lo ha votato. Le opposizioni hanno una funzione di controllo e stimolo, ovvero di contrasto, se e quando non condividono. Tutto legittimo. A confrontarsi saranno due impostazioni, due visioni, che spesso potrebbero essere in contrasto. E’ il ruolo democratico che spetta a ciascuno.
Ora, tornando al problema di questi giorni, dopo l’estate tutti (lei per primo, come ha dichiarato) avevamo capito che il SSR fosse inadeguato. Bisognava mettersi intorno ad un tavolo, con i collaboratori di cui lei (insieme all’assessore Verì) si fida (perché da voi sono stati individuati e nominati i direttori generali delle ASL, nonché i responsabili della struttura gestionale della sanità regionale) e porre il tema: cosa bisogna fare per arginare la pandemia e tenerla sotto controllo, non a chiacchiere, ma per davvero?
Forse avreste scoperto che non c’era bisogno di cantieri bensì di organizzazione, di uomini, mezzi e direttive. Mancavano le risorse umane? Durante l’estate c’era anche il tempo per trovarle; non fosse altro che per rendere operative e impiegabili le graduatorie, di cui si parla, giacenti e mai escusse.
Non è così? Forse può non condividere; lo capisco. Ma questi sono i problemi reali, irrisolti.