Parliamo di cose concrete!

di Andrea Iannamorelli

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#34 - 25/05/2020

Aspettiamo il 3 Giugno con il metro in mano, ma con tanti, troppi dubbi, perplessità e problemi.

La questione è quella che avevamo più o meno previsto: mancano le garanzie di controllo e pertanto nessuno di noi sa se è, e fino a che punto, portatore sano (del virus) ovvero già immune. E non è poco, anche perché in Abruzzo, specie qui nell’interno, siamo una fetta di popolazione che sostanzialmente, fino al momento, ha schivato il Coronavirus (nonostante il caso San Raffaele a Sulmona) e, in assenza di un’indagine diffusa sostenuta da tracciamenti utili, non conosciamo la vulnerabilità di ciascuno, e quindi di tutti.
Guanti, mascherine e distanziamento. Ok. Ma personalmente non riesco a cancellarmi dalla memoria lo scetticismo del prof. Massimo Galli, direttore di malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano, il quale non ha nascosto le perplessità scientifiche sul come si sia arrivati alle “parziali” riaperture del 18 maggio scorso. Senza un fermo e deciso piano di tutela, ha detto, confidando soltanto sull’autodisciplina di ciascuno.

Bene. Intanto siamo qui. Non potevamo certo rimanere ancora “chiusi in casa”. Dovevamo almeno sperare di poter ricominciare a produrre, ciascuno per sé e per tutti. Tranne a scoprirsi, quasi subito, (la maggior parte di coloro che aspettavano e hanno tifato per la riapertura) insoddisfatti, conflittuali, contradittori ovvero sostanzialmente incapaci di essere diversi da come tre mesi fa si diceva di voler essere.
E le responsabilità, a mio parere, sono quasi tutte in capo alle classi dirigenti di livello locale, regionale, nazionale ed europee.

L’Europa, in verità, dopo le prime macroscopiche (immediatamente contestate) assenze o disattenzioni, sembra voler recuperare. La quantità e qualità di aiuti che sta tentando di mettere in campo (dal Recovery fund, al Sure, al Mes, al Bei, al Pepp) potrebbe aprire una fase nuova, rispetto al passato, fase, almeno sulla carta, capace di generare una prospettiva futura di crescita e di sviluppo per tutti gli aderenti all’Unione, anche per coloro (sovranisti o europeisti scettici… ma che ci stanno affà con noi?) che ce la mettono tutta per screditare la validità degli strumenti di cui si parla. Il problema qui è vedere, quando sarà, la conclusione che la Commissione saprà dare alle idee messe in campo. Con l’incognita della necessità di raggiungere l’unanimità per le decisioni. Idee finalizzate ad aiutare le piccole e medie imprese, le persone singole (con l’eventuale erogazione di fondi per la cassa integrazione), i sistemi sanitari strapazzati dalla pandemia, la stabilità del sistema finanziario europeo, al riparo da “spread” speculativi. Tutto questo si nasconde dietro gli acronimi di cui sentiamo parlare (e che abbiamo richiamato poco sopra) con maggiore o minore entusiasmo, a seconda di chi “ascoltiamo” (europeisti convinti, convinti a metà o per convenienza, euroscettici o sovranisti dichiarati pronti ad uscire dall’UE). E ancora: quando le “misure” saranno finalmente operanti ed arriveranno in Italia, sotto forma di euro utilizzabili (si pensa a pacchetti di miliardi) il nostro problema nazionale sarà quello di vedere se saremo in grado di spendere queste risorse, come, ma soprattutto quando.

