Fase 2: Sinceramente peggio di quanto pensassi
Anche qui in Abruzzo, dove come nel resto dell’Italia centromeridionale il Covid sembra aver attecchito meno che altrove, forse più in omaggio ad una questione di schieramento politico nazionale che ad altre plausibili e giustificate ragioni, la “fregola” della ripartenza potrebbe farci rischiare un brutto scherzo.
Auguriamoci di no. Tuttavia, stiamo attenti.
Vedo, insomma, che il tentativo sarebbe quello di ricondurre i comportamenti personali e collettivi alla ordinarietà che ci apparteneva fino a Febbraio scorso: perché non ce la faremmo più, perché non possiamo vivere “sequestrati” o “assistiti”, perché dobbiamo ricominciare a produrre, vogliamo fare le vacanze, le attività sportive (individuali e di gruppo), vogliamo riprenderci la “nostra” (legittima) libertà di espressione di culto e di fede religiosa, frequentare bar e ristoranti, stare “insieme”… checché ne dicano (quotidianamente) gli esperti, nonostante il (famoso, oramai) rapporto R0 sia ancora lontano (qui meno che altrove, è vero, ma comunque lontano anche qui!) dal valore “zero”.
E chi ha il compito, il dovere di dettare le regole e di pretendere che siano rispettate, per garantire la salute pubblica, sembra essere cedevole, indulgente, pronto alle deroghe. E non va bene, a mio parere (sabato scorso in un ‘intervista a Il Messaggero Sabino Cassese lo ha detto chiaro e tondo: in certi casi lo Stato ha il dovere costituzionale di esprimersi con i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni; lo Stato ha delegato alle Regioni l’organizzazione del servizio sanitario non la tutela della salute dei cittadini italiani alle prese con una “profilassi internazionale” che nessuno può governare in solitudine!).
Mi auguro di prendere il proverbiale “granchio”. Ma mi sembra di rivivere i primi giorni di Marzo.
Ci avevano avvertiti di dover avere certi comportamenti, in presenza di alcuni sintomi. Abbiamo tentato di averli; ma la macchina dell’assistenza, della diagnosi e cura, ha fatto acqua.
Ed è successo quello che sappiamo.
Giorni fa mi ha colpito la nota che i medici di famiglia hanno inviato al Presidente della Regione in riferimento al “protocollo” che dovrebbe esser attuato in questa fase che ci accompagna, tra mugugni di tipo diverso, al fatidico 1° giugno. I medici di famiglia denunciano l’impossibilità di attuarlo. Hanno torto? Ragione? Non lo so. Ma la mia preoccupazione è che l’abbiano esplicitato e reso noto (a differenza di quanto accaduto due mesi fa) in anticipo. In altre parole ancora non siamo padroni di una “rete” di protezione capace di poter giustificare la legittimità della “voglia di ripartire” come se fossimo già tutti vaccinati contro il coronavirus, ovvero come se disponessimo di un farmaco capace di garantirci.
Mentre il virus continua a circolare e fino a quando circolerà c’è il rischio che “ci” contagi.
Chiaramente il problema ha origini lontane dall’Abruzzo. Il problema è certamente nel “quadro politico” (debole) e nella complessità dei rapporti tra maggioranza ed opposizione.
E addirittura la quotidiana letteratura degli editorialisti nazionali ha già avviato la scommessa delle scommesse: quando andremo a votare? Chi al posto di Conte, di “questo” Governo? Con quale maggioranza?
E le motivazioni hanno una logica condivisa ed accattivante: la prospettiva economica dei Paese (e la cosa ci riguarda molto direttamente) è quanto meno catastrofica. Si può andare avanti così? Certamente no.
Tuttavia personalmente continuo a ritenere che invece di rischiare di “gettare” insieme alla proverbiale “acqua sporca” anche “il bambino” sia il caso di incominciare a ragionare sul come riorganizzare il mondo del lavoro, dei rapporti interpersonali (sociali ed economici), l’organizzazione dell’assistenza sanitaria sul territorio e del welfare, la riorganizzazione dei rapporti corretti tra Stato e Regioni.
Con la spregiudicatezza di sempre, mi auguro vivamente di sbagliare.