Il Governo, nella precarietà imposta dalla debolezza del quadro politico che lo sostiene, è rimasto invischiato nella questione del rapporto Stato-Regioni fino al punto di rischiare una clamorosa rinuncia al ruolo che invece costituzionalmente gli spetta: tutelare la salute pubblica. Prova ne sia la dimostrazione della quasi inutilità della pletora di “esperti” chiamati nelle diverse commissioni le raccomandazioni dei quali sono rimaste sostanzialmente inascoltate (sia nella fase acuta della pandemia che, soprattutto, in questo periodo, quello dei giorni che viviamo, che auguriamoci non scoprire come il più pericoloso). Soprattutto il Governo mi sembra ancora incapace (per mancanza di idee o per timidezza o non chiarezza di prospettive) di indicare vie nuove per la ripresa vera che dovrà caratterizzare (dopo che avremo un vaccino che ci proteggerà) la “nostra” vita e quella dei nostri figli. Quella post-emergenza che presumibilmente incomincerà dall’anno prossimo e che necessariamente dovrebbe fare i conti con una caduta vertiginosa del PIL, con un deficit economico e finanziario che gli esperti dicono di gran lunga superiore a quello delle storiche crisi del secolo scorso. (In questi giorni una domanda mi sono posta: ma perché non si è fatto ricorso alla convocazione permanente della Conferenza Stato-Regioni, organo istituzionale che avrebbe certamente avuto autorevolezza e capacità di attutire non soltanto lo scontro sui modi di applicare i poteri di cui al discusso Titolo V° della Costituzione, ma anche, come effetto, di rendere meno confuso, contradittorio e conflittuale il comportamento di chi ci governa. La guerra dei DPCM, ovvero la girandola delle Ordinanze regionali e dei Sindaci, le perplessità sugli approvvigionamenti di mascherine, tamponi, reagenti, sui tempi di tracciamento della diffusione del virus, sui Kit per la diagnosi sierologica, sulle distanze degli ombrelloni in spiaggia, sui modi corretti di “andare al mare” quest’estate, per noi e per coloro che vengono all’estero… quanta confusione e quanta paura per chi, come noi, è consapevole di essere vulnerabile!).
Certo, a momento opportuno, per una maggioranza politicamente chiara ed autorevole, la questione del rapporto tra Stato ed autonomie locali sarà una questione decisiva, per chiunque dovesse governare. Tra le tante questioni di livello costituzionale da “aggiornare”, abbiamo questa urgenza!

Le Regioni del resto, soprattutto quelle trascinate da non dichiarate ragioni di contrapposizione ad un Governo di segno politico non omogeneo al proprio, hanno giocato, in questa fase, all’accaparramento di spazi che vanno ben al di là di un corretto rapporto di competenze (esclusiva e/o concorrente), così come definita negli articoli 116 e 117 della Carta. (La polemica è addirittura riecheggiata, strumentalmente, anche in Abruzzo, tra consiglieri della stessa area politica!). E augurandoci che gli effetti non siano nefasti, sicuramente il rischio che si sono assunte è stato grossissimo. (Tant’è che già a due giorni dalla “ripartenza con strappi”, come ha titolato un autorevole quotidiano della carta stampata lunedì 18 u.s., il Capo della Polizia è stato invitato dal Governo ad emanare disposizioni minacciose nei confronti di quanti manifestamente hanno comportamenti rischiosi, per sé e per gli altri).

Per quanto riguarda i Sindaci, con qualche rarissima eccezione, meglio non parlarne. (Per quanto più direttamente ci riguarda, come territorio, “vi” raccomando di tenere a mente l’iniziativa presa, per l’abbrivio dato dai rappresentanti sindacali dei medici di famiglia, alla nascita delle “Case della salute”. Se n’è incominciato a parlare e finalmente, questo sì che è positivo. Stiamogli dietro affinché l’inizio di questo discorso non sia una… meteora!)

A farla breve, a me sembra che, nonostante il “nostro” comportamento individuale, quello di tutti, pazientemente ossequioso, prudente ed attento, nonostante si sia ben lontani dalla fine della pandemia (e questo continuano a dircelo gli specialisti, anche per effetto dei primi riferimenti che arrivano in questi giorni, da Roma, per esempio, sugli esiti dei test sierologici), la classe politica dirigente, a tutti i livelli, ha bisogno di essere invitata ad un attento ed approfondito esame di coscienza sui modi e sui contenuti della gestione di questo eccezionale momento. Soprattutto, in considerazione degli effetti di lunghissimo periodo che questa pandemia avrà certamente (effetti sanitari, economici e sociali).
Ora è il momento che si ponga il problema di come affrontare il nostro futuro, per uscire da questo generalmente diffuso senso di paura.

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